- Abbiamo un'idea di paese? Di paese forse no, però un'idea sì, ce l'abbiamo: un'idea che fa leva sui miliardi del Recovery plan. Il Recovery plan può fare tanto, non tutto. Allora distinguiamo come gestire le cose che si possono fare e quelle che si possono solo sollecitare per aprire una stagione di ripartenza.
- Le risorse europee hanno carattere eccezionale e richiedono una gestione eccezionale, una vera e propria programmazione.
- Serve un ministero ad hoc, un ministero per il domani, per il futuro, per l'Italia che sarà, un ministero che amministri le risorse straordinarie da mettere in campo.
La crisi politica in corso obbliga a riflettere sulle cose vere. Tanti dicono che manca una visione di paese, una visione d'insieme, strategica. Vero. Ma è possibile avere una visione di paese quando ogni giorno la tua principale preoccupazione è provare a ridurre le morti di centinaia di tuoi concittadini per un virus che non s'arresta, quando il conflitto tra diritto alla salute e diritto al lavoro causa tragiche disperazioni e povertà crescenti, quando buona parte delle scelte da fare sono condizionate da fattori esterni, internazionali? Ecco.
Detto tutto questo: abbiamo un'idea di paese? Di paese forse no, però un'idea sì, ce l'abbiamo: un'idea che fa leva sui miliardi del Recovery plan. Il Recovery plan può fare tanto, non tutto. Allora distinguiamo come gestire le cose che si possono fare e quelle che si possono solo sollecitare per aprire una stagione di ripartenza.
Le risorse europee hanno carattere eccezionale e richiedono una gestione eccezionale, una vera e propria programmazione. Serve un ministero ad hoc, un ministero per il domani, per il futuro, per l'Italia che sarà, un ministero che amministri le risorse straordinarie da mettere in campo.
Il nostro ordinamento già prevede – o ha previsto - forme di sintesi programmatica. Si pensi al Cipe (oggi Cipess), il comitato interministeriale per la programmazione economica, oppure all'Ufficio per il programma di governo o ancora – in un recente passato – al ministero per l'attuazione del programma. Sono esperienze già digerite, già disciplinate, sulle quali far leva.
Strumenti così servono a selezionare priorità, a formulare proposte, a predisporre progetti e a trasformarli in operatività concreta tenendo presente il lavoro di tutti i ministeri, sotto l'egida di palazzo Chigi. È la scelta delle priorità la vera scelta strategica di futuro. Peraltro non occorrerà avere molta fantasia, in merito alle qualità delle opere da programmare: serve un'Italia più verde (conversione ambientale), più blu (conversione elettronica), più innovativa e inclusiva (economia civile e socialità).
Insomma, tutti sappiamo cosa dovremmo essere: dovremmo solo decidere di essere. D'altra parte nel centrosinistra (con o senza trattino) il vero mito del domani, dell'avvenire, si è sempre tradotto nella programmazione economica e sociale per un paese più giusto. La programmazione economica e sociale è ciò di cui l'Italia ha bisogno oggi, di raccogliere le forze e disciplinarle secondo alcuni obiettivi facilmente condivisibili.
La programmazione delle opere è anche emblematica, serve anche a creare una convincente forza retorica e narrativa. E non è una questione di marketing comunicativo, di loghi fatti più o meno bene, di qualche filmato da Cinema Luce. Perché alcune grandi scelte possono muovere le forze profonde del Paese affinché partecipino ad una nuova stagione di ripartenza, più verde e più civile, più blu e più inclusiva.
Ci sono tante buone prassi, che coinvolgono i soggetti territoriali, le città, le comunità, le associazioni, i sindacati, le imprese, le parrocchie, il terzo settore, gli enti locali.
Si tratta di dare una cornice di senso, che accompagni culturalmente questa fase: la programmazione è la giusta cornice di senso.
Riprendendo una nota metafora di Zygmunt Bauman tra guardiacaccia, cacciatori e giardinieri, potremmo allora dire che l'Italia di oggi e di domani non ha bisogno di una politica ispirata ai guardacaccia, che si limiterebbe a punire e a difendere i confini per conservare una condizione astratta; che non ha bisogno neppure di una politica ispirata ai cacciatori, a chi pensa solo alla cattura del consenso e alla gestione del potere; che invece ha molto bisogno di una politica ispirata al giardiniere che - sulla base del terreno e dei semi che ha – fa un progetto, programma, decide quali piante incoraggiare e quali estirpare.
Ai giardinieri serve pazienza: ma il salto va fatto subito, ora. Serve dunque un governo ora che si fondi su un'idea così per un tempo definito e trasparente: un governo di giardinieri, un paese di seminatori. E poi – quando sarà il tempo giusto – si andrà al voto, sperando che vincano i giardinieri e non i guardiacaccia e i cacciatori.
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