- Il 23 giugno è la data del referendum sulla Brexit. A sei anni di distanza, il sogno inglese sembra sfumato, i flussi migratori rallentati. Gli italiani che vivono nel Regno Unito hanno affrontato le crisi, intrecciate, del divorzio dal’Ue e della pandemia.
- Un’inchiesta sull’impatto di Brexit e pandemia, e il sondaggio sull’opinione degli italiani sulla Brexit, patrocinato dal Comites di Londra con l’associazione Manifesto di Londra, mostra che la stragrande maggioranza di intervistati ha un parere negativo su Brexit. Il pessimismo è diffuso.
- Con la pandemia, le criticità si sono abbattute sulle categorie già più fragili. Che fine ha fatto il sogno inglese?
Oggi decorrono sei anni esatti dal referendum sulla Brexit, in cui il 51.9 per cento dei cittadini del Regno Unito ha votato per uscire dall’Ue. L’avvento di Brexit ha segnato un punto di svolta sia nelle storie personali che nella storia europea. Il giorno dopo il voto, circa mezzo milione di italiani – secondo l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, ma il consolato di Londra stima ufficiosamente siano quasi 700 mila – si sono svegliati con la sensazione che questa decisione epocale si sarebbe rivelata più complicata di quanto dichiarato dal governo Cameron. La comunità italiana in Regno Unito è la terza più popolosa tra quelle europee: Londra ospita circa 300mila italiani.
Crisi che si intrecciano
L’uscita definitiva del Regno Unito dall’Ue è avvenuta il 31 dicembre 2020, dopo estenuanti trattative. A partire dal 2021, la libertà di movimento e i diritti legati alla cittadinanza europea di cui godevano anche gli italiani sono cessati, sostituiti da un visto di residenza permanente (EU Settlement Scheme) accessibile a chi è arrivato entro la fine del 2020. Ma l’importanza storica e geopolitica di questa data è stata oscurata da una realtà che aveva travolto il mondo pochi mesi prima: la pandemia.
Sondaggio su Brexit e pandemia
Le ricerche finora condotte sulla pandemia mostrano che le comunità che per natura presentano fragilità, come quelle dei cittadini immigrati, hanno subito conseguenze più pesanti. L’esempio della comunità italiana nel Regno Unito non fa eccezione: è quanto emerge dal primo sondaggio sull’opinione degli italiani sulla Brexit, patrocinato dal Comites di Londra in sinergia con l’associazione Manifesto di Londra all’interno di un’inchiesta in due puntate sull’impatto di Brexit e pandemia. Indipendentemente dalle circostanze personali, la maggioranza degli intervistati (l’86 per cento) ha un parere negativo della Brexit ed esprime un diffuso pessimismo sia sul futuro del Regno Unito fuori dall’Unione che sulle future relazioni con la Ue. Un significativo 36,4 per cento riconduce il suo pessimismo alle conseguenze di Brexit sulla vita personale, a causa soprattutto dei ritardi nelle spedizioni, dell’aumento dei prezzi delle stesse e della difficoltà a reperire prodotti provenienti dall’Ue.
Fragilità su fragilità
Maggiori livelli di incertezza economica, malessere psicologico e preoccupazione verso il futuro sono stati percepiti da chi appartiene a categorie già considerate svantaggiate: donne, giovani, lavoratori di settori a rischio (ristorazione, alberghi, manifatturiero) e chi ha meno titoli di studio. Le stesse categorie che prima di Brexit consideravano il Regno Unito come una meta più appetibile e che si trasferivano lì al ritmo di duemila al mese.La pandemia ha anticipato ed amplificato le specifiche difficoltà affrontate dalla comunità italiana in Gran Bretagna a causa di Brexit. Le barriere alla mobilità si sono innalzate già a fine primavera 2020, quando la circolazione verso il Regno Unito era limitata da quarantene imposte da entrambi i lati della Manica, mentre all’interno dell’Unione si cercava di mantenere una minima libertà di circolazione. Anche chi aveva entrambi i passaporti ha avuto difficoltà a muoversi tra i due paesi nel momento in cui l’Unione ha chiuso le frontiere esterne. Lo stretto della Manica, normalmente attraversabile in trenta minuti di treno, è diventato il segno tangibile del primo divorzio europeo, rendendo evidente che l’uscita dall’Ue avrebbe avuto conseguenze molto concrete. I cittadini italiani che sono rientrati in Italia a causa della pandemia (quasi uno su dieci), rischiano di avere problemi ad ottenere il visto di residenza permanente alla scadenza di quello provvisorio concesso a chi ha meno di 5 anni di residenza continuativa, rischiando perfino il rimpatrio.
