- Le sanzioni da sole purtroppo non risolveranno la crisi delle relazioni euro-russe. Ma senza di esse il Cremlino sarebbe un avversario ben più pericoloso.
- La Crimea ha bisogno del supporto occidentale e non possiamo tacere di fronte all’oppressione della popolazione tatara.
- Dobbiamo continuare a opporci agli interessi degli oligarchi e a supportare i popoli russi.
Il 9 giugno 2021 su queste pagine è apparso un contributo importante di Mara Morini, che ha il grande merito di ravvivare un dibattito purtroppo negletto dall’opinione pubblica italiana. Da ormai sette anni l’Unione europea e i suoi alleati affrontano una sfida politica senza precedenti in questo secolo. La promessa di una Russia finalmente libera e democratica, partner fondamentale per garantire pace e prosperità in Eurasia, è stata spezzata dal regime autoritario guidato da Vladimir Putin.
La guerra in Ucraina e l’annessione della Crimea, ma anche l’avventurismo militare ampiamente documentato da Domani in Africa e nel Mediterraneo allargato, hanno aperto delle profonde ferite nel rapporto bilaterale. Questa mancanza di prospettiva è tanto più tragica perché sembravamo aver trovato la formula giusta per aiutare il nostro più grande vicino ad avviarsi sulla strada della democrazia. È ormai evidente quanto ci sbagliassimo – la politica non è fatta di formule statiche.
A cosa servono le sanzioni?
Capisco il sentimento alla base dell’appello pubblicato. I crimini del regime non possono cancellare l’appartenenza dei popoli russi alla grande famiglia europea. Come studioso del paese e attivista di partiti progressisti europei non posso che respingere l’idea di un presunto scontro di civiltà nella nostra casa comune, che esso sia profetizzato da Samuel Huntington o Aleksandr Dugin.
Ma è proprio la drammaticità di questo confronto che ci condanna al realismo politico. I tedeschi direbbero che la dottoressa Morini, il cui lavoro apprezzo e stimo, si è lasciata prendere dal Wunschdenken, «un modo di pensare guidato dai desideri». La sua ipotesi che la rimozione delle sanzioni e la normalizzazione dello status della Crimea, la cui annessione non è ufficialmente riconosciuta da alcun paese Onu, porrà fine alle sofferenze della cittadinanza locale, è un’ipotesi che difficilmente si trasformerà in realtà, per come la vedo. Ma cosa c’entrano le sanzioni con l’oppressione sistematica dei Tatari, una popolazione che risiede nella repubblica da secoli ed è stata ripetutamente vittima dell’occupatore? L’Ohchr ha contato almeno 43 tatari scomparsi nel nulla fra 2014 e il marzo 2020.
La ricercatrice chiede il ritorno di eventi culturali nella penisola, non menzionando che nei rapporti con la Russia questo tipo di iniziative non si sono mai interrotte. I casi in cui sono state terminate è stata per scelta del Cremlino, che ha bollato molte organizzazioni dedite a scambi interculturali come “agenti stranieri”.
È evidente che la cleptocrazia putinista teme che i propri cittadini entrino in contatto con realtà in cui la partecipazione politica e sociale al governo del paese sono liberi e incondizionati a fedeltà personalistiche. Cosa può spingerci a pensare che lo stesso non accadrebbe in Crimea, o che le attività culturali permesse non siano snaturate al punto di diventare meri spot pubblicitari per il governo?
Si lamenta anche lo strumento delle sanzioni come lesivo per gli interessi economici europei e per la popolazione russa, di fronte a uno scarso successo nel costringere lo stato a cambiare la propria linea politica. Non posso che obiettare a questa tesi sul fronte accademico ed economico.
Come asseriscono Francesco Giumelli e colleghi nel 2020, le sanzioni Ue sono prima di tutto uno strumento utilizzato per rispondere alle infrazioni delle regole della convivenza politica. Le provocazioni russe – la violazione della convenzione internazionale sulle armi chimiche, gli attacchi cyber alle infrastrutture europee, il supporto attivo e diretto a movimenti separatisti costruiti ad arte dal Cremlino – sono più che sufficienti per richiedere una punizione credibile e duratura che segnali la nostra risolutezza nel difendere l’ordine multilaterale.
