- In tutto il mondo si è aperta una discussione dopo la presidenza Trump che ha usato Twitter come una “clava”. Solo negli ultimi mesi le piattaforme social hanno messo un freno segnalando che alcuni di quei messaggi diffondevano notizie non corrette.
- Preoccupa l’arbitrarietà di simili decisioni basate sulla violazione dei regolamenti interni di queste aziende. Al di là del giudizio sulle politiche eversive di Trump, la sua censura sui social pone interrogativi non di poco conto.
- Qualcosa però si sta muovendo. L’Unione europea ha presentato nel dicembre scorso il “Digital Services Act”, che si basa su questo semplice assunto: ciò che è illegale offline dovrebbe esserlo anche online. Sostenere l’Unione su questo tema è fondamentale e l’Italia, che quest’anno guida il G20, ha la grande possibilità di avere un ruolo da protagonista.
La Polonia ha annunciato l’intenzione di limitare i social media e di sanzionare eventuali oscuramenti di post e tweet non in contrasto con le norme nazionali; nei paesi non democratici aumentano i condizionamenti alla libertà di espressione online; in tutto il mondo si è aperta una discussione dopo i quattro anni di presidenza di Donald Trump che ha usato Twitter come una “clava”. Solo negli ultimi mesi le piattaforme social hanno messo un freno segnalando che alcuni di quei messaggi diffondevano notizie non corrette. Il culmine lo abbiamo visto in occasione delle ultime elezioni negli Stati Uniti con il costante rifiuto di Trump di riconoscere la sconfitta e la verità dei fatti. Un crescendo di odio che ha raggiunto l’apice con l’incendiario discorso tenuto il 6 gennaio scorso, giorno in cui a Capitol Hill si doveva ratificare l’elezione di Biden.
Gli account Facebook, Instagram, Twitter e Twitch di Trump sono stati sospesi a tempo indeterminato. Chi lo ha deciso? Non un soggetto autonomo e indipendente ma Mark Zuckerberg e gli altri “padroni” delle piattaforme.
Preoccupa l’arbitrarietà di simili decisioni basate sulla violazione dei regolamenti interni di queste aziende. Al di là del giudizio sulle politiche eversive di Trump, la sua censura sui social pone interrogativi non di poco conto.
La questione principale riguarda come distinguere le informazioni – le cui veridicità dovrebbero essere oggettive – dalle opinioni, per loro natura soggettive, e soprattutto sull’attribuzione del potere di chi decide cosa sia o meno lecito censurare. Riferendosi al ruolo dei social media nell’organizzazione delle proteste pro-Trump, Thierry Breton, commissario Ue per il mercato unico, ha definito l’attacco al Campidoglio come l’11 settembre delle piattaforme online, un punto di svolta.
Bloccando gli account del presidente Usa, i social network hanno riconosciuto per la prima volta la loro responsabilità e ora non possono più nascondersi dietro la vacua giustificazione di essere una piazza pubblica in cui ogni opinione, per quanto potenzialmente eversiva e pericolosa, possa essere liberamente espressa. Gli eventi di Washington provano infatti il profondo effetto dei social network sui fondamenti dei sistemi liberal-democratici. Per qualcuno ormai i “buoi sono scappati” e ogni intervento legislativo può risultare tardivo e inefficace a regolare il Far West digitale.
Qualcosa però si sta muovendo. L’Unione europea ha presentato nel dicembre scorso il “Digital Services Act”, un pacchetto di norme volto a porre regole chiare e precise destinate alle piattaforme online ormai diventate detentrici uniche della verità assoluta e quindi guardiane del dibattito pubblico.
Il Digital Service Act europeo, si basa su questo semplice assunto: ciò che è illegale offline dovrebbe esserlo anche online. Esso garantirà maggiore equità imponendo la stessa disciplina che oggi applichiamo solo alle aziende tradizionali. Non mi riferisco solo all’incitamento all’odio o alla diffamazione ma anche alla pedopornografia, alle reti terroristiche internazionali, agli abusi di mercato e al diritto alla privacy. Il nuovo regolamento comunitario dovrà chiarire quali contenuti dovranno essere rimossi e quali sanzioni debbano essere applicate e definirà un quadro normativo trasparente e prevedibile dotato di tutti i necessari pesi e contrappesi per ogni tipo di decisione pubblica.
L’Europa ha fatto la prima mossa e, come già successo per la privacy e il diritto d’autore, potrà influenzare le regole nazionali e sovranazionali. A differenza degli anni scorsi, questa volta avremo anche la possibilità di discuterne con i nostri partner globali per provare a definire insieme le regole comuni che definiranno lo spazio pubblico di domani. Dall’altra sponda dell’Atlantico, Biden potrà essere un interlocutore attento e forte. Sostenere l’Unione su questo tema è fondamentale e l’Italia, che quest’anno guida il G20, ha la grande possibilità di avere un ruolo da protagonista.
Giuliano Pisapia è viceprepresidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo
© Riproduzione riservata