I social media sono diventati un habitat ideale per espressioni e linguaggi ostili e aggressivi, che indichiamo normalmente come hate speech. Non c’è da stupirsi, quindi, se una delle forme di odio più antiche e virulente, l’antisemitismo, trovi spazio e audience sul web in modo crescente. Il problema è che l’intreccio tra business e mentalità aggressiva crea un prodotto davvero pericoloso per le democrazie. Da un lato, si aprono spazi enormi e liberi per aggredire “naturalmente” e rabbiosamente gli altri, insultarli, minacciarli, ed esprimere pregiudizi non più velati (si vedano i vergognosi attacchi a Liliana Segre); dall’altro, c’è chi guadagna da questa esposizione sbandierata della demenziale cattiveria umana.
Non va dimenticato, infatti, che l’odio viene pagato da alcuni (le vittime target) ma fa guadagnare altri, dato che tutto il sistema dello scambio online, apparentemente gratuito, si poggia su massicci inserimenti pubblicitari. Tutto ciò che comporta intensità emotiva cattura l’attenzione e sposta gli utenti su certe pagine. L’odio, in particolare, ha una potente attrattiva, anche verso chi è bene intenzionato e vuole magari solo comprendere, senza necessariamente condividere. Tuttavia, alla fine, la somma dei clic porta più gente possibile a visualizzare quel contenuto che, a sua volta, sarà quindi appetibile per gli investimenti pubblicitari.
Con questo sistema anche alcuni gruppi politici hanno conquistato consensi e voti. I populismi sono stati enormemente avvantaggiati dalla deregulation sul web, confusa con la libertà d’espressione. Quindi è opportuno collocare questo tema non solo sul piano della psicologia collettiva e delle comunicazioni di massa, ma anche del business. Non è un caso che le grandi piattaforme siano alle prese con il problema del dissenso e del boicottaggio di alcuni grandi marchi rispetto alle loro posizioni o alle loro omissioni: questo potrebbe essere il vero pericolo per i big del settore (Facebook, Twitter, YouTube, Instagram), molto più dei tentativi dell’Unione Europea o di singoli stati (Germania, Francia, speriamo anche l’Italia) di arginare l’hate speech.
L’antisemitismo ha molto da dirci sui processi con cui l’odio si comunica e si contagia online (secondo i dati del Cdec - Centro Documentazione Ebraica Contemporanea quasi il 70 per cento degli atti di antisemitismo sono on line). Intanto, è un fenomeno profondamente irrazionale, anche se le strategie di diffusione sono spesso programmate da centrali bene organizzate. Il carattere anomalo e incoerente dell’antisemitismo emerge tra l’altro, com’è noto, dalla motivazione che gli ebrei vanno colpiti per alcune ragioni e insieme per il loro contrario: sarebbero ricchi dominatori, capitalisti, complottano nell’ombra, ma anche parassiti e inutili. Vivono dentro le società, ma sono anche estranei, stranieri.
Durante il nazismo, furono accusati di essere allo stesso tempo bolscevichi e liberali, conservatori e materialisti e quindi come ha scritto Alon Confino, «rappresentavano nemici diversi e spesso opposti». Diventa davvero pericoloso un nemico che somma in sé simultaneamente tutti i diversi nemici agli occhi di persone differenti.
Questo aspetto è evidente anche nel caso dell’associazione tra ebrei e Covid-19, veicolata dal web. Sono circolate versioni opposte: il virus è inventato dagli ebrei, oppure è reale ed è frutto di un complotto ebraico. Non è certo una novità. Gli ebrei sono stati associati molte volte, in passato, a pestilenze e epidemie, come nel caso della peste nera del XIV secolo in Europa, quando molti di loro furono massacrati con l’accusa di aver diffuso la malattia avvelenando i pozzi d’acqua. Adolf Hitler li paragonava ad un «bacillo dannoso» e nella propaganda nazista furono descritti come insetti parassiti o altri animali che portano malattie.
Se si segue questo registro narrativo, si trovano molte variazioni sul tema, come quelle che la pandemia sia un programma sionista per spopolare il mondo, o una cospirazione di Israele con Usa e Cina per far scoppiare la terza guerra mondiale; oppure che uomini d’affari come l’ungherese George Soros (bersaglio preferito dell’antisemita globale) abbiano un qualche interesse economico nel contagio, e ora nella diffusione dei vaccini. In ogni caso, la minaccia rappresentata dagli ebrei viene descritta come simile a quella degli untori in età medievale o moderna.
