- Al congresso di Chianciano del 2006 fu deciso che potesse iscriversi all’Anpi anche chi non aveva partecipato direttamente alla resistenza.
- Negli anni immediatamente successivi questa opportunità si è sposata con la ricerca di un luogo di aggregazione e impegno politico da parte delle componenti contrarie alla trasformazione del Pci in Pds e ostili alla creazione del Pd.
- Il peso morale della resistenza è stato sfruttato per dare voce alle campagne di opinione di un gruppo politicamente ben connotato, a cominciare dal referendum costituzionale del 2016.
Le posizioni espresse dalla dirigenza dell’Anpi sulla guerra in Ucraina continuano ad alimentare polemiche. Trovo il clamore ingiustificato per due ragioni: gli stessi media che le rilanciano riconoscono, come è ovvio, legittimità a posizioni simili a cui danno peraltro una centralità inesistente, ad esempio, su Cnn, Bbc, New York Times, Le Monde o altre accreditate fonti di informazione e dibattito pubblico di grandi paesi occidentali; la collocazione politico-culturale della dirigenza Anpi è ben nota da tempo.
Dopo i partigiani
Dopo le elezioni del 1948, con l’uscita delle componenti cattolica e azionista, l’Anpi divenne a tutti gli effetti una delle più importanti organizzazioni collaterali del Pci togliattiano. Ha mantenuto una base associativa chiusa (salvo le nomine di membri onorari) e lo stesso presidente (Arrigo Boldrini) dal 1945 al 2006.
Al congresso di Chianciano del 2006 fu deciso che potesse diventare socio chiunque si riconoscesse nei valori della resistenza.
Negli anni immediatamente successivi questa opportunità si è sposata con la ricerca di un luogo di aggregazione e impegno politico da parte delle componenti contrarie alla trasformazione del Pci in Pds e ostili alla creazione del Pd.
Rifondazione Comunista aveva già provocato la crisi del primo governo Prodi; tra il 2006 e il 2008 i senatori PdCI contribuirono alle continue fibrillazioni del Prodi 2; nel 2008 la Sinistra Arcobaleno non venne inclusa nella coalizione di centrosinistra, prese il 3 per cento e non ottenne seggi. Capitarono cose simili in giro per l’Italia.
Molti militanti insieme a esponenti di secondo piano di quell’area, frustrati dalle sconfitte elettorali e dalle lotte intestine tra i leader per accaparrarsi i pochi strapuntini istituzionali disponibili, decisero di impegnarsi collettivamente nell’Anpi, venendo poi cooptati negli organismi nazionali anche grazie all’intesa politica con Carlo Smuraglia (presidente dal 2011 al 2017).
Niente di male in tutto questo. Se non che da quel momento il peso morale della resistenza è stato sfruttato per dare voce alle campagne di opinione di un gruppo politicamente ben connotato, a cominciare dal referendum costituzionale del 2016, quando l’uso del marchio fu giudicato utile anche dagli altri componenti della variegata coalizione contraria alla riforma.
Nella base Anpi ci sono oggi persone provenienti da percorsi diversi, ma l’unico gruppo addestrato a gestire congressi e strutturato per orientali è costituito dalla diaspora Prc-PdCI-SeL assieme alla componente Cgil guidata da Carlo Ghezzi.
I congressi e la formazione degli organi nazionali si svolgono ancora secondo il modello ereditato dagli anni Quaranta. Iniziano sulla base di un documento unico proposto dal presidente uscente e si chiudono con un voto, espresso di norma a larga maggioranza, sulla relazione dal presidente entrante (eletto dai 37 componenti del Comitato nazionale).
Quindi, quando Gianfranco Pagliarulo (ex funzionario Pci, senatore Prc, poi entrato nel PdCI e fuoruscito in conflitto con Oliviero Diliberto) dice «il 95 per cento dell’associazione è con me», si riferisce forse ai voti espressi sulla sua relazione finale al Congresso di Riccione (27 marzo).
