Un professore di sostegno ci racconta cosa si prova a sapere di aver realizzato, forse, il sogno del suo alunno. E lo fa proprio mentre pensa a quanti altri come lui, dietro una finestra, fra il buio delle montagne, scrive qualcosa che vorrebbe a tutti i costi avesse un senso
Il sole tramonta lentamente dietro le Alpi Orobie. Oltre le montagne, ci sono molte valli – la val Brembana, la val Seriana, la val Gandino, solo per citarne alcune. In queste valli ogni giorno il sole affonda e poi, di notte, scompare, come se non fosse mai sorto. In queste valli ci sono tanti edifici e tante stanze, stanze in cui a mano a mano che il sole tramonta una luce si accende.
Dietro alcune di quelle finestre illuminate ci sono anche i miei alunni: c’è chi ora guarda una serie steso sul letto, chi gioca a un videogioco, chi studia per l’esame di maturità. C’è una ragazza, forse, che si guarda allo specchio e si sente grassa, nonostante sia bellissima nello splendore della sua giovane età. E poi, c’è un ragazzo. Un ragazzo con un ciuffo nero alto sulla fronte e due occhi piccoli, che guardano il mondo da dietro una grande montatura metallica alla Magnum PI. Un ragazzo che ora è seduto al tavolo e scrive, scrive qualcosa che vorrebbe a tutti i costi avesse un senso.
Un giorno di qualche settimana fa, l’alunno che seguo come docente di sostegno era assente. In questi casi, l’insegnante è tenuto a restare “a disposizione” in aula docenti, in attesa di eventuali supplenze. Io sono rimasto nella piccola aula al piano interrato per diverse ore, a lavorare al pc e, ogni tanto, scambiando qualche chiacchiera con i colleghi. A un certo punto, però, dopo l’ennesimo suono di campanella, l’aula si svuota e io rimango solo sull’intero piano. Passeggiando per il corridoio deserto, mi accorgo che, proprio davanti all’aula docenti, c’è un mostratore con delle riviste. Mi incuriosiscono, lì, in bella vista eppure dimenticate, ancora avvolte nel loro cellophane, piene di lettere e di frasi che sonnecchiano al buio delle pagine.
Fra le riviste, quella che subito attira la mia attenzione è Zai.net, un mensile scritto da “giovani reporter”. La rivista è allegra e, nonostante il tono scanzonato, fatta bene. Sulla copertina c’è sempre la foto di un ragazzo o di una ragazza e, all’interno, tanti servizi di attualità e sulla scuola. Allora mi viene un’idea, vado in vicepresidenza e chiedo se posso prendere in prestito alcuni numeri. Ma nessuno me lo sa dire. Poi risolvo chiedendo a Concetta, la bidella, che mi dice che (a patto di riportarle) posso prenderne quante ne voglio. Torno subito in classe (dove i ragazzi stanno cercando di ultimare un circuito, non mi chiedete altro) e distribuisco, allegro, le riviste sotto lo sguardo disorientato del docente di Tecnologia e progettazione. Dico a due fra i ragazzi più bravi di leggerle e, magari, di pensare a un pezzo da proporre al giornale. Chiamatemi cinico o pessimista, ma ero sicuro che non mi avrebbero fatto sapere più nulla.
L’occasione per riparlarne, invece, arriva. Il più timido dei due – quello che quando mi parla lascia vagare lo sguardo per terra – un giorno mi scrive una mail dicendo di aver letto la rivista e chiedendomi come poteva fare a proporsi al giornale. Io gli rispondo, al mio solito, con una mail lunga e dettagliatissima in cui gli spiego come proporsi, cosa chiedere al direttore, ecc.
Alla fine, qualche giorno fa (uno degli ultimi giorni di scuola) lo stesso ragazzo mi chiede di parlare. Usciamo fuori dalla classe e nei corridoi mi spiega di aver contattato la rivista; mi dice che la redazione gli aveva risposto e che, in poche parole, gli avevano dato il benvenuto nella squadra. Ora, voleva da me un consiglio su cosa scrivere. Alzando gli occhi verso i miei, aggiungeva che mi ringraziava molto, che era un’esperienza che di sicuro gli sarebbe servita tanto.
Stasera, pensando al mio alunno, ho riaperto un numero di Zai.net preso a scuola quel giorno. Lo avevo a casa, semidimenticato sotto tanti altri fogli. Sulla copertina c’è una ragazza in una bella doppia foto sfocata con mascherina e senza e il titolo del numero è “Un anno dopo”. Sfoglio le pagine con calma, leggo qualche riga. E mi viene da sorridere immaginando il giorno in cui, in fondo a una di quelle pagine, ci sarà scritto a chiare lettere il nome e il cognome del mio alunno. Quel giorno, sentirò di aver fatto qualcosa di buono.
Il sole è ormai tramontato dietro le Alpi Orobie. Oltre le montagne ci sono le valli e, per ogni valle, tanti edifici, le cui luci adesso sono tutte accese. Ma stasera le montagne sembrano essersi abbassate, la notte sembra essersi schiarita: quel tanto che basta per riuscire a vedere, anche da qui, una finestra luccicare in lontananza. Dietro quella finestra c’è un ragazzo, un uomo, seduto al tavolo a scrivere. Scrive e riscrive il suo primo articolo. Scrive qualcosa che vorrebbe a tutti i costi avesse un senso.
© Riproduzione riservata