- II processo che dall’istituzione della Commissione Cosciani nel 1963 portò alla nascita effettiva dell’Irpef nel 1974 – come ricordato da Draghi - aveva come obiettivo quello di fare ordine, ripulendo l’impianto tributario del nostro paese da rimasugli ottocenteschi e aggiornandolo.
- Ciò che aggiunge grande disordine è la giungla delle spese fiscali, ossia l’insieme di deduzioni, detrazioni, esenzioni, regimi speciali e crediti di imposta che riducono il gettito.
- Sono tre i fronti su cui agire se oggi si vuole mettere in ordine l’Irpef : base imponibile, aliquote, deduzioni e detrazioni.
Nel discorso al Senato di mercoledì, Mario Draghi ha rimesso al centro della scena politica i giovani, l’ambiente, le donne, e le riforme. Proprio le riforme, spauracchio della politica degli ultimi anni, dovranno necessariamente accompagnare e promuovere la ripresa post-pandemica. Tra le priorità citate, la riforma del fisco sarà una delle sfide più importanti dell’esecutivo.
Il sistema fiscale italiano oggi assomiglia a una giungla. Tra le varie imposte, l’Irpef contribuisce maggiormente al bilancio pubblico italiano, con un gettito di oltre 191 miliardi di euro nel 2019, e tuttavia, nonostante la sua fondamentale importanza, assomiglia a uno scaffale carico di libri ammassati senza criterio. Eppure, il processo che dall’istituzione della Commissione Cosciani nel 1963 portò alla nascita effettiva dell’Irpef nel 1974 – come ricordato da Draghi - aveva come obiettivo quello di fare ordine, ripulendo l’impianto tributario del nostro paese da rimasugli ottocenteschi e aggiornandolo in maniera chiara alla luce della Costituzione repubblicana. Dal 1974 in poi, invece, è stato un continuo aggiustare, aggiungere, scomputare: e così, dallo scaffale ordinato dei primi anni ’70 siamo passati al sistema confusionario, inefficiente e a tratti iniquo odierno.
Lungo questo percorso, il Libro Bianco del Governo nel 1994 spicca come un raro tentativo di visione complessiva, sviluppato su tre linee guida, oggi attualissime: “dalle persone alle cose” - uno spostamento del carico fiscale dai redditi personali ad altre forme di tassazione, come imposte patrimoniali e imposte indirette; “dal centro alla periferia” - una maggiore autonomia di prelievo e di spesa agli enti locali, in concomitanza a un aumento di accountability degli stessi; “dal complesso al semplice” – una riduzione del numero dei tributi, semplificando e rendendo più efficienti i processi di adempimento fiscale. Quella riforma non andò in porto e il percorso dell’Irpef ha quindi continuato a essere segnato da aggiustamenti marginali, specialmente dall’inizio degli anni 2000 in poi: la riforma mancata del centrodestra nel 2003, il riaggiustamento del centrosinistra nel 2007, il bonus 80 euro del 2014, e tutta la sfilza di detrazioni e regimi agevolati aggiunti di anno in anno dalle leggi di bilancio.
Giungle e follie
Se l’impalcatura dell’Irpef è relativamente semplice - cinque aliquote per altrettanti scaglioni di reddito per garantirne la progressività - ciò che aggiunge grande disordine è la giungla delle spese fiscali, ossia l’insieme di deduzioni, detrazioni, esenzioni, regimi speciali e crediti di imposta che riducono il gettito. Nel 2020, secondo le previsioni della Commissione per le spese fiscali del Mef, le spese fiscali relative all’Irpef sono costate circa 43 miliardi di euro alle casse dello stato in termini di mancato gettito. In tutto se ne contano 153 tipologie diverse, tra cui spiccano 47 esclusioni, 41 detrazioni, 20 deduzioni, 17 esenzioni e 8 regimi sostitutivi. È importante notare come queste misure spesso beneficiano solo un ristretto numero di contribuenti e individualmente hanno un costo relativamente basso per le casse dello stato - ben la metà delle misure infatti non supera i 100 milioni di euro. Vi sono quindi molti dettagli della struttura dell’Irpef che, sebbene abbiano un impatto poco visibile a livello macroscopico, complicano il sistema tributario, moltiplicando le casistiche di applicazione in maniera alle volte iniqua e arbitraria.
