Dominique Schnapper è una delle più illustri e rispettate figure della sociologia e della cultura francese. In questa intervista interviene sui temi del nostro tempo. «Anche nelle democrazie più antiche come la Francia o l'Italia – dice – esiste una tendenza all'indebolimento e alla progressiva ignoranza delle regole della pratica democratica»
Dominique Schnapper è una delle più illustri e rispettate figure della sociologia e della cultura francese. Di orientamento laico e liberale (è figlia di un campione del pensiero liberale come Raymond Aron), molto legata all’Italia (negli anni Settanta dedicò la tesi di dottorato ai modelli culturali della vita quotidiana a Bologna), studia da anni, con libri e interventi diversi, la natura e le vicende della democrazia, con speciale attenzione, da ebrea che si dichiara agnostica, per la condizione ebraica, la laicità e la cittadinanza.
Ha fatto parte dal 2001 al 2010 del Consiglio costituzionale (la suprema Corte francese) e dal 2018 presiede il “Consiglio dei saggi della laicità,” un organo creato dal ministro dell’educazione nazionale per vigilare sullo stato della laicità in Francia.
In un famoso libro pubblicato un secolo fa (Il tema del nostro tempo), José Ortega y Gasset, il grande pensatore liberale spagnolo, suggeriva che la modernità aveva comportato il passaggio da una mentalità razionalista (ereditata dall'Illuminismo) a un approccio razionalista-vitalista. Secondo lei, ci sono dei "temi del nostro tempo" altrettanto forti?
Ho la sensazione che non abbiamo inventato nuovi "temi del nostro tempo" – forse questa sensazione è dovuta alla mia età. Ma il disordine intellettuale e la messa in discussione della democrazia – il regime più umano che si sia mai conosciuto nella storia – mi sembrano piuttosto segni della disgregazione, della decomposizione o della deriva delle pratiche democratiche. Il nostro tempo mi sembra caratterizzato dal ritorno della forza e della violenza nel mondo e dalla debolezza interna delle democrazie che cedono ai propri demoni, piuttosto che dalla comparsa di contestazioni intellettuali o ideologiche.
Dopo oltre settant'anni di pace, l'Europa è teatro di due guerre: all'interno del suo perimetro, in Ucraina; ai suoi confini, in Israele. Da questa parte del mondo, la speranza della "pace perpetua", incoraggiata dalla fine della Seconda guerra mondiale, è davvero giunta al termine?
Il dramma in Israele non è ai "confini" dell'Europa, perché è dominato dalla consapevolezza europea della responsabilità per l'Olocausto. Sappiamo che l'idea della pace perpetua, se mai è esistita, è un'illusione. Quel che è vero è che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, grazie alla protezione dell'esercito americano, l'Europa ha conosciuto decenni di pace e opulenza senza pari. Grazie alla Nato… Le giovani generazioni sembrano aver dimenticato che la storia è tragica e che la pace è un miracolo che va difeso.
Un'idea che, solo pochi anni fa, ci sembrava quasi distopica non lo è più: è possibile che ci sia una guerra europea "di tanto in tanto". Nella storia europea recente ci sono stati dunque errori catastrofici? Quali? La struttura e l'espansione della Nato? Quella dell'Unione europea? La caduta dell'URSS e il crollo del muro di Berlino? Le conseguenze del colonialismo?
Lungi dall'essere "errori", la creazione della Nato e la volontà delle istituzioni europee di avvicinare i popoli hanno permesso all'Europa democratica di "contenere" la pressione dell'impero sovietico, che si è disintegrato spontaneamente alla fine del secolo scorso. Il nostro errore è stato quello di pensare di aver "vinto" senza sforzo e di smobilitare la volontà politica dei Paesi democratici. Davamo per scontata la pace in Europa e non capivamo che la pace era un miracolo e che bisognava continuare a lavorarci se volevamo che continuasse. Da qui lo stupore per l'invasione russa dell'Ucraina.
Il paradigma democratico – tema al quale lei ha dedicato numerosi libri e interventi – è visibilmente in affanno. La tendenza è verso il cambiamento o l'indebolimento della democrazia?
