Quando si parla di laicità si pensa, anche per contrasto, solo alle religioni e alle chiese. Invece, nel libro Non è un paese per laici (Bollati Boringhieri) ne ho dato innanzitutto una prospettiva politica, poi culturale e sociale, e solo infine religiosa e ecclesiale. Ho cercato, insomma, di offrire un punto di vista più ampio e innovativo rispetto a quello al quale siamo abituati.

Per mettere a fuoco la nostra scarsa laicità (o libero pensiero) ho scelto un episodio e uno scenario. L'episodio è l'appello contro Luigi Calabresi firmato nel 1971 da quasi ottocento intellettuali i quali, condannando senza prove l’innocente commissario, si asservirono all’estremismo ideologico di quegli anni, negando così il loro libero pensiero, la loro onestà intellettuale.

Lo scenario riguarda i conti da chiudere con la caduta del Muro di Berlino da parte delle forze progressiste. Perché? Perché non è chiaro chi siano, per questo sono inefficaci, e per fondarle occorre un esame laico della loro identità culturale.

Oggi si straparla di identità, ma a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino ancora si ignora l’identità politica culturale, cioè il volto ideale attraverso il quale le persone riconoscono una formazione politica.  

Un tempo l’identità era data dalle ideologie, ma dopo? Il nulla. Questa colpevole rimozione di laicità è una delle cause della degenerazione della politica. Da decenni ne paghiamo le conseguenze, ma oggi la tendenza planetaria autoritaria, ancora più opprimente del solo sovranismo populista, non consente ulteriori ritardi.

Le forze progressiste nel mondo non hanno un vocabolario aggiornato alle necessità del nostro tempo. Sono conservatrici e afone. Questo vale soprattutto nella nostra Italia attraversata dall’esasperazione sociale e dalla corruzione culturale, da un diffuso spirito post-fascistoide, da strascichi di radicalismo pseudo-rivoluzionario alternati a libertarismo sessantottardo, da una persistente mentalità clerico-moderata fatta di conformismo e moralismo, nella quale, tra le due gambe del composto, prevale sempre quella più moderata e di destra.

Dopo Berlino e Tangentopoli non si è avuta la capacità e l’onestà di avviare una lettura laica, storica e filosofica, del passato e del presente in grado di formare un ideale politico adeguato per i nuovi tempi. Così, sul piano della cultura politica siamo fossilizzati a trent’anni fa.

Questo impressionante ritardo ha prodotto conseguenze nefaste soprattutto nel rapporto cittadino-politica e nella selezione della classe dirigente.

Gli ex-comunisti e i post-democristiani non hanno affrontato le grandi definizioni concettuali della politica che la fine della guerra fredda aveva reso necessaria, così non è mai nata una identità democratica. Siamo passati dall'attesismo della città futura alla gestione dell'esistente saltando completamente il passaggio intermedio dell’elaborazione culturale. I guai della sinistra, dai comunisti fino ai cattolici democratici, derivano tutti da lì, a cominciare dall'assenza di un lessico aggiornato che faccia presa ideale su coloro che più di tutti soffrono la crisi economica e sociale, coloro cioè che nelle forze di progresso dovrebbero riscontrare una rappresentanza non soltanto politica.

Quanto alla nascita del PD nel 2007, si parlò giustamente di “fusione fredda”. Fusione di apparati, di personale dei livelli dal locale al nazionale, trascurando la necessità molto concreta – perché questo partito non è mai nato – di costruire una sintesi culturale, un'anima che desse motivazione ideale.

Se si fosse compiuta questa operazione, anche dolorosa perché c’era da fare i conti con un mondo al tramonto, quella fusione tra diverse storie sarebbe stata calda, e in tutti questi anni non si sarebbe data tanta forza ai diversi volti delle destre italiane. Come spiegare, altrimenti, il berlusconismo trionfante fino all’attuale leghismo, passando per tutti i neomovimenti nati nel frattempo e per le formule più o meno vuote del campo di centrosinistra?  

Io sono un democratico liberale, e sto opponendo queste critiche da tale posizione, che per chiarezza chiamo di centrosinistra, e mi piacerebbe ricevere una risposta da chi oggi, in questo campo, ancora detiene il potere di indirizzo politico-culturale.

Aggiungo questo: quando la senatrice Liliana Segre è stata travolta di insulti, il giorno dopo c’è stata una sua opportuna difesa da parte di politici, intellettuali, giornalisti. Ma dov’erano costoro, quali idee nuove e efficaci hanno messo in campo per prevenire quelle ingiurie?


Vittorio V. Alberti è autore del libro Non è un paese per laici, edito da Bollati Boringhieri

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