L’Irpef, inoltre, pesa in maniera eccessiva sul lavoro dipendente, disincentivandolo e riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Le modifiche avvenute nel corso degli anni hanno contribuito a ridurre la base imponibile, sbilanciando la pressione fiscale a favore di altre forme di reddito, come il lavoro autonomo, il reddito da attività finanziarie, o quello da fabbricati. Per esempio, a partire da circa 20mila euro per un contribuente single e da 30mila euro per un contribuente sposato con 2 figli, il reddito dipendente è molto più tassato delle altre forme di reddito. Inoltre, oltre i 30mila euro di reddito, l’imposta netta pagata con l’Irpef è seconda solo a quella sul reddito da attività finanziarie, e per valori superiori ai 35mila euro diventa l’imposta più alta in assoluto. Vi è poi l’effetto spesso paradossale delle detrazioni che arrivano a disincentivare nettamente il lavoro, come per esempio il bonus 80 euro: per alcuni contribuenti lavorare di più – e quindi raggiungere un imponibile più alto – significa perdere l’accesso il bonus – ottenendo quindi un reddito netto più basso.
Cosa fare nel pratico
Sono dunque tre i fronti su cui agire se oggi si vuole mettere in ordine l’Irpef : base imponibile, aliquote, deduzioni e detrazioni. Un lavoro complessivo di ripensamento del sistema, più che una rincorsa ai continui richiami delle sirene del “meno tasse per tutti”. Per quanto riguarda la base imponibile, c’è l’imbarazzo della scelta. Il numero di tipologie esentate che avrebbe invece senso ricomprendere in un’unica imposta sul reddito è infatti cospicuo: redditi da capitale delle persone fisiche (non inclusi dal 1974); rendite delle abitazioni di residenza (dal 2000); la quasi totalità dei redditi dei fabbricati tenuti a disposizione (dal 2012); canoni di locazione di abitazioni locate (dal 2011), parti di reddito da lavoro dipendente erogate come premio di risultato ai lavoratori dipendenti privati (dal 2008); parti di reddito derivanti dall’utilizzazione economica delle opere d’ingegno e dei diritti d’autore (dal 2008); redditi derivanti dalle ripetizioni private erogate da docenti (dal 2019); redditi da lavoro autonomo derivanti da ricavi inferiori a un determinato ammontare (dal 2019).
Per quanto riguarda le aliquote, ciò che conta davvero, anche alla luce dell’impatto del coronavirus, è intervenire urgentemente per ridurre il cuneo fiscale del lavoro sui redditi medi e medio-bassi, con un aumento quindi del reddito disponibile. Infine, le deduzioni e detrazioni, una giungla da disboscare, ma con attenzione. Una possibile strategia potrebbe essere quella seguita dal governo per il Family Act: sostituire bonus e detrazioni con nuovi strumenti più circoscritti di erogazione mensili di denaro legati all’Isee e non alla percezione di un reddito, in grado quindi di raggiungere con maggiore efficacia i cittadini che davvero ne hanno bisogno.
Una grande battaglia, ma non l’unica
Finalmente, vi è l’opportunità politica per mettere mano all’intricata rete del fisco italiano, partendo dalla sua imposta principale. Ma, come affermato da Draghi: «Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta». E in effetti ritoccare le aliquote legali o alzare di un poco la no tax area non basta. Occorre mettere mano alla base imponibile dell’Irpef e alle spese fiscali. Ma non solo: serve rivedere il sistema fiscale nel suo insieme, come non a caso ha fatto il legislatore tra gli anni Sessanta e Settanta. Ripensando ai principi guida del Libro bianco del 1994 si potrebbe provare a: tassare meno le persone e più le cose - disincentivando l’accumulo di stock di ricchezza poco produttivi e alleggerendo il carico fiscale sul fattore lavoro con gli introiti derivanti da una maggiore tassazione dei beni capitali; spostare parte del prelievo dal centro alla periferia - dando fiato, magari con le imposte immobiliari, alle finanze comunali; fare uno sforzo per arrivare al semplice, evitando il complesso - proseguendo con decisione sulla strada della digitalizzazione e del potenziamento del dialogo tra banche dati pubbliche. Per fare tutto ciò occorre investire tempo e capitale politico. Ma occorreranno anche competenze specifiche per districarsi nella giungla del sistema fiscale italiano. L’istituzione di una nuova Commissione che possa immaginare gli interventi necessari a semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo è una opzione interessante, che dovrà però poi essere affiancata dalla forza politica di implementare le misure proposte. La fase politica del Recovery Fund che ci apprestiamo a vivere – un punto di rottura con il passato e un’apertura al futuro post pandemico - potrebbe rappresentare la nostra migliore occasione.
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