Il 20 marzo 1994 i due giornalisti Rai vennero assassinati a Mogadiscio per via delle loro inchieste. Una vicenda di «ignobili traffici, depistaggi, ritrattazioni, processi finiti nel nulla», nelle parole del presidente della Repubblica. Il Comitato "Noi non archiviamo" chiede di dare nuovo impulso alle indagini
Trenta anni fa, il 20 marzo 1994, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vennero assassinati a Mogadiscio. Erano lì per il TG3 – lei giornalista inviata, lui giornalista operatore – in quella zona di guerra civile e carestia, che né la missione Restore Hope dell'Onu, né quella italiana Ibis avevano saputo risolvere. Erano lì per fare il loro mestiere e nel farlo Ilaria Alpi scoprì che all'ombra delle missioni, all'ombra della stessa Cooperazione internazionale italiana prosperavano illeciti e coperti traffici di armi, rifiuti speciali. Faceva giornalismo d'inchiesta, Ilaria e per questo, con Miran, venne ammazzata.
Per tanti anni Luciana e Giorgio Alpi, che oggi non ci sono più, hanno dedicato il loro strazio e la loro ferita non rimarginabile (era commovente entrare nel loro soggiorno e vedere campeggiare la foto sorridente di Ilaria) a cercare la verità, ostacolata da errori, depistaggi, omissioni. In questo impegno sono stati sostenuti da settori della Politica, dai colleghi del Tg3 (indimenticabile la commozione di Flavio Fusi che dovette dare la notizia conducendo il "suo" Tg), da tantissime personalità della cultura e dello spettacolo.
E oltre al sostegno dei colleghi di Ilaria, del Tg3 e più in generale della Rai, di tante testate, costante è stato quello di organismi come la Fnsi, l’Ordine dei giornalisti, Articolo 21, Libera Informazione. E il Comitato "Noi non archiviamo", di cui portavoce è Mariangela Grainer.
Ed è stata una amica e collega di redazione, Federica Sciarelli, a dare con “Chi l’ha visto” una svolta, grazie al lavoro d’inchiesta della sua inviata Chiara Cazzaniga. La giornalista scoprì non lontano da Londra, uno dei primissimi depistatori, Hamed Ali Rage detto Gelle, che le rivelò di avere mentito su indicazione di "italiani" accusando dell'omicidio Hashi Omar Hassan. Che fu condannato ingiustamente.
Trascorse diciassette anni di carcere (Luciana e Giorgio andavano a trovarlo perché lo sapevano innocente) e finalmente, grazie all'inchiesta di Cazzaniga, si riuscì a fare la revisione del processo e Hashi venne scagionato e liberato. Eravamo anche noi quel giorno, con Luciana, presso la Corte d'Appello di Perugia e ricordo con emozione l'abbraccio tra Hassan e la mamma di Ilaria. Lui, libero, tornò in Somalia, dove due anni fa una bomba sotto il sedile dell'auto pose fine anche alla sua vita.
Per questo, nel trentesimo anniversario. Le parole "verità e giustizia" e l'impegno "Noi non archiviamo" sono ancora più forti, con la richiesta che le indagini in capo alla Procura di Roma trovino finalmente nuovi impulsi con nuovi elementi e fatti da esaminare. Che porteremo anche noi all'attenzione della Procura, che abbiamo contattato e che ha dichiarato la sua disponibilità ad ascoltarci. Che altro deve succedere per non archiviare e dare nuovo impulso alle indagini?
Ed è stato ancora una volta il presidente della Repubblica Mattarella a trovare le parole giuste in questo anniversario, rendendo onore ai due giornalisti, parlando di «ignobili traffici, depistaggi, ritrattazioni, processi finiti nel nulla». E dicendo che «le istituzioni sanno che non ci si può mai arrendere nella ricerca della verità» e nel «rimuovere gli ostacoli alla libertà di informazione ovunque si manifestino». Ed è stato importante che concetti simili siano stati espressi dalle più alte rappresentanze del Parlamento e del governo a dalle forze politiche tutte. Ora, però, tutte queste forze debbono tenere a memoria le loro parole, dare loro coerenza.
Infine: questo anniversario è caduto nel momento in cui il Parlamento Europeo ha votato a grande maggioranza l'European Media Freedom Act, che rappresenta un atto forte – e da applicare – a difesa della libertà d'informazione, del giornalismo d'inchiesta, del servizio pubblico. Quel giornalismo che ha visto il sacrificio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma anche di tanti altri, da Maria Grazia Cutuli, a Daphne Caruana Galizia, ad Anna Politkovskaja vittime di un elenco troppo lungo. Quel giornalismo che ancora oggi costituisce un presidio fondamentale, da difendere. Un presidio di una cosa sotto attacco che si chiama democrazia.
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