Governo e sfiducia
Con lo scoppio della pandemia è esplosa anche una sensazione di sfiducia verso il governo britannico, in netto contrasto con il sogno di maggior benessere e riconoscimento professionale che ha spinto per decenni gli italiani a emigrare. Una sfiducia nata nei lunghi anni di trattative spesso conflittuali e inconcludenti sull’uscita dal Mercato Unico e consolidatasi grazie all’approccio alla riduzione dei contagi da covid talmente blando da risultare irresponsabile nei momenti di picco pandemico. Complice la diffusione a tappeto del telelavoro in moltissimi settori lavorativi, questa sfiducia verso il governo di Westminster – i governi gallese e scozzese si sono distinti per politiche più caute e sensate - ha spinto molti italiani a riconsiderare il loro paese di residenza.
Flussi migratori rallentati
Già partire dal 2016 si è cominciato ad osservare un rallentamento del flusso migratorio dall’Italia al Regno Unito. Negli ultimi due anni questa tendenza si è consolidata, con un sostanziale esaurimento del flusso in entrata e un numero significativo di italiani (12 per cento) che considera seriamente il rientro in Italia, mentre il 7,4 per cento ha effettivamente lasciato il Regno Unito per l’Italia o per un paese terzo. Le ragioni? Un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, un’assistenza sanitaria più affidabile, la vicinanza alla famiglia, ma anche la sensazione di essere diventati ospiti a causa di Brexit. Uno degli intervistati sintetizza così: «La gestione della pandemia ha aggiunto peso al bagaglio negativo già esistente per via della Brexit. Il rapporto tra i pro e contro del vivere a Londra stanno cambiando a favore del trasferimento in altri paesi».
Il sogno inglese sfuma
Che fine ha fatto il “sogno inglese” a sei anni da Brexit? Per alcuni è ancora lì, reso più inaccessibile dal sistema a punti per l’ottenimento di un visto che taglia fuori la maggior parte dei giovani partiti in cerca di fortuna o per migliorare l’inglese. Ma ancora di più delle complicazioni burocratiche, la sensazione di frontiera invalicabile che ha reso la Manica larga quanto l’Atlantico e l’incertezza dovuta alla gestione dei rapporti con l’Unione Europea rendono questo sogno sempre più sbiadito. È di questi giorni la notizia che la Ue ha riavviato la procedura di infrazione contro il Regno Unito dopo che una proposta unilaterale per modificare il protocollo sull’Irlanda del Nord è apparsa sui tavoli del Parlamento britannico. Ci vorranno anni per capire come evolveranno i flussi migratori tra Italia e Regno Unito. Ma intanto oggi milioni di cittadini Europei si svegliano con la certezza che Brexit si sia rivelata più complicata del previsto.
Elisa De Pasquale fa parte del Manifesto di Londra, associazione progressista indipendente fondata a Londra nel 2017, che ha pubblicato in sinergia con il Com.It.Es di Londra due rapporti sull’impatto di Covid e Brexit sugli Italiani in Regno Unito , il primo, nel Dicembre 2020 e il secondo nel Dicembre 2021. All’inchiesta hanno lavorato anche Federico Filauri, Mirco Brondolin, Matteo M. Galizzi, Francesca A. Guidali, Adriano Mancinelli, Chiara Mariotti, Matteo Pazzona e Andrea Pisauro, tutti membri del Manifesto di Londra.
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