Oltre a centinaia di morti e migliaia di feriti l'esplosione dello scorso 4 agosto ha rilasciato nell'aria quantità preoccupanti di gas tossici. Il racconto di chi sta operando sul campo.
- Dopo l'esplosione dello scorso 4 agosto l'aria della città di Beirut è diventata tossica e Greenpeace ha messo a punto alcune linee guida per aiutare a popolazione libanese a proteggersi dai rischi.
- Quando il nitrato di ammonio esplode rilascia grandi quantità di diossido di azoto, un gas che ha effetti dannosi sul sistema respiratorio e può anche reagire nell’atmosfera, producendo un altro micidiale inquinante, l’ozono.
- Il Libano non è dotato di una rete funzionante di stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. E deve anche fronteggiare una seconda ondata di contagi da coronavirus che rischia di far collassare il sistema sanitario.
Il 4 agosto, mentre spedivo l'ultima e-mail di lavoro e stavo per spegnere il computer, pensavo “ecco, e anche oggi è fatta, un’altra giornata sta per finire”. All’improvviso le finestre del mio appartamento sono state scosse da un’esplosione in lontananza, seguita da un’imponente deflagrazione.
Per fortuna non ho avuto danni. A quel punto su WhatsApp si sono rincorse le interpretazioni su quale zona potesse essere stata colpita. Forse il palazzo presidenziale? Magari l’abitazione di un politico importante? No: si trattava del porto di Beirut. L’hangar numero dodici, che conteneva 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, era esploso dopo aver preso fuoco.
La premessa da fare è che nelle scorse due settimane lo staff di Greenpeace Mena (Medio oriente e nord Africa) stava lavorando da casa, perché era in corso una seconda ondata di Covid-19, persino più violenta della precedente. Io proprio in quei giorni mi ero trasferito: avevo lasciato l’appartamento nell’antico quartiere di Achrafieh, che è il cuore di Beirut, e mi ero spostato in una zona più periferica, a est della capitale.
Per noi che operiamo in medio oriente un rumore di esplosione è qualcosa di fin troppo familiare. Ma la vista di quella enorme nuvola arancione è stato qualcosa di inedito. Qualcosa di cui ancora facciamo fatica a capire la portata: di certo l’esplosione ha rilasciato sostanze dannose per le persone e per l’ambiente, ma non è ancora chiaro con esattezza che cosa sia esploso, che cosa sia bruciato, e soprattutto bisogna assolutamente fare luce su quali effetti avrà tutto questo sulla nostra salute e su quella dell’ecosistema.
Nell’istante della deflagrazione non mi sono subito reso conto della portata del disastro. Poi ho acceso la tv, ho visto i danni; il bilancio dei morti cresceva in modo esponenziale (al momento i morti sono oltre duecento e più di settemila i feriti, ndr). Ho cominciato allora a realizzare che si era trattato di un’esplosione senza precedenti. Ho fatto al volo qualche telefonata per assicurarmi che i miei affetti più cari stessero bene, e per fortuna quel giorno erano fuori, in montagna.
La nostra squadra di crisi è stata subito informata. Prima ci siamo assicurati che il nostro staff e i volontari stessero bene, e ci ha sollevati sapere che erano tutti al sicuro. Poi, dopo aver appreso la natura dell’esplosione, abbiamo subito contattato l’unità scientifica di Greenpeace, che ha la sua sede a Exeter, nel Regno Unito. Ci ha messi in guardia sui rischi di una simile esplosione e ci ha aiutati a mettere a punto alcune linee guida per la popolazione libanese: a seguito dello scoppio, l’ambiente era diventato tossico, e dunque bisognava adottare alcuni comportamenti per proteggersi.
Quando il nitrato di ammonio esplode, rilascia grandi quantità di diossido di azoto, il quale produce le esalazioni arancioni che hanno ricoperto la città, e che poi, trascinate dal vento, hanno iniziato a spostarsi verso nord e anche verso l’entroterra, a est.
Questo gas tossico ha effetti dannosi sul sistema respiratorio e può anche reagire nell’atmosfera producendo un altro micidiale inquinante, l’ozono. Noi di Greenpeace Mena conosciamo fin troppo bene questi gas, visto che da tempo portiamo avanti campagne sull’inquinamento dell’aria, scontrandoci con il settore energetico libanese che ancora si fonda sui carburanti pesanti, i più sporchi fra i combustibili fossili.
L’inquinamento da diossido di azoto in condizioni normali forma una coltre color bronzo, spessa e stagnante, che aleggia sopra Beirut. Ma non è niente di paragonabile a quello che è stato rilasciato nel giorno dell’esplosione.
A tutto questo va aggiunto il rischio che i contagi da Covid-19 aumentino vertiginosamente e che questo porti a un punto di rottura il sistema sanitario, che è già a un passo dal collasso.
La sera dell’esplosione, io e la mia compagna abbiamo deciso di andare nel centro di Beirut per portar via sua sorella dal suo appartamento (o meglio, da ciò che ne rimaneva, visto che ormai era inabitabile). In quel frangente ho realizzato quanto fosse imponente il disastro: passare nella capitale, lasciata completamente al buio, e vedere tutte quelle persone in preda al panico per la strada mi ha fatto sentire all’improvviso come se mi trovassi in una scena di un qualche film apocalittico hollywoodiano.
Le case erano distrutte, ai palazzi erano state strappate via le facciate e le finestre. Le auto erano finite schiantate contro gli alberi e i pali di acciaio. La gente correva di qua e di là.
C’era tantissimo traffico e così abbiamo parcheggiato lontano e poi ci siamo diretti a piedi verso l’appartamento. Abbiamo preso lo stretto necessario e poi di nuovo siamo tornati in periferia, per fortuna incolumi.
Oggi, mentre ci lecchiamo le ferite e contiamo i nostri morti, mi risolleva un po’ il senso di solidarietà e di vicinanza che sta dimostrando il popolo libanese, in un momento così fosco. Le persone arrivano da ogni angolo del paese per aiutare a pulire e a sgombrare le strade, le case devastate. C’è un flusso di donazioni internazionali, grazie agli espatriati libanesi e a chi dona dall’estero. La gente sta mettendo a disposizione le proprie abitazioni per accogliere i trecentomila abitanti della capitale rimasti senza casa.
Il ruolo che possiamo avere noi di Greenpeace è quello di assicurarci che le persone abbiano tutte le informazioni necessarie per evitare di rimanere esposte alle nubi tossiche che aleggiano sulla capitale e sopra le loro case. Stiamo anche setacciando le immagini satellitari. Purtroppo il Libano non è dotato di una rete funzionante di stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Quindi noi investighiamo perché vorremmo fornire informazioni precise sulle questioni ancora senza risposta, e che riguardano sia il tipo esatto di inquinanti sia il livello di contaminazione prodotto dall’esplosione.
La società civile libanese ancora non sa che cosa sia esploso e bruciato esattamente, oltre al nitrato di ammonio. E noi non possiamo stabilire quale sia il reale impatto di questa catastrofe, né aiutare pienamente a risanare la situazione, finché non avremo raccolto queste informazioni. Ed è proprio ciò che intendiamo fare.
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