In tutti i paesi si parla il linguaggio della democrazia. Anche i regimi che erano soggetti al totalitario dominio sovietico sostenevano di essere "democratici". Ricordiamoci la Ddr… Ma da ciò non si può dedurre che siano democratici. Le elezioni spesso rimangono, ma non sono sufficienti a garantire una democrazia adeguata se le libertà civili non vengono rispettate. Se ammettiamo che non c'è democrazia senza libertà civili, i paesi democratici non sono più tanto numerosi e sono sulla difensiva. Dopo la caduta del muro di Berlino, era impossibile non integrare all'Unione europea le vecchie democrazie popolari che mostravano il desiderio di aderirvi, ma non avevano imparato le pratiche democratiche e si sentivano disprezzate dall'"Occidente".
Anche la nozione di divisione dei poteri sembra avere difficoltà. In Ungheria, il governo modifica le leggi per intervenire sul sistema giudiziario, sulla Corte costituzionale e sulle università. In Italia sono annunciate riforme costituzionali volte a ridurre i poteri del Capo dello Stato e del parlamento. Quali prospettive ha la Francia da questo punto di vista?
Anche nelle democrazie più antiche come la Francia o l'Italia, che in linea di principio sono stabilizzate, c'è una tendenza all'indebolimento e alla progressiva ignoranza delle regole della pratica democratica. In particolare, verso la confusione degli ordini – il politico e il giudiziario, il pubblico e il privato – che mi sembra minacci al cuore le nostre democrazie, anche se il fenomeno è meno netto nei nostri paesi che in Ungheria o in Polonia, dove il governo cambia la Costituzione quando la Corte suprema prende decisioni contrarie al suo progetto.
Tra i "temi del nostro tempo" sono senza dubbio l'islamismo radicale e la sua deriva terroristica, l'antioccidentalismo e l'antisemitismo. All'interno dell'Ue, la Francia sta vivendo questi fenomeni con particolare violenza. Perché proprio in Francia?
La Francia è un ex paese colonizzatore e non ha lasciato le sue ex colonie con l'eleganza del Regno Unito. La guerra d'Algeria continua a pesare sulla coscienza collettiva. La Francia ha la popolazione ebraica (da 500.000 a 600.000 persone) e la popolazione di tradizione musulmana (dieci volte di più) più numerose d’Europa. Ora, il problema ebraico ha una risonanza incomparabile a causa del passato. Inoltre, il mio è un Paese molto politico, che pretende di incarnare la modernità politica a partire dalla Rivoluzione del 1789, che si vanta di aver svolto un ruolo importante nella vittoria del 1945 e di continuare a sostenere i principi della modernità politica. Pretende che nel mondo la sua voce sia incomparabile. In nome della laicità, difende più degli altri paesi europei il principio della separazione tra politica e religione, che è specifico della democrazia e direttamente contraddittorio con la sharia islamista. È per questo che gli attacchi dei nemici della democrazia si cristallizzano e concentrano sulla Francia.
Il governo italiano ha appena scoperto che, oltre ai tre ben noti poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), ce n'è un altro, quello culturale: gli enti radiotelevisivi, i giornali, le biblioteche, i musei, i centri cinematografici, i premi letterari e di altro tipo, le grandi mostre e i festival, ecc. La destra sta pian piano prendendo il sopravvento su tutto, e anche il concorso di Miss Italia, che aveva in giuria un noto rappresentante di Forza Italia, è stato vinto dalla figlia di un seNatore della Lega! Da questo punto di vista, la Francia è più protetta?
Quello che è noto come soft power, il potere attraverso le idee e le immagini, è un fenomeno globale. È legato al favoloso progresso dell'informatica, ma porta con sé il grande pericolo di diffondere forme di menzogna e complottismi che contribuiscono più all’imbarbarimento della gente che alla diffusione di una cultura comune. Favorisce anche la convinzione che, senza neppur considerare la creazione del pensiero e delle opere di cultura, non sia più necessario fare sforzo alcuno per pensare e giudicare con la propria testa. Tuttavia, la temporanea superiorità dell'Europa a partire dal Secolo XVIII era dovuta alla razionalità e all'applicazione dei principi dell'Illuminismo alla vita collettiva. Se i democratici non vogliono più conformarsi alla razionalità nel pensiero e nel comportamento, e se non mostrano più la volontà politica di affermare e difendere i loro valori, il loro destino sarà tragico.
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