- Nonostante da 45 anni esista una legislazione europea sulla parità di retribuzione tra donne e uomini, il divario salariale di genere nell'Ue rimane elevato: oltre il 14 per cento.
- A questo ritmo, in Italia serve mezzo secolo per la parità. Una direttiva europea permetterebbe di applicare la trasparenza salariale al settore pubblico (cosa che la legislazione italiana attualmente non fa) e darebbe impulso alla parità salariale.
- La Commissione Ue ha presentato la direttiva sulla trasparenza salariale: un passo avanti importante, ma la proposta ha anche seri limiti da superare migliorandola.
Il 4 marzo la tanto attesa proposta di direttiva dell'Unione europea sulla trasparenza salariale è stata finalmente pubblicata – più di un anno dopo quanto promesso! Nonostante da oramai 45 anni esista una legislazione europea sulla parità di retribuzione tra donne e uomini, il divario salariale di genere nell'Unione europea rimane ancora inaccettabilmente elevato: oltre il 14 per cento. La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha recentemente calcolato che al ritmo attuale, molto lento, la parità salariale non sarà raggiunta in tutta l'Unione europea fino al prossimo secolo (nel 2104) e non prima di 50 anni in Italia (nel 2074)!
Ostacoli alla parità
Cosa può essere fatto quindi per garantire che le donne raggiungano – per davvero - la giustizia salariale? È risaputo che la trasparenza salariale aiuterebbe a colmare il divario salariale di genere. Dopotutto, come si può raggiungere la parità di retribuzione se le clausole di segretezza nei contratti di lavoro impediscono ai lavoratori di conoscere la retribuzione degli altri? Che possibilità ci sono di ottenere la parità retributiva se il divario salariale all'interno delle organizzazioni non viene rivelato? Ecco perché diversi paesi nell'Unione europea – ma non solo - hanno già elaborato leggi sulla trasparenza salariale.
Importanza dell’azione Ue
Uno di questi paesi è l'Italia; ma anche qui, dove il divario salariale di genere non è così grave come in alcuni altri paesi dell'Ue, una direttiva europea permetterebbe di applicare la trasparenza salariale al settore pubblico (cosa che la legislazione italiana attualmente non fa) e, in questo modo, darebbe impulso alla parità salariale. Pertanto, il fatto che la Commissione europea abbia pubblicato una direttiva sulla trasparenza salariale rappresenta un passo in avanti importante, oltre a contenere buoni principi e intenzioni che il sindacato europeo accoglie favorevolmente. Con l'obbligo di dare a ogni lavoratore informazioni chiare sui salari nell'organizzazione per cui lavora, e per i datori di lavoro di pubblicare rapporti annuali sul divario retributivo di genere in azienda e piani d'azione per affrontare tale divario, la direttiva aiuterà certamente a ridurre la segretezza sulla retribuzione e a fare luce sulla disuguaglianza salariale.
Limiti della direttiva
Tuttavia, pur contenendo buoni principi, la direttiva non fa abbastanza per dare alle lavoratrici e ai sindacati il potere di contrattare in maniera efficace la parità di retribuzione nella realtà. Al contrario, la direttiva pone almeno tre ostacoli al raggiungimento della parità salariale. In primo luogo, solo le ditte con più di 250 dipendenti devono effettuare verifiche salariali e piani d'azione. Questo esclude il 67 per cento circa di tutti i dipendenti dell'UE che lavorano per piccole e medie imprese. L'Italia è conosciuta per le sue piccole imprese, che – tra l’altro - sono la spina dorsale dell'economia di molti paesi europei. Questa soglia è più alta di quella prevista dalla legge italiana sulla trasparenza salariale che si applica invece alle aziende con più di 100 dipendenti; ciò non fa che minare notevolmente il valore rappresentato dalla direttiva europea per le donne italiane.
Pari valore
In secondo luogo, la parità di retribuzione non riguarda solo la stessa retribuzione per lo stesso lavoro, ma anche la stessa retribuzione per un lavoro di pari valore. Questo significa paragonare la retribuzione di mansioni svolte prevalentemente da donne come, per esempio, i lavori di cura, pulizia e vendita - con lavori diversi, svolti prevalentemente da uomini, che richiedono le stesse competenze, qualifiche, responsabilità e rischi. La direttiva riconosce questo - come la legge europea esistente - ma propone di permettere ai datori di lavoro di decidere quali lavori possono essere paragonati tra loro ai fini della parità di retribuzione!
Cosa fare ora
In terzo luogo, la direttiva conferisce un ruolo ai "rappresentanti dei lavoratori" invece di riferirsi direttamente ai sindacati. Questo aprirebbe la porta a falsi sindacati istituiti dai padroni, e persino a "rappresentanti dei lavoratori" scelti dai datori di lavoro. Un modo per rallentare il progresso verso l'uguaglianza salariale, certo non per accelerarlo! Ora che – fortunatamente - la direttiva è stata pubblicata, spetterà ai parlamentari europei e ai ministri nazionali decidere se approvarla o meno. La Ces, insieme con i nostri colleghi italiani di Cgil, Cisl e Uil, metterà in campo tutta la propria forza ed il proprio impegno affinché la direttiva venga approvata e migliorata - e affinché i parlamentari e i ministri rimuovano gli ostacoli al progresso - in modo da dare alle lavoratrici la possibilità di raggiungere la parità salariale ben prima del 2074!
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