- Nel corso del 2021 l’Italia ha mostrato di interpretare, con un certo successo, lo spirito europeo. Il Pnrr è stato ritenuto dalla Commissione coerente con gli obiettivi europei.
- L’azione contro la pandemia è stata condotta con buoni risultati. Tutto ciò ha accresciuto l’affidabilità internazionale dell’Italia, che può ora svolgere un ruolo propulsivo nel processo di unificazione.
- Il nuovo presidente della Repubblica sarà, inevitabilmente, garante, per i prossimi sette anni della stabilità e dello sviluppo del paese verso l’Unione europea.
L’anno che se ne va ha mostrato che l’Italia ha imboccato al meglio la strada che l’Europa ha indicato per la doppia sfida ambientale e pandemica.
Nel 2020 l’Unione europea ha stabilito, con la storica decisione del 21 luglio (Recovery Plan for Europe), di fronteggiare una crisi devastante attraverso la “solidarietà” (investimenti NextGenEU derivanti da un debito comune che sta dentro il bilancio europeo) coniugata con lo stretto “controllo” sull’impiego delle risorse destinate agli stati. La finalità è, come noto la transizione energetica e la rivoluzione digitale, in un quadro di coesione sociale e territoriale, e di riforme interne.
Lo spirito europeo
Nel corso del 2021 l’Italia ha mostrato di interpretare, con un certo successo, questo spirito europeo. Il Pnrr è stato ritenuto dalla Commissione coerente con gli obiettivi europei. La ripresa economica del Paese è andata aldilà del rimbalzo previsto dopo lo sprofondamento del 2020.
L’azione contro la pandemia è stata condotta con buoni risultati. Tutto ciò ha accresciuto l’affidabilità internazionale dell’Italia, che può ora svolgere un ruolo propulsivo nel processo di unificazione europea, come appare anche dal Trattato del Quirinale.
Il 2022 che si affaccia mette il Paese alla prova di nuove sfide. Innanzitutto deve mostrare di essere meritevole del “credito europeo” accordatole. Il Pnrr deve tradursi in progetti che trasformino realmente l’economia nel segno della sostenibilità, con una rigenerazione industriale dei prodotti e dei processi produttivi capaci di conseguire la “carbon neutrality” entro il 2050, mantenendo l’apparato industriale del Paese (la seconda manifattura d’Europa) nella leadership di questa storica transizione. Occorre stare in questa partita, favorirne i processi, con precisi e coordinati (dal piano europeo a quello nazionale e locale) investimenti in ricerca e sviluppo. In sostanza, occorre che il “debito” che stiamo facendo sia “buono” – come dice il premier Draghi – cioè produttivo di sviluppo e di buoni posti di lavoro.
Le riforme interne
In secondo luogo l’Italia deve mostrare che il piano delle riforme interne (pubblica amministrazione, giustizia, fisco, innanzitutto) va avanti, al fine di intercettare al meglio la ricaduta degli investimenti. E che soprattutto “il Paese delle tante città” sa rinnovarsi e rigenerarsi con modelli capaci di interpretare il corretto inserimento delle nostre città nel processo di cambiamento generale.
La politica territoriale diventa preminente per gestire al meglio la trasformazione della società e dell’economia che le sfide ambientali e sanitarie inducono. Le nostre città devono, dunque, ridisegnare il loro futuro, con progetti comuni e integrati, per le loro infrastrutture: sviluppo produttivo e servizi di mobilità, sanità, istruzione e cultura. La definizione precisa del rapporto tra metropoli e città medie e piccole è fondamentale.
Il 2022 presenta, inoltre, sul piano europeo, una doppia sfida: la riforma del Patto di stabilità e di crescita (che la Commissione sospese nel marzo del 2020 per consentire lo sforamento dei parametri su deficit e debito) e l’avvio di una politica estera europea.
Il futuro dell’Europa
Sono sfide che decideranno del futuro dell’Europa. L’Unione deve decidere come modificare quel “patto” che ha determinato finora, per ciascun Paese, il rapporto tra sviluppo economico e compatibilità finanziaria, secondo regole prestabilite e comuni. Pochi giorni fa Draghi e Macron, con una lettera congiunta sul Financial Times, hanno avviato le prime riflessioni in proposito. Il dibattito europeo che si annuncia sarà certamente impegnativo e l’Italia deve essere nella partita.
Inoltre, non è più eludibile l’avvio di una politica estera europea, dotata di autonomia strategica e “complementare alla Nato”, per usare le parole di Biden. Occorre allora determinare quale debba essere la “bussola” di questa politica estera. Detto più semplicemente, quale multilateralismo debba praticare l’Europa verso la Cina, la Russia, l’Africa, il Mediterraneo, l’America latina, oltre che verso gli USA? Quale difesa europea costruire? Il dibattito si annuncia, anche qui, assai impegnativo, a partire presentazione nei prossimi mesi di questa “bussola” (strategic compass) da parte di Josep Borrell, Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea.
Il nuovo presidente
Tutto ciò significa che l’elezione del presidente della Repubblica non è solo un fatto della politica italiana, così come la scelta del prossimo Presidente francese, in primavera, non sarà solo un fatto francese. Un maggiore ruolo europeo richiede scelte politiche conseguenti.
Il prossimo presidente della Repubblica Italiana non può essere solo un garante della Costituzione e arbitro del tradizionale confronto tra i partiti. Sarà, inevitabilmente, garante, per i prossimi sette anni della stabilità e dello sviluppo del paese verso l’Unione Europea. La politica nazionale è ormai parte della politica europea.
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