Signor Direttore; ho letto con molto interesse l’intervento pubblicato sul Domani a firma di Orlando Materassi e Daniele Susini, rispettivamente ex presidente di Anei (Associazione nazionale ex internati) e storico. Mi permetta alcune riflessioni sui pensieri espressi dai due firmatari che ovviamente rispetto ma che in parte non condivido in radice.
Mi spiace, ad esempio, che la mia proposta di legge sia stata definita «velleitaria» addirittura «per accaparrarsi simpatie di chi crede veramente di fare del 20 settembre il giorno del ricordo degli Imi – cioè degli internati militari italiani – ma che non trova nessuna logica storica e di memoria».
Vado al punto: la proposta di legge che istituisce la giornata degli internati militari italiani (Imi) nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda guerra mondiale nasce dalla necessità, non più rinviabile dopo quasi ottant’anni di oblio, di restituire dignità e onore ai circa 650.000 militari che rifiutarono l’odioso compromesso di inginocchiarsi dopo l’8 settembre ‘43 alle truppe di Adolf Hitler preferendo invece il tragico destino di essere reclusi in 21 campi di detenzione gestiti dalla Wermacht.
Ai militari italiani prigionieri, i tedeschi offrirono la possibilità di tornare liberi, bastava entrare a far parte delle Ss o dell’esercito della nascente Repubblica di Salò (citata espressamente e non a caso nella legge all’articolo 1, a proposito della linfa antifascista che ci ha guidati...). Scelsero consapevolmente di rifiutare qualsiasi forma di collaborazione con i nazisti e i fascisti e con altrettanta consapevolezza affrontarono sofferenze e privazioni anche coscienti di andare incontro alla morte come accadde per 45.000 di loro.
Furono degli eroi civili e militari, il loro sangue sta alle fondamenta della Repubblica italiana esattamente come il sangue di chi cadde durante la Resistenza. Gli storici cominciarono ad occuparsi degli Imi solo dalla metà degli anni Ottanta e, ancora più tardi, dei civili. Obbedendo al richiamo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di «fare memoria» e soprattutto «memoria condivisa» ho dunque preso questa iniziativa dopo aver visitato un luogo di sofferenza e di monito qual è il museo «Vite di Imi» a Roma gestito dall’ANRP, cioè l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento, dalla guerra di liberazione.
Così come ho preso spunto (basterebbe leggere la relazione che accompagna la proposta di legge) dall’attività meritoria dell’Anei che porta avanti il proprio impegno in particolare attraverso il museo nazionale dell’internamento di Padova, adiacente al tempio nazionale dell’internato ignoto.
A proposito dell’Anei tengo a precisare come la Presidente Anna Maria Sambuco mi ha fatto sapere di non aver condiviso quanto pubblicato da Materassi e Susini e, aggiungo a proposito del clima di concordia, che con la stessa mi sono già confrontato nelle scorse settimane oltre ad aver già in calendario un altro incontro.
A questo proposito ritengo opportuno sottolineare come la Camera dei deputati abbia scritto una bellissima pagina sul tema della «memoria condivisa» e di quella necessità, cito ancora il presidente Mattarella, di stimolare la concordia su questi temi perché «senza memoria non c’è futuro».
La proposta di legge, infatti, è stata sottoscritta da tutti i partiti (solo per citare due esempi sia l’onorevole Andrea De Maria del Partito Democratico che l’onorevole e vicepresidente delle Camera dei deputati Sergio Costa del Movimento 5Stelle mi hanno chiesto di aggiungere la loro firma) ed è stata approvata all’unanimità al termine di un velocissimo iter che si concluderà a settembre con l’approvazione in aula, in coincidenza con il 20 settembre di 81 anni anni fa quando, nel disprezzo delle norme di diritto internazionale, Hitler modificò lo status dei militari italiani da prigionieri di guerra in Italienische Militär-Internierte (Imi, internati militari italiani).
Vorrei infine dichiarare la mia totale distanza dalla necessità alla quale mi chiamano Materassi e Susini di «prendere una decisione di ripudio del fascismo». Si tratta di un’offesa alla mia storia e al mio presente, al mio impegno politico e alla mia coscienza: i due firmatari evidentemente non hanno mai avuto tempo di fare neppure una rapida ricerca per soddisfare questa loro pretesa. Su questo non transigo: cotanta superficialità non la perdono, a maggior ragione non posso perdonarla a chi si fregia del titolo di “storico“.
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