Una madre di un ragazzo del liceo Severi di Milano scrive al nostro giornale per riflettere su quanto sta avvenendo nell’istituto frequentato dal figlio. «Noi adulti siamo loro alleati? Abbiamo saputo e sappiamo ascoltare il loro dolore?»
Sono la mamma di un ragazzo del liceo Severi di Milano, liceo nel quale si sta consumando una tragedia. Tragedia che fa rumore all’esterno – stampa, Tg, ministri, invettive. Tragedia che nella scuola non viene discussa.
Il “regolamento di disciplina” di questo liceo si apre così: «Obiettivo di questo regolamento è quello di orientare la scuola nell’individuazione e nella prevenzione dei comportamenti deviati e devianti». «Deviati e devianti», giuro. Potremmo parlare di Foucault, di Goffman, di sorveglianze e punizioni, di repressione, di stigma. Oppure possiamo semplicemente lasciare galleggiare queste parole, che si intersecano e si incarnano in ogni passaggio di questa triste vicenda.
Il liceo Severi è stato occupato per una manciata di giorni a cavallo di gennaio e febbraio. L’occupazione è andata male. Voleva essere orizzontale, prevedere una responsabilità condivisa fra tutti gli studenti presenti. Doveva essere gestita da tutti. Sono entrati degli esterni, hanno fatto dei danni – su cui non mi dilungherò perché non ho visto né i danni né i preventivi per rimediarli.
Dopo l’occupazione un’ottantina di ragazzi sono stati convocati, chiamati in segreteria a ritirare una sorta di “avviso di comparizione”: riconosciuti come partecipanti ai collettivi e alle giornate di occupazione, denunciati dai loro professori invitati a “fare i nomi”, sono stati convocati per difendersi dall’accusa di aver apportato danni alla scuola.
Una decina di ragazzi, i “supercattivi”, hanno ricevuto lo stesso avviso di comparizione, consegnato però tramite messo comunale. “Comunicazione di avvio di procedimento disciplinare”. Colloquio, professori chiamati a fare i giudici, domande. Nessuno ha comunicato quando si sarebbe risolta la questione, né come procedere. Ci sono ragazzi di quinta che non sanno se saranno ammessi all’esame.
Domanda: chi, come e sulla base di cosa ha stabilito i “gradi di responsabilità” degli occupanti? E poi, le “punizioni”: è normale che siano così dissimili?
I ragazzi sono stati messi l’uno contro l’altro, ottanta famiglie fra cui c’era chi sperava di veder cadere le teste dei “supercattivi” per vedere salvi i propri figli. Questo è emerso in un’assemblea aperta a tutta la collettività scolastica – urla, insulti, caccia alle streghe, violenza generale e a tratti circense. Uno spettacolo di adultità pietoso e imbarazzante.
I ragazzi sono colpevoli di «non aver rilevato la presenza della polvere espulsa dall’estintore e quindi di aver messo in pericolo l’incolumità e la sicurezza degli altri nell’ambiente scolastico». Peraltro, sono considerati colpevoli fino a prova contraria: qualcosa non torna, no?
Poi ci sono stati i consigli di classe straordinari. Fra gli ottanta, la maggior parte se l’è cavata con ammonizioni verbali o scritte. Altri hanno ricevuto una sospensione commutata in lavori socialmente utili della durata di una settimana circa. Qualcuno è stato sospeso per qualche giorno.
La pena dei “supercattivi” invece non è ancora chiara: i loro consigli di classe hanno votato per una sospensione maggiore di 15 giorni, da tutti commutata in lavori socialmente utili. Essendo una pena così dura, dovrà essere discussa e votata in consiglio d’istituto. Non è chiaro quando. Rischiano, evidentemente, un 5 in condotta e una bocciatura.
Questi ragazzi, considerati i “capi” dell’occupazione, sono accusati di «progettazione e organizzazione dell’occupazione», «illecito possesso dell’immobile», «mancanza di servizio d’ordine adeguato», «mancata chiamata di soccorsi per i danni evidenti avvenuti all’interno», «porte bloccate con il relativo diniego di diritto allo studio per gli altri studenti», «la non rilevazione di polvere di estintore nei locali», fatto che avrebbe «messo in pericolo l’incolumità e la sicurezza degli altri nell’ambiente scolastico».
Di tutte queste cose la scuola sostiene di possedere prove. Prove che, però, non sono state mostrate durante le convocazioni, e di cui non si conosce nemmeno la natura. Per questo, le famiglie dei "supercattivi” hanno chiesto un accesso agli atti per prendere visione di quanto veniva imputato ai propri figli.
