Nel quartier generale di Barcellona è un via vai di valigie da riempire, emozioni da cristallizzare, amicizie da vivere fino all’ultimo arrivederci. «Ogni mattina mi sveglio più stanca», ammette Giulia Conti, skipper e timoniera del team femminile di Luna Rossa Prada Pirelli. L’orgoglio per la storica impresa di aver vinto la Puig Women’s America’s Cup – prima edizione riservata alle donne – fa i conti con la spossatezza che genera il calo di adrenalina. Per lei e per tutto l’equipaggio composto da Margherita Porro (timoniere), da Marta Giubilei e Giulia Fava (trimmer). Citazione d’obbligo per Alice Linussi, Maria Vittoria Marchesini e Giovanna Micol, la cui definizione di “riserve” non deve essere riduttiva.

Giulia Conti è velista di fama internazionale, in bacheca titoli mondiali ed europei nei 470 e nel 49erFX, quattro partecipazioni alle Olimpiadi, una carriera da pluripremiata coach negli Stati Uniti. Il prossimo 4 novembre festeggerà 39 anni.

Lei è indubbiamente la leader, come si amalgama un gruppo così eterogeneo tra giovani e più esperte?

Ci siamo dovute annusare. All’inizio le incomprensioni ci sono state, avevamo diversi vocabolari e attitudini. Abbiamo dovuto imparare a gestire la difficoltà principale legata alla vista: nelle classi olimpiche si va in due, si ha la visuale completa di ciò che accade in mare. A bordo dell’AC40 invece tu non vedi metà della barca, è necessario imparare a fidarsi l’una dell’altra, capire le scelte e le sensazioni che arrivano da chi siede sul lato opposto. Un merito enorme va a Simone Salvà, il nostro coach. La cosa figa di quest’avventura è proprio l’affiatamento che siamo riuscite a creare. Questo è un gruppo di ragazze davvero speciali

Salvà è anche allenatore del team Under 25 che ha conquistato la Youth America’s Cup. 

Ci siamo allenate sempre insieme a Marco Grandoni e agli altri ragazzi. È stato un percorso lungo, prima al simulatore poi in mare. Siamo cresciuti insieme. Ci siamo aiutati a vicenda. Durante il loro evento, noi ragazze facevamo da shore team, ci occupavamo della messa a punto della loro barca prima dell’uscita in mare. Poi è toccato a loro, così noi avevamo solo la responsabilità di gareggiare

I due successi, del team femminile e di quello giovanile, hanno in parte attutito la delusione cocente di Luna Rossa sconfitta nella finale della Louis Vuitton Cup da Ineos Britannia?

Il senso di frustrazione è stato enorme per tutti, Max Sirena (skipper e team director di Luna Rossa, ndr) ha sentito addosso tutta la responsabilità. Io dovrò sempre ringraziarlo, per l’aiuto, la fiducia, la presenza, è sempre stato un grande tifoso della squadra femminile. Dopo la nostra vittoria la sua frase “mi hai fatto pure commuovere” la porto nel cuore. Abbiamo percepito un affetto genuino da parte di tutto il gruppo della prima squadra.

La concezione ottocentesca delle donne che portano jella in barca è stata messa in soffitta? Diciamola tutta, nel mondo della vela il pregiudizio femminile è stato spesso un macigno.

In Italia c’è sempre stata molta diffidenza, soprattutto per via della diversa fisicità. Dico però che noi siamo riuscite a scardinare molti pregiudizi. Gran Dalton, il gran capo di Team New Zeland, ha voluto aprire la Coppa America alle donne con grande lungimiranza. 

Proprio Dalton ha ventilato, per la prossima edizione, la riduzione del numero dei ciclisti a bordo con il conseguente aumento dei velisti. Come dire, se venisse meno la fisicità estrema non sarebbe più un’utopia la presenza delle donne sui bolidi del mare AC75. Patrizio Bertelli ha già chiuso la porta all’ipotesi di equipaggi misti, Max Sirena invece dice di non essere affatto contrario.

Io vorrei una maggiore apertura nei confronti di noi donne, ovvio. Non mi piace parlare di quote rosa, preferisco ragionare in termini di meritocrazia. Spesso ci hanno accusato di non avere esperienza? Ecco, diciamo che adesso con l’America’s Cup abbiamo in parte ricucito questo gap.

In questi giorni impazza il vela-mercato. Se le dovesse arrivare una chiamata da un team rivale? In fin dei conti lei stessa è stata presa dalla concorrenza, era nel team di American Magic.

