Cosa incuriosisce uno studente di vent’anni? Domani inizia una collaborazione con un gruppo di studenti di economia dell’Università Bicocca di Milano. L’obiettivo è conoscere la loro opinione sull’attualità e sul mondo che raccontiamo: per questo motivo ogni settimana pubblicheremo i loro commenti agli articoli e ai temi che li hanno colpiti di più. Qui trovate tutti gli interventi pubblicati finora. Questa settimana l’articolo scelto da loro è:
La corsa a una nuova realtà
Cyborg, interazione uomo-macchina e uomo-smartphone e così via. Sono davvero tanti i termini e gli articoli che ci sobbarcano di informazioni più o meno fresche su questi temi, ma sono pochi invece quelli che riescono ad introdurre per bene il concetto a tutti i consumatori, o che parlano delle reali differenze all’atto pratico dal precedente modello a quello attuale. Solo le riviste e i siti specializzati, forse, riescono nell’impresa, ma questo trend della “Cyborgizzazione” rimane ancora molto “etereo” per l’utenza più comune.
Eppure è un filone, un ramo della tecnologia di consumo che ultimamente sta davvero crescendo a gonfie vele, con sempre più Big che decidono di buttarcisi a capofitto (come ben riportato dall’articolo). Un settore intrigante e ancora tutto da scoprire, che può davvero portare una ventata d’aria fresca nel settore della tecnologia.
I Google Glasses, per quanto mal realizzati, erano un’impresa titanica, figli di un concept geniale per il periodo in cui vennero presentati (il 2013, ndr). Degli occhiali che permettono di consultare e ottenere informazioni normalmente allora reperibili sono tramite pc, tablet o smartphone e con supporto ai comandi vocali. Nonostante l’incipit interessante, le vendite furono deludenti a causa di diversi motivi, tra cui la poca diffusione delle app supportate e la pochezza stessa di app supportate, oltre al prezzo proibitivo. Tutto questo, però, accadde nel biennio 2013-2014, biennio in cui la diffusione di smartphone e simili era ancora incredibilmente limitata rispetto a ora.
Soffermiamoci un attimo sul prodotto e sull’idea di base: degli occhiali, nella cui montatura è innestato un mini-schermo da cui leggere quanto osserviamo. Una soluzione del genere è stata solo recentemente implementata da Google stessa, sotto forma di “Google Lens”, app che permette di scansionare un oggetto e cercarne il nome su internet con un singolo click. Anche Amazon, però, concede una possibilità simile, seppur limitata al catalogo di prodotti presente sul suo store, in modo da trovare velocemente il prodotto che si desidera acquistare.
Google Lens, quindi, è stato lanciato essenzialmente troppo presto, senza una tecnologia abbastanza solida su cui poggiare e fare leva. Tecnologia che, badate bene, non è forse ancora oggi disponibile, nonostante i passi da gigante compiuti dall’industria in questi lunghi 8 anni.
Un altro quesito che mi sento di sollevare è legato alla consapevolezza degli utenti finali e della loro percezione del prodotto. Partiamo con un esempio. Da quando Xiaomi ha lanciato sul mercato la sua linea di Smart-Band entry level nel lontano 2014, ci sono voluti all’incirca due anni (arrivo di Mi Band 2) per ottenere un bacino di utenza tale da permettere un reale planning del futuro della serie, ed altri due-tre anni (Mi band 3-4) perché il progetto, la linea ed il prodotto potessero definirsi davvero sdoganati.
Oggi, nel 2021, quasi tutti ormai giriamo con uno smartwatch o similari al polso. Oltre a Xiaomi, nell’impresa si sono cimentati anche tutti gli altri principali marchi high-tech, tra cui spicca (ovviamente) Apple, che vanta prodotti come Apple Watch serie 4, munito addirittura di strumento ECG per elettrocardiogrammi direttamente dal proprio polso.
Eppure, una volta una prospettiva del genere era totalmente al di fuori dell’immaginario comune, così come lo erano delle cuffiette e speaker totalmente wireless, e perché no, auto che guidano da sole.
Il mondo è cambiato. Estremamente cambiato. Noi stessi siamo cambiati. Lo smartphone è oggi una vera e propria estensione del nostro corpo, con tutto ciò che ne consegue. Parliamo con un Assistente Virtuale, con la nostra autovettura per arrivare più in fretta al lavoro o a casa, sono stati addirittura sviluppati degli apparecchi medici per monitorare il livello di glicemia dei soggetti diabetici da remoto, tramite PC e smartphone.
Che cosa è ancora davvero analogico? Non siamo forse già adesso ad un passo dall’essere dei Cyborg? Andare in giro vestiti come dei Cyborg può essere, è, una cosa normalissima. È davvero un paio di occhiali stravagante quello che ci separa da quel mondo? Nel 2021?
Per le strade possiamo incappare in qualsiasi tipo di look differente, da quello retrò a quello più futurista, dall’ordinario all’inconsueto, ed è giusto che sia così, perché così è la nostra popolazione oggi.
Lottiamo per sdoganare la possibilità di sentirci chi, cosa, come e quando vogliamo, ma abbiamo poi timore di un paio di occhiali strampalati connesso al nostro smartphone?
Che siano poi rossi a forma di fragola, giallo limone o a forma di gatto, se non come quelli di Ciclope, direttamente dagli X-man, cosa importa? Devono piacere a noi, non a chi ci guarda, e devono essere utili allo scopo. Con degli occhiali per la realtà aumentata potremmo finalmente dire addio agli incidenti derivanti dall’utilizzo dello smartphone mentre si cammina, ed una tecnologia simile potrebbe essere inserita nei parabrezza delle auto per evitare il problema del telefono alla guida.
Invece che criticare questi nuovi prodotti ed osservarli con timore, dovremmo ammirare chi ci sta dietro, perché lotta per vedere il suo progetto realizzato, per cercare di non ripercorrere la storia di 8 anni fa. Ben venga che ci siano diverse aziende impegnate su questo fronte (e molti altri), perché questa corsa all’innovazione ci permette di evolvere e migliorare il nostro stile di vita.
Il vero problema, forse, è proprio la nostra limitata elasticità mentale ad accettare il cambiamento, a non voler essere “consapevoli beta tester” di un futuro elettronico che abbiamo davanti, rimanendo pur sempre beta tester inconsapevoli di pressoché qualsiasi cosa.
Un'altra possibile spiegazione dell’impopolarità di queste innovazioni sarebbe il prezzo proibitivo, anche se questo punto sarebbe incredibilmente discutibile, ma non è questa la sede.
E allora, perché non aiutare le imprese a modificare la propria visione del mercato e dei propri progetti con dei feedback davvero utili da parte di utenti e possibili utenti, anche attraverso l’istruzione della popolazione a questi temi, scoperte e prospettive, non necessariamente con articoloni ricolmi di incomprensibili termini tecnici, ma con dei discorsi semplici, facili e con un filo logico ben distinguibile?
Forse, così facendo, riusciremmo ad avere delle innovazioni tecnologiche davvero utili e mirate, senza flop e perdite di tempo e risorse.
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