In un’epoca in cui la politica procede per decreti, e spesso colpisce (metaforicamente e non) i giovani, aspettiamo con trepidazione il “decreto anti-occupazione”.
All’interno della scuola nessuno ha parlato con i ragazzi. Come stai, cosa è successo, hai fatto una cazzata. Silenzio, silenzio totale, silenzio assordante.
Io voglio solo dire una cosa, aggiungere una piccola postilla a tutto il polverone che attorno a questa occupazione, ai suoi danni fisici e morali, manifesti e sottili, si è alzato.
Quello che voglio dire non inizia un mese e mezzo fa. Non inizia con questa occupazione.
Inizia 5 anni fa, con il lockdown.
Ho visto e ho osservato mio figlio, mentre constatavo di sapere di non avere strumenti per lenire un malessere che vedevo schiumare.
Inizia guardando quel male, quel dolore, quella rabbia. Inizia ascoltando le lezioni in Dad, percependo il disagio dei professori – speculare a quello dei ragazzi. Mio figlio, e tutti gli altri.
Inizia ascoltando nettamente il silenzio che urlava, il silenzio che attorniava quella relazione fra me e lui e fra lui e i docenti e fra loro, tutti loro, e il mondo.
Non si verbalizzava il “male dentro” in cui si stavano consumando le giornate, non si parlava della vita perduta, della primavera vista dalla finestra, delle giornate che scivolavano identiche, dei corpi che cambiavano e si evolvevano in solitudine, dei contatti e della pelle elusi e preclusi. Anche perché, probabilmente, né i genitori (io, parlo per me), né i professori, avevano parole che potessero accompagnare quel buio e sostenere i ragazzi.
Quegli anni sono stati una ferita, quel silenzio è stato una frattura, un vulnus che non si è rimarginato, ma anzi, si è infettato.
Un ragazzino si è impiccato, fra un lockdown e l’altro. Sopra una panchina, nel parco in cui tanti si trovavano. Le ragazze si tagliavano con i rasoi sul braccio. Così tanto che non era nemmeno più una notizia, ma, anzi, una pratica normalizzata. Un altro amico è finito in neuropsichiatria, per mesi e mesi. E poi tossicodipendenza. Alcol. Ludopatia. Ma voi lo sapete quanti ragazzini sono drogati dal gioco nelle annoiate aule dei licei di Milano?
Intanto il mondo fuori si disgrega. Inquinamento globale – la terra sta morendo, mamma. La guerra vicina, la paura di una guerra mondiale, un genocidio in atto.
Cosa sono gli adulti per un ragazzo di oggi?
Sono i responsabili della morte del mondo, della morte del pianeta, della paura in cui viviamo, della violenza esercitata come costante, della repressione più brutale. Quello che è successo a Pisa, recentemente, ne è un esempio lampante.
Gli abbiamo rubato il mondo, a questi ragazzi. E non è retorica, non sono parole strappalacrime. È così.
Noi, a loro, abbiamo rubato il futuro e la possibilità di immaginarselo. Ancora peggio: abbiamo rubato il desiderio.
Loro non si fidano di noi. Ci vedono come nemici. Rispetto a noi, loro, stanno in trincea.
Siamo, noi adulti, loro alleati? Ci siamo posti come adulti educatori, capaci di costruire un dialogo che li prenda veramente sul serio? Abbiamo saputo, sappiamo, ascoltare il loro dolore?
Li si accusa di non aver dato l’allarme, di non aver chiamato le forze dell’ordine per denunciare quello che stava succedendo a scuola. Ma chi sono le forze dell’ordine? Quelle che in ogni corteo pro-Palestina a Milano caricano e fanno il muso duro? Quelli che hanno spaccato manganelli in testa a ragazzini delle medie a Pisa?
Nell’istituto di mio figlio è esploso un disagio potente, che coinvolge tutte le componenti della scuola.
Lui ora ha paura ad andare a scuola. Paura di ritorsioni, paura dei professori e degli studenti. Paura, perché è da un mese e mezzo che ha sulla testa una spada di Damocle, una punizione che non è ancora stata comminata. Non è bello, né per lui né per noi.
Spero solo che questa brutta vicenda possa essere un punto zero, una terra bruciata da cui ripartire. Spero che loro, questi ragazzi a cui spesso deleghiamo tutto, tutto il cambiamento, salvo poi punirli, siano stati i detonatori di una forza propulsiva che permetta a tutto il mondo scolastico (studenti, professori, genitori) di guardarci in faccia, raccontarci il male, capire che semi si vogliono piantare in questa cenere e lavorare perché nasca un’alleanza nuova, che porti bellezza e giustizia.
Lettera firmata
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