- Di persone salvate non ce n'è neppure una, la maggior parte di loro sono in fondo al mare, adesso. Qualcuna galleggia con una camera d'aria intorno alla vita, a segnalare il destino orribile che è toccato a tutti. Centoventi, centotrenta. Non lo sappiamo.
- Eppure io, a bordo, dovevo portare a termine quella che ormai è la missione che ho scelto: raccontare la felicità. Era la prima volta che un’organizzazione umanitaria accettava di far salire a bordo uno “YouTuber” per raccontare con un altro linguaggio la vita di chi salva e chi viene salvato in mare.
- Spero ancora di poterlo fare, di poter filmare i canti di gioia dei sopravvissuti, ma l'altra faccia della medaglia – quel Mediterraneo ormai mare di morte – mi ha colpito con tutta la sua tetra violenza.
Per il momento, non c'è nessuna traccia della felicità che volevo raccontare. La gioia di salvare le persone e il dramma di doverlo fare da soli. Di persone salvate non ce n'è neppure una, la maggior parte di loro sono in fondo al mare, adesso. Qualcuna galleggia con una camera d'aria intorno alla vita, a segnalare il destino orribile che è toccato a tutti. Centoventi, centotrenta. Non lo sappiamo.
La corsa disperata
Sono passati cinque giorni dalla notte di mercoledì, dalla corsa disperata della Ocean Viking, per cercare di raggiungere quel gommone in difficoltà. La vita a bordo va avanti. Vedo i soccorritori avvolti nelle loro tute da lavoro, indaffarati nel cercare di salvare altre vite, altre storie altri destini. Negli occhi di tutti c'è ancora un po' di quel vuoto, di quella tristezza immensa che giovedì sera ci è entrata dentro.
Luisa, la coordinatrice dei soccorsi, quella sera ci ha raccolti tutti in sala riunioni. Ci siamo seduti a terra, in cerchio. Abbiamo fatto un minuto di silenzio per ricordare le vittime dell'ennesimo naufragio evitabile. Luisa ha chiesto a tutti i soccorritori se se la sentissero di andare avanti. Tutti hanno detto sì: ci sono altre persone in pericolo, altre vite affidate al mare. Non ci si può fermare neanche per il lutto, neanche per riprendere fiato.
E così siamo qui, a miglia e miglia dalle coste di quell'inferno che si chiama Libia. I ragazzi sono sul ponte: dalle canne di un binocolo cercano di vedere un puntino bianco o nero che va su e giù alternandosi al moto ipnotico delle onde. Su quel puntino donne, vite destini ai quali gli occhi dell'Europa non badano più.
Uno YouTuber
Eppure io, a bordo, dovevo portare a termine quella che ormai è la missione che ho scelto: raccontare la felicità. Si può trovare, la felicità, anche a bordo di una nave di soccorso. Questo è quello che mi ero prefisso di fare prima di imbarcarmi sulla Ocean Viking di SOS Méditerranée. Era la prima volta che un’organizzazione umanitaria accettava di far salire a bordo uno “YouTuber” per raccontare con un altro linguaggio la vita di chi salva e chi viene salvato in mare.
Spero ancora di poterlo fare, di poter filmare i canti di gioia dei sopravvissuti, ma l'altra faccia della medaglia – quel Mediterraneo ormai mare di morte – mi ha colpito con tutta la sua tetra violenza.
Sos Méditerranée ha salvato 32mila vite in 5 anni. Ma il mare, e soprattutto l'indifferenza di chi potrebbe intervenire e non lo fa, sono spietati. La morte è reale. Il lutto è reale. Fa anche questo parte della vita. È anche questo degno di essere raccontato. Anche se non tutti vorranno ascoltare. Anche se molti preferiranno voltarsi dall'altra parte.
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