Negli ultimi mesi, le chat dei precari degli enti pubblici di ricerca sono un flusso continuo di messaggi. Tra la convocazione di presidi e manifestazioni sono sempre più numerosi i ricercatori che salutano e chiedono sconsolati informazioni su come fare domanda per i sussidi di disoccupazione. La situazione del precariato è diventata molto grave.
Francesca terminerà il contratto tra pochi giorni; dopo una lunga serie di assegni di ricerca e collaborazioni, era riuscita ad ottenere un tempo determinato in un progetto del Pnrr. I suoi 12 anni di studi sulle nanotecnologie non sono stati sufficienti per ottenere una posizione stabile e adesso si trova costretta a dover ricominciare da zero.
Per Cristiana la fine è solo rimandata, il suo tempo determinato nell’istituto di biotecnologie finisce ad aprile ma le hanno già comunicato che non ci saranno fondi per rinnovarlo. È molto preoccupata, del resto come si fa a pensare di cambiare città o trasferirsi all’estero quando si ha un mutuo da pagare e una famiglia da mantenere?
Ci sono poi casi come quello di Roberta, il cui assegno di ricerca su tematiche relative alla violenza di genere scade a dicembre. Ora non può averne altri perché ha raggiunto il limite dei sei anni previsti dalla legge. La sua situazione è paradossale. Ci sarebbero dei fondi per bandire un tempo determinato e far proseguire la sua ricerca, ma non può farlo. Il disciplinare interno del Cnr, infatti, permette di realizzare questi contratti solo con finanziamenti ottenuti da gare nazionali ed internazionali.
D’altronde, la ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, ha recentemente dichiarato in un evento di Forza Italia che i ricercatori sono come le rondini, uccelli migratori che si muovono seguendo i progetti di ricerca. E dunque, ha proseguito, non si può ingabbiarli negli uffici o nei laboratori ma devono essere liberi di andare inseguendo le opportunità.
Una metafora che restituisce in maniera inequivocabile l’idea dell’attuale governo di lasciare i ricercatori in una condizione perenne di precarietà, senza la minima prospettiva di un progetto di lungo periodo. Il contratto indeterminato e le stabilizzazioni non sono nel vocabolario degli attuali responsabili del Mur. Utilizzando il medesimo registro comunicativo, si può affermare che le rondini del Pnrr non hanno fatto la primavera della ricerca italiana.
Negli ultimi anni infatti, soprattutto grazie agli investimenti realizzati con i fondi europei post-Covid, si sono moltiplicati i progetti di ricerca negli atenei e negli enti pubblici. Tuttavia, il risultato più evidente dei miliardi di euro spesi è stata l’assunzione di un enorme numero di ricercatori precari che si sono sommati agli altri assunti con altri progetti non Pnrr.
Da questo punto di vista, la situazione del Consiglio nazionale delle Ricerche, il principale ente pubblico di ricerca italiano, è emblematica. Attualmente lavorano nell’ente oltre quattromila ricercatori precari, mentre il personale stabile è di ottomila e quattrocento dipendenti. Questo significa che ogni due lavoratori con un contratto indeterminato c’è un precario.
Per risolvere questo grave problema, dallo scorso luglio è in corso una mobilitazione. Il tempo a disposizione è molto breve, infatti molti progetti hanno già raggiunto il termine. In mancanza di una prospettiva certa le conoscenze, i saperi, le competenze create andranno definitivamente disperse. Al momento, però, la Presidente Maria Chiara Carrozza, ex ministra dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca del governo Letta, ha solo promesso dei concorsi senza chiarire le tempistiche e il numero dei posti.
Inoltre, la legge di bilancio in approvazione nel Parlamento preannuncia un destino cupo. La manovra riserva tagli su tutti i servizi pubblici e non risparmia il reclutamento dei ricercatori. Infatti, limita le assunzioni del personale a tempo indeterminato e non prevede finanziamenti per consentire la continuità dei progetti Pnrr. L’Italia, così, rischia di sprecare i fondi europei ricevuti, perdendo il potenziale scientifico e tecnologico su cui ha investito.
A ciò si aggiunge il Disegno di Legge 1240 in discussione al Senato che moltiplica le figure contrattuali precarie negli enti pubblici di ricerca e nelle università. Per evitare l’ennesimo spreco di risorse pubbliche si stanno mobilitando il movimento dei precari degli enti di ricerca e le organizzazioni sindacali.
Il 5 novembre saranno in piazza a Roma per chiedere più finanziamenti per le stabilizzazioni e per fermare il Ddl. In gioco per l’ennesima volta c’è il futuro della ricerca pubblica italiana, una questione strategica troppo spesso svilita, ma che adesso pretende una risposta sul proprio destino.
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