Albertina Soliani, per esempio, è stata nominata vicepresidente in virtù della sua autorevolezza personale, del suo ruolo nell’Istituto Cervi e forse perché espressione di un’altra sensibilità culturale, ma i dubbi da lei posti, per niente isolati nemmeno nell’attuale base associativa dell’Anpi, sono parsi a Pagliarulo irrilevanti.
Pagliarulo e la Russia
La tesi di Pagliarulo, ribadite nella conferenza stampa della scorsa settimana sono chiare: l’Ucraina, al pari della Russia, è retta da una “democratura”; al pari del governo russo, “anche i governi Ucraini dopo Maidan hanno avuto un carattere ipernazionalista … «tanto è vero che hanno nominato eroe nazionale Stepan Bandera».
Per inciso: Bandera, un nazionalista ucraino di estrema destra, prima arrestato e internato dai nazisti, poi liberato nel 1944 in funzione anti-russa, commise eccidi contro civili polacchi ed ebrei, e fu infine assassinato dal Kgb nel 1959 mentre viveva a Monaco di Baviera e collaborava con servizi di intelligence occidentali; l’onorificenza di cui parla il presidente Anpi è stata abolita nel 2011, prima delle manifestazioni Euromaidan, è stata riproposta nel 2019 e il parlamento ucraino ha votato contro.
Pagliarulo aggiunge: in passato ci sono state tante violenze anche nel Donbass. Non lo specifica, ma la sequenza del discorso fa ritenere che attribuisca queste violenze soprattutto ai nazionalisti ucraini.
Per Pagliarulo «la prima causa alla base del carattere sempre più tragico della guerra» - «una delle cause», aggiunge, ma è la prima che gli viene in mente e l’unica che cita – «è il crescente rifornimento di armi all’Ucraina».
Inoltre, l’invasione di Putin in Ucraina non è più sporca delle invasioni delle “cosiddette democrazie liberali” in Iraq, Afganistan o in Libia.
Le sanzioni economiche creano un aumento della povertà in Italia. Conclusione, in pratica, per favorire la pace: gli Ucraini se la devono vedere da soli; la Nato e gli altri paesi europei non devono interferire con le operazioni militari russe; possono fornire aiuti umanitari agli ucraini e implorare Putin di fermarsi o, se proprio non intende fermarsi, di prendersi in fretta quello che vuole.
Il peso dell’Anpi
Ora, tesi simili circolano legittimamente in vari settori della destra e della sinistra italiane. Il grande clamore che hanno suscitato sarebbe giustificato solo se si prendesse sul serio la pretesa di ammantarle della autorità morale attribuibile a difensori di ultima istanza della democrazia liberale o alfieri della pace in un paese di guerrafondai.
L’Anpi è oggi una libera associazione di cittadini e può ovviamente promuovere le campagne di opinione che preferisce.
Poiché tuttavia i suoi dirigenti svolgono un ruolo cerimoniale nei festeggiamenti del 25 aprile penso si possa loro chiedere di leggere almeno in quella occasione, ad alta voce, la prima frase dell’articolo 11 della “Costituzione nata dalla resistenza” per intero: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
L’Italia, dice l’articolo 11, ripudia esattamente quello che sta facendo la Russia di Putin in Ucraina. A questo fine, dice poi lo stesso articolo, l’Italia cede sovranità alle organizzazioni internazionali che assicurano «la pace e la giustizia tra le nazioni».
L’Italia non usa le armi per opprimere altri popoli o per risolvere conflitti tra stati. Usa anche le armi, come soluzione estrema, per consentire al popolo offeso di difendersi, e qualsiasi altro mezzo per contrastare chi lo attacca, ha già commesso crimini orribili e se non viene fermato continuerà. Per preservare, come ha ricordato non a caso Sergio Mattarella,«la pace e la giustizia» tra le nazioni.
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