- Nel breve volgere di un mese per ben due volte ministero della Transizione Ecologica di concerto con il ministero della Cultura ha decretato la compatibilità ambientale di due progetti riguardanti la perforazione di due pozzi esplorativi nel’ambito di permessi di ricerca di gas vigenti.
- Congolani ha parlato di «atti dovuti» ma la legge prevede che fino all'adozione del Piano il ministro non possa firmare alcunché che riguardi i permessi di ricerca in quanto gli stessi sono sospesi per legge.
- Così non c’è conversione: imporre nuovi progetti fossili ai territori, collocandoli con un artifizio al di fuori della cornice giuridico-programmatica del Pitesai e di un confronto informato e consapevole, conduce inevitabilmente all’insuccesso.
Nel breve volgere di un mese per ben due volte ministero della Transizione Ecologica di concerto con il ministero della Cultura ha decretato la compatibilità ambientale di due progetti riguardanti la perforazione di due pozzi esplorativi nel’ambito di permessi di ricerca di gas vigenti ("G.R 13 .AG" nel Canale di Sicilia e Portomaggiore, in provincia di Ferrara). I due pozzi assumono la denominazione, rispettivamente, di “Lince 1” e “Malerbina 1” ed i relativi decreti datano 24 marzo e 15 aprile maggio 2021.
La posizione del ministero
In entrambi i casi il Mite di concerto con il ministero della Cultura ha ritenuto che i procedimenti oggetto dei decreti di Via non rientrassero “… nell’ambito di quelli sospesi in attesa dell’adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai) di cui al comma 4 dell’articolo 11-ter del decreto legge n. 135 del 2018, convertito con modificazioni dalla legge n. 12 del 2019”.
Firmando i decreti, il ministro Cingolani quindi non ha ritenuto di applicare la norma che prevede per l’appunto la sospensione sia dei procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, sia dei permessi già in essere, con conseguente interruzione delle relative attività.
In alcune interviste rilasciate alla stampa il ministro ha incautamente dichiarato che si sarebbe trattato, in entrambi i casi, di atti dovuti («Non posso fare operazioni non corrette, se un atto è pronto devo andare avanti o commetto omissione di atti d'ufficio»).
Le cose non stanno affatto così. La legge prevede che fino all'adozione del Piano il ministro non possa firmare alcunché che riguardi i permessi di ricerca in quanto gli stessi sono sospesi per legge.
Legittimi?
È sufficiente scorrere gli ultimi Bollettini Ufficiali degli Idrocarburi e delle Georisorse (Buig) per apprendere invece che nelle more dell’adozione del Pitesai, il Direttore Generale del Mite ha firmato legittimamente altri atti come, ad esempio, decreti di proroga di vigenza di concessioni scadute o di riduzione delle aree o di variazione dei programmi di lavori delle concessioni in essere. In quei casi sì – ma si tratta di concessioni e non di permessi di ricerca-, non firmare avrebbe comportato l’omissione di atti d’ufficio. E di fatti, sul piano giuridico, nessuno ha avuto da obiettare, anche se il meccanismo delle proroghe automatiche delle concessioni, di montiana memoria, costituisce pur sempre una aberrazione giuridica.
Nei casi di “Lince 1” e “Malerbina 1”, invece, il ricorso all’artificio dell’”atto dovuto” appare del tutto strumentale rispetto ad una precisa volontà politica propensa a favorire la ripresa delle attività di ricerca di idrocarburi, e così ferrea da non potersi celare dietro il paravento di finti tecnicismi.
Le vicende legate al processo di scrittura del Pitesai, durato quasi due anni e mai portato a termine, ci avevano abituato a improvvisi cambi di marcia e di rotta, all’altalena governativa del “Sì-No-Forse” di Patuanelli, ma pur sempre all’interno di un quadro di caos disorganizzato e segnato dalla difficoltà di porre mano ad uno strumento di oggettiva e straordinaria complessità.
Cambio di passo
Con i due decreti Via di “Lince 1” e “Malerbina 1” siamo invece ad un “cambio di passo” – sì, proprio quello invocato dalle forze di maggioranza-: il potere esecutivo non tergiversa, non ricerca equilibrismi ma dispone senza ascoltare; ritiene di dover disapplicare la legge e lo fa, forte di un consenso parlamentare schiacciante che soffoca la dialettica democratica, riscrivendo le regole del gioco “in solitaria”, quasi certo di non incontrare alcuna opposizione nei territori che partecipano sempre meno alla costruzione dei processi e dei progetti.
Siamo alla vigilia di una fase di grandi trasformazioni e cambiamenti, che in molti auspicano possa svolgersi all’insegna di una profonda conversione. Ma non c’è conversione, trasformazione o transizione che possa reggere all’usura del tempo ed ai conflitti sociali che le trasformazioni portano in dote senza transitare per una fase di partecipazione consapevole alle scelte “dal basso”.
Imporre nuovi progetti fossili ai territori, collocandoli con un artifizio al di fuori della cornice giuridico-programmatica del Pitesai e di un confronto informato e consapevole, conduce inevitabilmente all’insuccesso.
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