- In questo commento la presidente di Volt Europa parte dall’esperienza del suo partito paneuropeo per mostrare quanto i diversi sistemi elettorali influenzino l’accesso di forze nuove, e il loro sviluppo.
- In Italia per qualificarsi i nuovi partiti devono raccogliere un numero esorbitante di firme e costi elevati, cui si aggiungono numerosi vincoli. Le forze “nuove” hanno successo solo se originate da gruppi e personalità già presenti nell’agone politico, ossia se non sono realmente nuove.
- Il sistema italiano finisce per aprirsi perlopiù a partiti personalistici e dotati di ingenti risorse, mentre Germania e Paesi Bassi hanno sistemi che hanno consentito a Volt di crescere. Nel 2019, pur mettendo in campo sforzi simili, le squadre di Volt nei vari paesi hanno ottenuto risultati estremamente diversi a seconda dei sistemi elettorali nazionali; risultati che hanno naturalmente poi influenzato lo sviluppo del partito sul territorio.
Immaginate un paese in cui il governo è stabile e porta avanti la propria agenda anche quando la maggioranza è fatta di piccoli partiti. Impossibile? No, è la realtà di diversi stati dell'Unione europea. Diversi stati, ma non l'Italia.
L’impatto delle leggi elettorali
All’inizio di quest’anno, il Parlamento europeo ha approvato una riforma che mira a creare coerenza tra le leggi elettorali per le elezioni europee. L’esperienza di Volt Europa in tal senso è rivelatoria: nel 2019, pur mettendo in campo sforzi simili, le nostre squadre hanno ottenuto risultati estremamente diversi a seconda dei sistemi elettorali nazionali; risultati che hanno naturalmente poi influenzato lo sviluppo del partito sul territorio. Le leggi elettorali hanno un impatto sulla pluralità democratica anche quando si tratta di elezioni politiche, partendo dall’accesso alla corsa stessa: in Italia, per qualificarsi, i nuovi partiti devono raccogliere un numero esorbitante di firme con una distribuzione che non rispetta criteri di densità abitativa reale e costi elevati, cui si aggiungono vincoli di autenticazione antiquati, nessun uso del digitale e regole territoriali inutilmente stringenti.
Non tutto è personale
Eppure, la presenza di tali barriere democratiche non ci preoccupa, forse perché piccoli partiti personalistici sembrano essere proprio ciò che ha bloccato importanti riforme e avanzamenti sociali. Purtroppo però l’attuale legge elettorale non limita il proliferare di partiti personalistici ma l’ingresso nella competizione di nuove energie, giovani, e gruppi che si mobilitano senza grossi finanziamenti. Limita, insomma, l’emergere delle novità. Un esempio alternativo lo porta la Germania, l’economia più forte d’Europa, andata alle urne nel 2021. Le elezioni hanno dato luce al governo “semaforo” con il partito socialdemocratico (SPD), quello liberale (FDP) e i Verdi. Per partecipare, ai volontari di Volt Deutschland, la divisione tedesca di Volt Europa, era richiesto di raccogliere circa 2mila firme, nulla a confronto delle 74mila italiane. In entrambi i paesi il numero è stato ridotto, per via del covid e dello scioglimento anticipato delle camere rispettivamente - ma la proporzione è rimasta invariata.
Modelli alternativi
Nel sistema tedesco le firme non necessitano di autentica, si vince un seggio superando lo sbarramento del 5 per cento, e ricevono finanziamenti tutti i gruppi che superano lo 0,5 per cento perché i partiti sono considerati organi della democrazia. Il consenso porta risorse che permettono al partito di strutturarsi: si instaura un circolo virtuoso che supporta il rinnovamento dal basso anziché i monopoli di potere. Un altro esempio viene dai Paesi Bassi, una potenza economica che ha rinnovato il governo nel 2020. Per partecipare, i volontari di Volt Netherlands hanno raccolto 600 firme e investito 13mila euro, somma forfettaria, uguale per tutti e che viene restituita, in caso di elezione, con l’aggiunta di fondi statali. I seggi sono assegnati in maniera proporzionale, senza sbarramento. L’aspetto più interessante del sistema risiede nel fatto che dialoghi su contrattazioni ed alleanze – che anche quest’anno, in Italia, hanno oscurato il dibattito sui programmi – avvengono dopo le elezioni, quando il partito che ha ottenuto il maggior numero di seggi ha il compito di creare una coalizione di almeno 76 parlamentari su 150.
Spazio per le novità
La democrazia, insomma, non è un blocco unico, ma è fatta di sfumature: regole diverse disegnano società e possibilità radicalmente diverse. Ai sistemi descritti si contrappone quindi un’Italia in cui i nuovi talenti non hanno opportunità e i partiti contribuiscono alla disaffezione politica generale. Le forze “nuove” hanno successo solo se originate da gruppi e personalità già presenti nell’agone politico, ossia se non sono realmente nuove.
I vertici dei partiti hanno un potere pressoché totale in tal senso, ed è per questo che alle elezioni si vedono sempre le stesse facce e le tanto agognate riforme non arrivano mai. Il Movimento 5 stelle era entrato nella competizione tramite le importanti disponibilità economiche e mediatiche dei fondatori promettendo un rinnovamento; ma neanche i seguaci di Grillo e Casaleggio hanno avuto interesse a scardinare il meccanismo di autoconservazione del potere, portando anzi avanti una battaglia lesiva come quella del taglio dei parlamentari. Un paese diverso esiste e sta cercando di farsi sentire tramite le campagne di attivismo sulla legge per la cittadinanza, il diritto al voto ai residenti e i referendum su cannabis ed eutanasia. Ma il potere resta in mano all’attuale classe politica: chi avrà il coraggio di fare davvero spazio al cambiamento?
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