La stragrande maggioranza di queste misure sono state sanzioni rivolte contro esponenti del regime, a cui sono stati congelate le risorse finanziarie sul territorio Ue. Le uniche misure progettate per indebolire direttamente la Russia, come l’embargo di armi e alcuni prodotti ad alta tecnologia, impediranno alla Russia di perseguire lo sviluppo di armamenti più sofisticati in campo aerospaziale e di modernizzare la propria industria petrolifera, la principale fonte d’arricchimento di quegli oligarchi su cui il regime si appoggia.
I cittadini russi sono nostri alleati
Ciò che è realmente sconsolante è vedere che le giuste reazioni occidentali siano state accolte con indifferenza reazionaria da Mosca. “Reazionaria” perché pur di non modificare il proprio comportamento erratico sulla scena internazionale il Cremlino ha preferito corazzarsi contro ulteriori misure finanziarie, perseguendo una spietata politica di austerity e conservatorismo monetario. Il prezzo dell’aggressività del regime è la stagnazione economica.
Qual è dunque l’obiettivo dell’Ue? Cercare il consenso del Cremlino o riservare le proprie simpatie per quelle cittadine e cittadini in conflitto col regime? La repressione domestica e l’eversione internazionale sono due facce della stessa medaglia. Il cinico disinteresse per i propri cittadini si manifesta plasticamente nell’omicidio di un cittadino russo a Berlino nel 2019 e nel tentato assassinio di Sergej Skripal nel 2019 a Londra – due atti di repressione che hanno messo in pericolo (e nel caso londinese hanno portato alla morte di) cittadini europei, come già avvenuto nell’esplosione di un deposito di armi in Repubblica Ceca nel 2014 causato da agenti del Gru.
Sì, le sanzioni sono diventate una risposta quasi automatica all’ennesima provocazione. Sì, l’Unione europea spesso le utilizza per segnalare unità e mascherare la propria incapacità di costruire una strategia più calcolata, che dovrebbe soprattutto favorire le sparute forze democratiche ancora attive nell’agone politico russo. Questi limiti non tolgono che il nostro impegno dev’essere quello di aiutare la Russia, non il Cremlino.
Pur mantenendoci nei limiti delle leggi internazionali, noi dobbiamo aiutare le opposizioni ancora attive nel paese, anche facilitandone l’emigrazione sul territorio Ue e proteggendoli dalla lunga mano dei servizi segreti. È necessario che l’Ue prenda inziativa per abbattere gli ostacoli che impediscono ai cittadini russi di visitare il nostro territorio, senza però aspettarsi che la Russia faccia lo stesso.
Non possiamo neanche illuderci che le misure attuali siano utili per prosciugare le risorse di oligarchi e cleptocrati nella cerchia di Putin – la facilità con cui fondi illeciti possono passare dal sistema finanziario europeo alimenta l’ingiustizia fiscale a casa nostra e permette agli oppressori del popolo russo di prosperare. La lotta ai crimini finanziari e l’eliminazione di zone d’ombra devono quindi esser prioritari.
Infine, la transizione ecologica ed energetica va considerata come un potenziale strumento di de-oligarchizzazione in tutto il vicinato orientale. L’enfasi su una crescita inclusiva, basata su un’amministrazione parzialmente decentrata dell’energia, ha il potenziale di spezzare i monopoli alla radice della piramide di potere di Putin. Le sanzioni sono imperfette – e proprio per questo non possono essere la sola risposta.
Michelangelo Freyrie é membro dell’associazione di politica estera Mondodem e vicepresidente della Comitato tecnico Affari esteri della Spd Berlino. Lavora per una società del governo federale tedesco. Le opinioni qui riportate sono personali e non rappresentano le posizioni di queste organizzazioni.
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