- Lo spostamento del traffico dalla strada a altri modi di trasporto si presenta non solo molto costoso per le casse pubbliche, ma non meno difficile da conseguire, nonostante le politiche in atto.
- Questo perché la logistica contemporanea, sia dei passeggeri che delle merci, richiede una grande flessibilità sia nello spazio che nel tempo, cosa che i mezzi collettivi fanno fatica a offrire.
- L’efficienza dei modi collettivi, trasporti pubblici e ferrovie, si presenta poi in generale bassa, a causa della scarsa pressione concorrenziale che li caratterizza.
Spostare i traffici costa molto caro, ed è comunque difficile
Lo spostamento di traffico dal modo privato ai modi collettivi. cioè ai trasporti locali e soprattutto alle ferrovie, è considerato un obiettivo “a prescindere”. Cioè da perseguire senza analisi che lo mettano in discussione, nonostante si tratti di un obiettivo molto costoso da perseguire come dimostrano i dati dell’ultimo rapporto sullo stato dei trasporti italiani che abbiamo pubblicato con Brt onlus.
Infatti ogni veicolo motorizzato sottratto alla strada comporta sia rilevanti perdite per le casse pubbliche (figura 1) e spesso anche rilevanti aumenti di costi di esercizio e di investimento, nella misura in cui comporti un ampliamento di servizi pubblici sussidiati (figura 2). Questi costi pubblici non sarebbero un problema maggiore se le prospettive dei conti italiani non rimanessero piuttosto critiche anche per gli scenari post Pnrr.
Figura 1 - Entrate fiscali del settore del trasporto stradale in alcuni Paesi Ue – 2019
Figura 2 - Spesa pubblica lorda annuale, ricavi annuali e cumulata della spesa pubblica netta nel settore delle ferrovie in Italia – anni 1990 - 2016
Ora, occorre osservare che i dati dimostrano che politiche radicali di «spostamento modale» sono state perseguite in Europa e in Italia da molti decenni senza ottenere risultati nemmeno lontanamente proporzionali allo sforzo economico fatto: gran parte dell’aumento della mobilità negli ultimi 30 anni è stato infatti soddisfatto da auto e aereo (figura 3).
Figura 3 - Domanda di mobilità dei passeggeri nella Ue a 27 paesi, dal 1995 al 2019
Questione di logistica
Ci si dovrebbe porre innanzitutto la domanda: perché nessun risultato? Le ragioni sono relativamente semplici: la logistica contemporanea delle persone e delle merci postula una flessibilità nello spazio e nel tempo che rende molto difficile ai servizi collettivi soddisfare la domanda di trasporto.
Da qui discende una elevatissima “disponibilità a pagare” per i modi individuali (auto e camion) e simmetricamente scarsa disponibilità per i modi collettivi.
La logistica dei passeggeri e delle merci spiega molto bene perché questo spostamento è difficile.
Iniziamo dai passeggeri: per gli spostamenti brevi, di tipo pendolare o occasionale, non siamo più da tempo in una realtà “tayloristica” in cui prevalgono i percorsi fissi nello spazio e nel tempo del tipo casa-lavoro-casa.
Il tempo libero, gli acquisti, lo sport, le visite a parenti hanno da tempo prevalso anche per i ceti con redditi medio bassi, e questo nuovo modello, generato dall’accresciuto benessere, richiede grande flessibilità, che il trasporto collettivo non può offrire con tempi di viaggio competitivi con l’automobile, specie nelle ore non di punta, se non per gli spostamenti diretti verso le aree centrali delle grandi città. L’accresciuto benessere consente anche ai ceti operai (almeno quelli a tempo indeterminato) il possesso dell’automobile, che, una volta acquistata, diventa poi competitiva anche nei costi per spostamenti famigliari di fine settimana, o per le vacanze. Questo “interclassismo dell’automobile” si riflette anche nel fatto che l’Istat valuta come regressiva l’accisa sui carburanti: cioè colpisce in proporzione di più i redditi medio bassi (figura 4).
Figura 4 – Quota della spesa per carburanti per classi di spesa equivalente
Impianti produttivi distanti dalla ferrovia
Per la logistica delle merci i fenomeni sono abbastanza simili, in quanto sempre legati alla crescita del reddito. Produzioni a più alto valore aggiunto hanno anche maggiori “densità di valore”, cioè costano di più per unità di peso. Inoltre da decenni gli impianti produttivi sono localizzati prescindendo dalla accessibilità alla ferrovia e la media di quelli italiani è notoriamente medio-piccola.
Questa “polverizzazione spaziale” della domanda, unita all’alto valore unitario delle produzioni rende difficilissimo per le ferrovie fornire servizi competitivi al camion. Difficile mettere su treno capi di moda o componenti di macchine utensili.
Il camion fa servizi “porta a porta” anche per quantità modeste, mentre la ferrovia opera in “rottura di carico”, cioè ha bisogno del camion per le tratte iniziali e terminali, e opera con forti economie di scala, cioè ha bisogno di domanda molto concentrata.
La bassa efficienza dei modi di trasporto collettivi non aiuta certo lo spostamento modale.
Costi di produzione elevati
Le considerazioni precedenti spiegano dunque le difficoltà funzionali dei modi collettivi sia nel servire i passeggeri che le merci. Ma ammettiamo che obiettivi ambientali cogenti giustifichino il cambio modale, almeno parziale. Gli elevati costi di produzione dei modi collettivi rendono tuttavia più arduo il compito.
Per il trasporto passeggeri la situazione è certamente connessa all’assenza di una anche minima pressione concorrenziale nel settore: in nessuna delle città maggiori, dove è massimo l’uso del trasporto pubblico, il servizio è gestito da imprese diverse dall’impresa pubblica storica (incumbent), e questo dopo anni di leggi formalmente indirizzate non certo alla liberalizzazione, ma alla molto più conservatrice messa in gara dei servizi.
Che i costi di produzione dei servizi ferroviari siano elevati è molto più problematico da dimostrare, per il semplice fatto che mancano in Europa condizioni di vero confronto, essendo ovunque il settore pesantemente sussidiato (figura 5), essenzialmente a proprietà pubblica, semi monopolistico e verticalmente integrato. Ma certo in queste condizioni si può escludere che i costi di produzione siano particolarmente bassi.
Figura 5 - Trasferimenti pubblici alle imprese ferroviarie in sei paesi della Ue (Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Svezia) - Anni 2001 – 2015
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