- Sull’utilità e sulle chance di successo delle decine di «partitini dal profumo d’incenso» fiorite nel solco della Dc, lo scetticismo è condiviso con il giudizio che ne hanno dato Alberto Melloni e Marco Follini
- Due però i punti di divergenza con Follini: non si può dire che manchi un giudizio storico ormai equanime sulla Dc, e l’altro, sicuri dell’afonia del “cattolicesimo politico”?
- Sulle conclusioni siamo d’accordo: la priorità è formare cristiani adulti e dotarli di una matura coscienza politica, non ignara del patrimonio storico-culturale ereditato dai protagonisti della nostra storia repubblicana
Anch’io, come il mio amico Marco Follini, conoscendo l’indubbia «buona volontà di persone per bene» (su tutti Stefano Zamagni) che vi si applicano, sarei meno tagliente di Melloni nel giudizio sui vari cantieri di «partitini dal profumo d’incenso». E tuttavia condivido lo scetticismo di entrambi sulla loro utilità e sulle loro chance di successo.
Uno scetticismo suffragato dalla sorte di decine di sigle variamente denominate fiorite nel solco della Dc.
Su due punti invece dissento da Follini: la sua tesi circa il difetto di un giudizio condiviso sulla Dc e sulle ragioni del suo tramonto e l’asserita afonia del “cattolicesimo politico”. Con il tempo, mi sembra che si vada consolidando un giudizio storico equanime sulla Dc, persino intriso di una generosa nostalgia, non più polarizzato, come asserisce Follini - forse perché troppo coinvolto -, «tra orgoglio e vergogna». Giudizio condiviso anche dagli eredi di chi, a destra e a sinistra, avversò la Dc.
Lo sintetizzo: pur tra luci e ombre, alti e bassi, la Dc ha dato un decisivo contributo all’insediamento e allo sviluppo della nostra giovane democrazia, nonché alla ricostruzione e allo sviluppo economico e sociale del paese. Ma anche la consapevolezza del carattere singolare e irripetibile di quella esperienza storico-politica (un unicum di partito, definito da De Rosa «grande convenzione di consensi»), inscindibilmente legata alle particolarissime coordinate storico-politico-religiose nelle quale si inscrisse: la guerra fredda, una società a sfondo cristiano, la relativa unità politica dei cattolici prescritta con una certa cogenza dai vertici ecclesiastici. Che fosse formula non riproducibile lo rimarcava sempre il vecchio Dossetti ancora sul finire della sua vita.
Tutte circostanze che concorrono a spiegare quanto sia arduo immaginare di riprodurre oggi qualcosa che anche solo alla lontana le somigli.
Dentro la cronaca e nel fuoco delle polemiche si sono evocate altre ragioni all’origine del tramonto della Dc: Mani pulite, l’irruzione della Lega nelle regioni bianche del nord, i referendum elettorali di Segni …. A mio avviso, solo ed eventualmente concause a valle. La madre di esse ha ben altra portata: il 1989.
L’altro mio distinguo: sicuri dell’afonia del “cattolicesimo politico”? Decisivo è intendersi: se, con esso, si intendono esperienze politiche che, approssimativamente, riprendano quella Dc, già si è detto circa la loro impraticabilità; se invece, alla lettera, ma necessariamente al plurale (“cattolicesimi politici”), si intendono le molteplici, possibili proiezioni politiche di cattolici impegnati, in un pluralismo di espressioni finalmente riconosciuto come legittimo dalla stessa autorità ecclesiastica – Papa e vescovi italiani – le cose cambiano.
Talune possono piacere, altre meno (quella reazionaria, che riduce il cattolicesimo a base di un’ideologia nazionalista, a religione civile, non piace a Melloni e a Follini e neppure a me), ma non si possono considerare sterili e mute.
Su un versante diverso e opposto, la circostanza che sia scomparso un grande partito di ispirazione cristiana, per sé non significa che si sia estinto il contributo di quello che più propriamente usa chiamare cattolicesimo democratico e sociale, al centro e a sinistra.
Non è senza ragione che ai vertici dello Stato vi sia un esponente di quella cultura o che il padre nobile dell’Ulivo-PD, Prodi, sia esso pure uomo di quella estrazione.
Riassumendo, se capisco, i miei distinguo da Follini fanno leva su due circostanze: i cattolicesimi politici vanno declinati al plurale (è eloquente l’adozione del singolare) e comunque come immaginare che essi oggi possano vantare peso e dimensioni paragonabili a quelle di mezzo secolo fa in una società nella quale i cattolici sono, oltre che, come è naturale, politicamente divisi, soprattutto minoranza sociale? Semmai facendo da “lievito nella pasta” di organizzazioni politiche laiche e plurali.
Ecco perché sottoscrivo invece la conclusioni di Melloni e Follini: la priorità delle priorità è formare cristiani adulti e dotarli di una matura coscienza politica, meglio se non ignara – questo sì – del patrimonio storico-culturale rappresentato dal contributo di quei cattolici che sono stati attori protagonisti della nostra storia repubblicana.
© Riproduzione riservata