- Il 22 aprile è iniziata la due giorni sul clima voluta dal presidente statunitense Joe Biden. Con oltre quaranta capi di stato e di governo invitati e la presenza di tutte le grandi organizzazioni sovranazionali è stato il più grande evento sul tema prima di Cop26.
- I grandi del pianeta sono intervenuti tutti nel corso dei primi panel, e con loro sono arrivati gli annunci più attesi. Stati Uniti, Giappone, Canada, Brasile e Sudafrica hanno presentato i loro nuovi obiettivi di decarbonizzazione.
- Dare un voto agli interventi del summit non è facile. In questa sede si è preferito valutare i risultati politici di questo incontro: chi ha superato le aspettative e chi le ha deluse, chi esce vittorioso e chi è apparso debole.
Le Conferenze delle Parti, o Cop, sono gli incontri annuali organizzati dalle Nazioni Unite per concordare efficaci politiche di contrasto al riscaldamento globale. A novembre 2021 in Scozia si terrà la ventiseiesima edizione, presieduta congiuntamente da Italia e Regno Unito. La Cop di quest’anno è particolarmente importante per due motivi: è la prima dallo scoppio della pandemia ed è chiamata ad aggiornare gli Accordi di Parigi, ovvero la più avanzata intesa mai raggiunta nella lotta alla crisi climatica. In questo spazio bisettimanale ci proponiamo di raccontare le notizie, i meccanismi, i retroscena dei negoziati per il clima. Siamo arrivati al terzo numero, a questo link trovi i precedenti.
Com’è andato il Summit di Biden
Il 22 aprile è iniziata la due giorni sul clima voluta dal presidente statunitense Joe Biden. Con oltre quaranta capi di stato e di governo invitati e la presenza di tutte le grandi organizzazioni sovranazionali - dall’Onu alla Nato passando per Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale - è il più grande evento sul tema prima di Cop26. Mentre scriviamo è ancora in corso la seconda giornata del summit, ma è già ora di fare qualche bilancio.
I grandi del pianeta sono intervenuti tutti nel corso dei primi panel, e con loro sono arrivati gli annunci più attesi. Stati Uniti, Giappone, Canada, Brasile e Sudafrica hanno scelto questo evento per presentare i loro nuovi obiettivi di decarbonizzazione. Regno Unito ed Europa li avevano già annunciati nei giorni scorsi per arrivare pronti a questo incontro. Il summit ha impresso un’accelerazione ai negoziati sul clima che mancava.
Ma al di là di quanto è stato detto, la più grande novità uscita da questo vertice è il vertice stesso. Che gli Stati Uniti nel pieno della pandemia spendessero così tanto capitale politico sul tema non era scontato. E la presenza di Xi Jinping e Putin ci suggerisce che il clima stia sempre più diventando un dossier a parte, separato dagli altri e su cui si può dialogare anche tra potenze avversarie e ai ferri corti su altri temi - vedi la crisi in Ucraina che contrappone Washington e Mosca. La partecipazione di Cina e Russia non era data per certa fino a pochi giorni fa, ed è un ottimo segnale per il futuro dei negoziati in vista di G20 e Cop26.
Le pagelle del summit
Dare un voto agli interventi del summit non è facile. Qualunque climatologo, temiamo, giudicherebbe insufficienti tutti gli impegni presi, perché nessuno di questi garantisce un percorso sicuro per restare sotto il grado e mezzo di aumento della temperatura come indicato nel migliore degli scenari Ipcc. In questa sede si è preferito valutare i risultati politici di questo incontro: chi ha superato le aspettative e chi le ha deluse, chi esce vittorioso e chi è apparso debole.
