- Le parole di Toti, che ha definito gli anziani «non indispensabili allo sforzo produttivo del paese», danno il senso di quanto poco la società consideri il valore della vecchiaia.
- Il mito del corpo scolpito e l’ideologia dell’individualismo fanno a gara nel deprimere il ruolo etico-sociale dell’anziano. Rimuovendo i suoi valori inestimabili: come la saggezza e l’esperienza vissuta.
- Nei dpcm settimanali si ventila, con sempre maggior insistenza, l’obbligo per gli anziani a rimanere in casa e a non muoversi più in città. Una clausura che non tiene conto delle ripercussioni di ordine cognitivo e psicologico.
Oriana Fallaci un giorno ha scritto che l’arco di vita che coincide con la vecchiaia è una stagione invidiabile: «perché è stagione che ci regala il dono della completa libertà». La libertà, infatti, molto più che una dotazione presunta e ideale, è il risultato incalcolabile di un sapiente processo di maturazione, che lei stesse aveva pagato a caro prezzo. Proprio questa libertà, tanto sbandierata nei proclami e oltraggiata nelle scelte, sta correndo in questi giorni un pericolo serio. Il governatore Toti ha definito gli anziani: «persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del paese».
Valori inestimabili
Una frase, evidentemente maldestra e superficiale, che ci riporta inesorabilmente ai primi mesi di questo tragico anno. In piena emergenza pandemica, il dato anagrafico delle persone coinvolte è stato assunto come criterio per decidere chi curare e chi invece scartare. Arrivando a distinguere fra morti inaccettabili (quelle evitabili di giovani pazienti, privi di concomitanti malattie gravi) e morti accettabili (quelle inevitabili dei pazienti più avanti negli anni con polipatologie).
Parole gravi, accompagnate da comportamenti discutibili: frutto di una cultura liquida e spregiudicata, in cui il mito del corpo scolpito e l’ideologia dell’individualismo autoriferito fanno a gara nel deprimere il ruolo etico-sociale dell’anziano. Rimuovendo i suoi valori inestimabili: come la saggezza e l’esperienza vissuta («quando muore una persona anziana e come se scomparisse una biblioteca»). E fraintendendo i suoi tratti drammatici: la sua fragilità, la sua vulnerabilità, la sua debolezza psichica e la sua prossimità alla fine.
Garante della tradizione
Un aspetto di ambivalenza, che certo emerge anche dalle testimonianza dell’antica sapienza greca e delle Scritture veterotestamentarie, in cui la vecchiaia viene presentata alternativamente come un prezioso dono di Dio o un male conseguenza del peccato originale; ma senza mai smarrire il senso imprescindibile della memoria, che vi riposa e che rende possibile la consistenza delle generazioni future. Fatto sta che nella forma attuale della convivenza civile, i profili negativi della terza età, sembrano prevalere, obbedendo ai diktat della programmazione economica e della logica scientifica che governano il pianeta.
Eppure, l’anziano dovrebbe essere per definizione il garante della viva tradizione e della coscienza storica. Non solo il nonno che subentra alle incertezze di un’esperienza genitoriale, sempre più colpita.
Se la sua figura viene delegittimata perfino dalle improvvisazioni politiche e dalle spavalderie dei media, fino all’irrilevanza, si finisce per negare qualsiasi nutrimento etico e sapienziale ala giustizia del vivere: mentre le questioni concernenti il senso dell’esistere e il valore solidale delle diverse generazioni verranno sempre più affidate all’arbitrio dei governanti e dei politici di turno.
A questo proposito, Elena Cattaneo ha scritto con estrema intelligenza e raro vigore su Repubblica: «non distruggerei mai l’occasione di attingere alle competenze e alle esperienze accumulate nei circuiti dei cervelli anziani».
Il futuro dell’anziano
Nei Dpcm settimanali si ventila, con sempre maggior insistenza, l’obbligo per gli anziani a rimanere in casa e a non muoversi più in città. Una clausura imposta solo come esperimento, che non tiene conto delle ripercussioni di ordine cognitivo e psicologico, che le persone non più giovani, private delle loro libertà fondamentali, possono subire in maniera irreparabile. Il partigiano, don Giovanni Barbareschi, in occasione dei suoi 90 anni ci ha confessato: «ho creduto e credo che ogni persona è libera e che questa libertà fonda e qualifica la grandezza e la unicità di ogni essere umano».
Ma altri fattori esteriori e pregiudiziali stanno minando questa sacrosanta libertà. Anzitutto, l’egemonia del sapere scientifico presentata come il fiore all’occhiello di alcune Istituzioni ospedaliere, soprattutto private, che sta oscurando il ruolo strategico dell’assistenza territoriale: assolutamente essenziale per il benessere delle persone anziane. E di conseguenza la saldatura tra tecnomedicina e potere economico, per cui i bisogni di salute sono divenuti una variabile finanziariamente condizionata ad esclusivo favore dell’homo faber.
Ci deve far riflettere il grido di Papa Francesco: «Ma noi siamo abituati a scartare la gente…..». Il futuro dell’anziano è, nello stesso tempo, un appello e una sfida di etica individuale e di etica sociale, di natura esistenziale e politica. A ciascuno di noi il compito di accoglierla.
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