Dal 2018 ero allenatrice negli Stati Uniti. Per la campagna 2024 avevo il ruolo di coach del team Youth and Woman. Quando mi è arrivata la chiamata di Jacopo Piazzi, coordinatore del progetto giovani e donne di Luna Rossa, sono rimasta stupita perché mi proponeva di tornare in barca, di abbandonare il ruolo di coach. Confesso che all’inizio ero spaventata dalle velocità che raggiungono gli AC40. Nel giro di pochi mesi Luna Rossa è diventata come una seconda famiglia e io ho realizzato uno dei sogni di Giulia bambina vincendo la Coppa America

© Luna Rossa Prada Pirelli Team

A proposito di sogni. Ne aveva un altro, conquistare una medaglia olimpica che però non è mai arrivata. Un debutto precoce a 19 anni ad Atene 2004, per il quale posticipò di un anno la maturità. Poi le tre successive Olimpiadi sono state una delusione, a maggior ragione perché ci arrivava con il peso di essere la favorita.

Lei ha usato il termine “peso”. Ricordo che a Rio 2016, ancor prima dell’inizio delle gare, non vedevo l’ora che finisse il prima possibile. Mi sentivo super caricata di pressioni. Dall’esterno, ma anche da me stessa. Avevo assimilato una certa cultura tossica del risultato: se non vai a medaglia non vali niente. Psicologicamente non ho vissuto le Olimpiadi in maniera corretta, ma questo l’ho capito con il senno di poi. Il ricordo più bello resterà sempre legato ad Atene 2004, proprio perché avevo 19 anni. Nel villaggio olimpico avevamo come vicine di stanza le azzurre della pallanuoto, io ero diventata la loro portafortuna. “Giulia non puoi partire”, mi dicevano. Mi sono nascosta per poter assistere alla loro semifinale. Poi i responsabili del CONI mi hanno beccata ma mi hanno fatto restare per la finale in cui il Setterosa ha vinto l’oro. Le ragazze mi hanno regalato il pallone della finale.

Dopo l’ultima olimpiade a Rio 2016 disse: stacco tutto, vado in giro per il mondo a ritrovarmi.

Ho fatto un viaggio con i miei genitori, una regata alle Bahamas. Poi sono stata a Los Angeles e mi sono fermata per tanto tempo in Messico. Quando sono tornata in Italia ho ricevuto la proposta di allenare dei ragazzi argentini sul 470 a casa mia, sul Lago di Garda. 

È più casa Roma o il Garda?

A Roma ci sono nata, conservo un legame con il mio circolo Canottieri Aniene. Sin da piccola ho trascorso le estati dai nonni materni sul lago, sponda bresciana. Ero iperattiva, facevo disperare i miei, proprio per tenermi impegnata dalle 9 del mattino fino a sera, mi hanno iscritto a 11 anni ad un corso al Circolo Velico di Tuscolano Maderno. Io avevo già provato ogni sport possibile ma con la vela è stato subito amore totale. L’anno dopo ci siamo trasferiti a Bergamo e poi, quando avevo 13 anni, ci siamo stabilizzati sul lago di Garda

Iperattiva e allegra. È ancora così?

Mhmm. Sono cambiata nell’ultimo anno e mezzo, ho un approccio alla vita più introspettivo. Mi piace stare da sola, a contatto con la natura, leggere. Prendo il mio Van e giro, per i campi, al mare o in montagna, magari mettendo il telefono in modalità-aereo. Ho imparato a prendermi cura di me come non avevo mai fatto prima, forse perché per troppo tempo sono stata spesso fidanzata. Ho scoperto la persona più importante della mia vita: me stessa. 

Fidanzata con ragazze, si può dire? Non è mai stato un problema vero?

Si che si può dire, nel 2024 mica fa notizia. Magari all’inizio i miei genitori hanno fatto un po’ fatica ad accettarlo, per una forma di protezione immagino. Ma adesso è una cosa sdoganatissima

Leggere, diceva. Sul comodino che libri ci sono?

Due. Uno in inglese, Belonging, sul senso di appartenenza. L’altro in spagnolo, La Heredera del Mar, un romanzo storico.

Quindi, velista, cittadina del mondo, libera. E orgogliosa vincitrice della Coppa America

La settimana scorsa abbiamo disarmato l’imbarcazione, l’AC40. In attesa di capire cosa mi riserverà il futuro mi godo questo stato d’animo. È proprio un senso di pienezza.

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