- Non ci interessano le polemiche politiche ma vogliamo dare un contributo concreto basato sull'evidenza dei dati, soprattutto ora che si sta per entrare nel vivo della Manovra e il parlamento è chiamato a discutere la Legge di Bilancio 2022.
- I dati di settembre dell'Inps dicono che nel 2021 a percepire il sussidio sono oltre 3,5 milioni di cittadini. Ma i dati di giugno dell'Istat dichiarano l'esistenza di oltre 5,5 milioni di poveri assoluti. Ne concludiamo che la platea del RdC va implementata, non ridotta.
- Ogni volta che si cambia un comma o una virgola o un termine in un provvedimento che concerne le politiche sociali, questo potrebbe cambiare il destino di vite vere, di biografie familiari. Ecco le nostre proposte.
Negli ultimi mesi le controversie politiche hanno trasformato il Reddito di cittadinanza nel simbolo del divanismo assistenziale, della mollezza statale, del badfare. Sono in troppi a sottolineare quando il sussidio va nelle tasche sbagliate e pochi a ricordare come lo stesso sussidio tuteli milioni di veri poveri e, in particolare, come sia stato un margine alla povertà assoluta durante i mesi più bui della pandemia. Gli scontri si sono riaccesi in questi ultimi giorni, da quando il governo ha deciso di rifinanziare la misura fino alla fine dell'anno inserendola nel decreto fiscale.
Non ci interessano le polemiche politiche ma vogliamo dare un contributo concreto basato sull'evidenza dei dati, soprattutto ora che si sta per entrare nel vivo della Manovra e il parlamento è chiamato a discutere la Legge di Bilancio 2022.
Alleanza contro la povertà ha infatti presentato un pacchetto di otto proposte per il miglioramento del RdC, uno studio approfondito in grado di dare una risposta realistica in un momento complesso e delicato per la tenuta sociale del nostro paese e la ripresa economica post-pandemia. Sosteniamo da tempo che il reddito di cittadinanza non vada abolito ma è necessario che venga riformato affinché sia più efficace nel contrasto della povertà.
I dati di settembre dell'Inps dicono che nel 2021 a percepire il sussidio sono oltre 3,5 milioni di cittadini. Ma i dati di giugno dell'Istat dichiarano l'esistenza di oltre 5,5 milioni di poveri assoluti. Ne concludiamo che la platea del RdC va implementata, non ridotta. In particolare – ed ecco qui le prime tre proposte – bisogna razionalizzare i requisiti d'accesso, per esempio allentando il vincolo aggiuntivo sul patrimonio mobiliare; portare da dieci a due gli anni di permanenza richiesti agli stranieri per poter accedere alla misura; prevedere un leggero accompagnamento per chi compila la domanda (perché la burocrazia non è mai semplice), reintroducendo ad esempio i punti unici d'accesso.
Misura personalizzata
Poi - una volta implementata l'utenza - va personalizzata la misura. Una quarta proposta prevede infatti un RdC che non penalizzi le famiglie con minori o numerose. E questo è possibile cambiando la cosiddetta scala di equivalenza, che consentirebbe di attribuire un importo più alto in presenza di più figli.
Ma non c'è solo l’aspetto economico: una quinta proposta prevede di sostituire l'automatismo che attribuisce ai Centri per l'impiego o ai Servizi sociali con il meccanismo dell'analisi preliminare del nucleo beneficiario. In questo modo si valutano adeguatamente i bisogni multidimensionali del nucleo.
Questo obbligherebbe – sesta proposta - ad un maggior raccordo tra Centri per l'impiego e Servizi sociali territoriali e promuoverebbe l’utilizzo integrato delle banche dati degli enti coinvolti. Gli aspetti digitali non sono affatto laterali, se vogliamo disporre di strumenti adeguati.
Infine – una volta implementata l'utenza e personalizzata la misura – vanno promossi meccanismi di attivazione lavorativa. Due proposte. La prima è sui Puc (progetti utili alla collettività), che vanno resi volontari e più orientati alla logica dell'empowerment e della capacitazione dei soggetti più fragili.
I Puc devono assomigliare di più alla formazione che al lavoro. Vi è la necessità di avviare e strutturare percorsi ben funzionanti e mirati di aggiornamento e miglioramento delle competenze, che consentano a chi ha perso il lavoro di mettere a frutto la propria esperienza, trovando una nuova occupazione o avviando un percorso di autoimprenditorialità.
La seconda proposta tiene conto dei bassi redditi da lavoro in Italia, e quindi chiede la riduzione della tassazione applicata al reddito da lavoro. Lo scopo è aumentare il reddito disponibile da lavoro in combinazione con il RdC, modulando la percentuale di “sconto” fino al raggiungimento di una certa soglia. In sostanza si deve prevedere il cumulo parziale del reddito da lavoro col sussidio per evitare la trappola di povertà.
Questi tre blocchi – implementare, personalizzare, attivare – raccolgono dunque otto proposte per arrivare alla seconda versione del RdC. In 5 anni abbiamo avuto ben 4 misure diverse: siamo ormai arrivati alla quarta riforma del sistema di contrasto alla povertà. Nel 2016 il Sia, nel 2017 il Rei, nel 2019 il RdC e nel 2020 – causa Covid - il Rem (reddito di emergenza). Occorre fare sintesi di tutte queste esperienze e – attraverso il RdC, che è il provvedimento in vigore – ricalibrare e ripartire.
La buona politica è una forma di progressiva approssimazione: la legge perfetta non esiste, ma è possibile una costante e perfettibile approssimazione verso il meglio. Le politiche sociali sono sistemi delicati che richiedono vigilanza, esperienza, e continui piccoli aggiustamenti. L’errore da non fare è continuare a cambiare. La cosa da fare è modificare in modo incrementale ascoltando chi analizza e chi opera: un approccio riformista.
Infine una precisazione: continuare a sottolineare il tema del lavoro, nel caso della povertà, non è del tutto corretto. Perché esistono una pluralità di cause per cui una persona o una famiglia cade in povertà.
Esistono anche situazioni dove si è poveri proprio perché non si è in grado di lavorare, a causa di una malattia del corpo o della mente, a causa di una condizione familiare molto grave o di una dipendenza.
Tutto ciò non toglie che, anche nel RdC, si lavori per migliorare la parte che attualmente è più deficitaria, ovvero quella delle politiche attive o, quantomeno, degli inwork benefit, che promuovono il passaggio dal beneficio monetario al lavoro: contro la retorica del divano la misura già oggi prevede meccanismi (da migliorare ancora) per aiutare chi ha un lavoro ma ha ancora bisogno di un sostegno. Si tenga comunque presente che il rapporto Inps afferma come un quarto dei beneficiari sia occupato e due terzi, probabilmente, non possa esserlo in quanto inoccupato di lungo corso. Insomma, da fare ce n'è. Ma scegliere l'approccio giusto è importante.
Ogni volta che si cambia un comma o una virgola o un termine in un provvedimento che concerne le politiche sociali, si deve sapere che questo potrebbe cambiare il destino di vite vere, di biografie familiari. Per questo bisogna procedere coi piedi di piombo. Con prudenza.
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