Una ricerca dell’Osservatorio sull’odio online Mediavox dell’Università Cattolica di Milano ha individuato, nella primavera scorsa, la presenza del 16 per cento di tweet d’odio tra tutti quelli che riguardavano gli argomenti ebrei, Israele, pandemia, virus. Tra i tweet rilevati, la grande maggioranza non rivolgeva agli ebrei l’accusa di essere una “razza inferiore”. In questo senso, i neo-antisemiti di oggi ritengono di non essere tali, proprio perché non usano questo tipo di argomento biologico, screditato e reso tabù nel dopoguerra. Usano però tutti gli altri registri del pregiudizio antisemita, dall’odio demonizzante contro Israele, all’idea del complotto ebraico per dominare il mondo globale, non meno pericolosi. L’associazione tra una sopravvissuta di Auschwitz, Liliana Segre – considerata politicamente “di parte” – e il virus, ha prodotto non a caso le minacce ora oggetto di attenzione della Procura di Milano. I no vax esprimono una rabbia anti-istituzionale che in questo caso si rivolta anche contro una memoria che dovrebbe unire gli italiani. D’altra parte, a livelli più blandi ma non meno pericolosi una europarlamentare italiana qualche settimana fa ha posto la scritta No vax su una stella gialla, capovolgendo un sintomo di protezione (il vaccino) con uno di persecuzione. Un esempio di quella distorsione dell’Olocausto che offende le vittime e progressivamente erode una memoria comune.
Le immagini virali del web contribuiscono a propagare leggende e calunnie di antica data. La raffigurazione dell’happy merchant (la fisionomia considerata “ebraica” sgradevole e grottesca) si trova oggi in Internet associata a tutte le crisi contemporanee, dall’attentato alle torri gemelle al muro Usa-Messico. Come già sappiamo dalla macchina della propaganda nazista, uno degli strumenti più potenti per additare l’ebreo come nemico è la disumanizzazione. Se non sono “come noi” allora sono altro e i loro diritti possono essere violati. Sul web si trovano, quindi, disegni e fotomontaggi con associazioni ad animali (insetti, rettili) o a organismi biologici (bacilli, virus, amebe).
Quello che non tutti sanno è che il modello della propaganda antisemita ha fatto scuola sulla rete di oggi. Dietro molte manifestazioni di pensiero cospiratorio ci sono i prototipi del passato. In un certo senso i complottisti di oggi, coscientemente o meno, si ispirano alle architetture linguistiche e psicologiche che Umberto Eco ha bene spiegato. In particolare i seguaci di QAnon, che risulta fossero presenti all’assalto a Capitol Hill, e che hanno eletto loro rappresentanti al Congresso americano (15mila persone seguono il loro sito in Italia), non hanno inventato i loro miti, li hanno tratti (senza dirlo e forse talvolta senza neanche saperlo) dal repertorio antisemita del passato. Il mito del complotto globale, così bene esemplificato dai Protocolli dei Savi di Sion (ancora in circolazione specie nel mondo arabo e in America latina), riguarda una minoranza che vuole prendere il potere a livello globale a fini di dominio.
I malvagi si uniscono in una congiura e i buoni devono salvare il mondo dalle loro trame. Tra fiction, fantasy e videogames si gioca la lotta tra le tenebre e la luce che esalta menti poco abituate al ragionamento e molto facili al contagio non del dubbio, ma del sospetto generalizzato. Per QAnon la setta minacciosa (con Hillary Clinton e altri), non a caso vuole rapire i bambini per traffico d’organi: una riedizione dell’accusa del sangue, cioè dell’idea che gli ebrei li rapissero per omicidi rituali. Dal complotto di ieri alla politica di oggi, gli schemi si ripetono e questo odio rappresenta un repertorio di immagini e leggende utili, riadattabili anche ai fatti attuali. Nella Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo, frutto del lavoro che abbiamo promosso presso la Presidenza del Consiglio, vengono affrontati questi temi, proprio in questa ottica passato-presente. Anche in questo senso la lotta all’antisemitismo non è un problema che riguarda solo gli ebrei, ma una questione di democrazia minacciata anche dalle nuove forme di odio online.
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