Si dice spesso che nel nostro Paese abbiamo tante case, perfino, talvolta, che abbiamo costruito troppo (e consumato troppo suolo), ma a una attenta osservazione dei dati troviamo un paradosso: abbiamo tante case vuote (non occupate stabilmente e senza residenti) e allo stesso tempo abbiamo realtà urbane dove trovare casa (soprattutto per alcune tipologie di persone e famiglie) è quasi impossibile.

L’Italia vive una situazione dualistica, le "case vuote" o non utilizzate come residenza principale rappresentano un fenomeno significativo, 10 milioni di case inabitate (esattamente 9.582.000) secondo il dato Istat al 2021; e all’opposto mercati immobiliari urbani inaccessibili per giovani, studenti, lavoratori fuori sede, trasfertisti, famiglie monoreddito, immigrati.

Le abitazioni vuote si riferiscono principalmente a immobili residenziali non occupati, che possono risultare per vari motivi inabitate e inutilizzate perché non più rispondenti alle necessità di persone e famiglie; a case utilizzate per vacanze 15-30 giorni all’anno o nei week end. In questo macro-insieme sono ricomprese anche gli utilizzi per affitti brevi.

Nell’eterogeneità di questo fenomeno si trovano situazioni più critiche, con elevate percentuali di case non stabilmente utilizzate nelle zone marginali interne appenniniche, più lontane dai principali capoluoghi, al Sud e nelle località turistiche, dove l’utilizzo avviene per periodi limitati. Cambiano anche le necessità familiari, i nuovi modi di abitare sono inevitabilmente connessi a nuove “fisiche” delle persone: nuove tecnologie, spazi per il lavoro, per l’attività fisica, mini-famiglie.

Nelle aree territoriali sopra descritte troviamo edifici ormai obsoleti, difficilmente accessibili e difficili da recuperare, talvolta aggravati da contese di tipo familiare-ereditario.

Abbiamo tante case, ma in posizioni non desiderate, mentre la tendenza abitativa e lavorativa oggi si configura in prossimità dei centri urbani, ove spesso il costo dell’affitto è eccessivo e non accessibile alle giovani coppie, per molte tipologie di attività lavorative, la vicinanza a servizi, infrastrutture, trasporti e polarità urbane, continua ad essere un vantaggio.

Cambiano le necessità personali e familiari generando nuovi modi di abitare inevitabilmente legati alle ambizioni degli occupanti sempre più in evoluzione. Nelle zone più marginali alcune abitazioni necessitano di lavori rilevanti che i proprietari non sono in grado o disposti a effettuare e che dissuadono potenziali acquirenti o affittuari.

Le case vuote si declinano anche come una assenza di affitto, il timore di affittare la propria abitazione (e lasciarla piuttosto vuota) per il timore di inquilini morosi, senza riuscire a rientrare nella propria abitazione per molto tempo, anche diversi anni. In Italia, è comune che le case vengano ereditate da più membri di una famiglia, questo può portare a situazioni in cui una proprietà viene lasciata vuota per lungo tempo, in attesa di decisioni sulla vendita o sull'uso. Va ricordato inoltre che, più il tempo passa più le situazioni si complicano, i costi di intervento aumentano in un circolo vizioso e perverso che sfocia talvolta nell’inerzia e nell’abbandono.

La pandemia Covid-19 ha ben messo in evidenza questi aspetti, lo smart working reso necessario in quel periodo, ma poi integrato in molti paesi come nuova declinazione del lavoro, ha richiesto inevitabilmente la predisposizione di spazi e servizi specifici all'interno dell’abitazione stessa, ma dopo una prima fase, le persone hanno ripreso a vedersi e a reincontrarsi, abbiamo imparato a lavorare in modo (parzialmente) diverso, ma non ci siamo tutti trasferiti a vivere nei “borghi” o nelle case dei nonni in campagna.

I fenomeni descritti hanno complessivamente portato ad avere nel territorio nazionale quasi 10 milioni di case inabitate e questo si manifesta anche come problematicità inevitabilmente connessa al tema del consumo di suolo, rigenerazione urbana ed edilizia: avere sul territorio un numero così ampio di abitazioni (immobili) inutilizzati di cui nessuno vuole prendersi carico ci pone domande su come possiamo rigenerare questi spazi, e soprattutto su chi lo farà. Gli anni passano ed è sempre più probabile che una quota (difficilmente quantificabile) di questo patrimonio non sarà più recuperato o recuperabile.

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