Biden (Usa): Fa gli onori di casa, parla col piglio di un padre preoccupato e annuncia il suo target intermedio: meno cinquanta per cento delle emissioni al 2030 (ma calcolato rispetto ai livelli del 2005 e non del 1990 come fa l’Ue). Non il più ambizioso in cui si potesse sperare, ma la sua vittoria è prima di tutto diplomatica. Gli Usa si riprendono la guida dei negoziati per il clima, convincono anche Cina e Russia a partecipare e stringono partnership con India e Giappone. Voto: 9
Xi Jinping (Cina): Nessun grande annuncio, ma non fa la parte del gregario. Secondo a parlare dopo Guterres, promette picco del consumo di carbone nel 2025 e ribadisce gli obiettivi già noti - picco delle emissioni al 2030 e poi neutralità carbonica, non climatica, al 2060. La Cina è un partner indispensabile, senza di lei non esistono negoziati sul clima, e tanto basta a Xi per essere soddisfatto. Voto: 7.5
Putin (Russia): Qual è la sua partita? La Russia è l’unica grande potenza convinta di avere da guadagnare dal riscaldamento globale. I ghiacciai che si sciolgono aprono la strada a rotte artiche per il passaggio delle merci, e il mercato del carbonio diventerebbe una miniera d’oro per la Russia che può vendere i crediti delle sue immense foreste. E proprio dei boschi parla l’ex agente del Kgb, che si tiene ben lontano dall’indicare obiettivi di decarbonizzazione. La sua è una scommessa: se il mondo va verso la transizione Mosca sta solo accumulando ritardo, se invece il mondo resta fermo lui vince. Lo scopriremo tra dieci anni. Voto: non classificato.
Johnson (Regno Unito): «Siamo l’Arabia Saudita dell’eolico». Con questa frase il leader del Regno Unito mette in chiaro la posizione di leadership della nazione di sua Maestà e annuncia uno dei target di riduzione delle emissioni più ambiziosi: meno 78 per cento al 2035, sempre rispetto ai livelli del 1990. Johnson è felicissimo di avere obiettivi più virtuosi degli europei, e sorride con alle spalle il logo di Cop26. La sua Global Britain esiste, almeno nella narrazione.Voto: 8.5
Modi (India): Come nazione in via di sviluppo l’India non parla (ancora) di decarbonizzarsi, ma promette massicci investimenti nelle rinnovabili - più quattrocentocinquanta gigawatt nei prossimi anni - e rivendica il suo stile di vita low-carbon. Un nazionalismo indù in salsa ecologista che ancora non avevamo visto. L’India è uno dei pochi paesi in linea per rimanere sotto i due gradi centigradi di aumento della temperatura secondo Climate action tracker, ma al summit appare più la sua debolezza che altro, e per questo non va oltre la sufficienza. Voto: 6
Von Der Leyen/Michel (Ue): L’Unione Europea due anni fa era la prima della classe. Oggi sembra perdere il proprio posto di guida nell’affrontare la crisi climatica. I suoi obiettivi sono meno ambiziosi di quelli del Regno Unito post-Brexit, e il fatto stesso che l’incontro avvenga in casa americana dimostra che non è Bruxelles a reggere le fila della diplomazia. L’Ue non riesce ad apparire e a narrarsi come unita. Voto: 7
Merkel (Germania): Che sia la Germania il paese guida dell’Unione non è certo un segreto. Ma ci aspettavamo che Merkel rappresentasse il suo paese, mentre il focus principale del discorso della Cancelliera è stato sulle politiche comunitarie. L’unico passaggio esclusivo sulla Germania, quello sull’uscita dal carbone, non è un vanto: Berlino lo abbandonerà solo nel 2038, tardissimo. La palma di paese più ecologista dell’Unione non va alla patria dei verdi. Forse il tempo speso sulle politiche europee è necessario a nascondere una strategia di decarbonizzazione meno chiara rispetto ai partner? Voto: 6.5
Macron (Francia): Vive la France! Uno dei paesi più puliti, almeno nel settore energetico. La Francia punta ancora sulle sue centrali nucleari - la cui vita sta per essere prolungata nonostante la contrarietà degli ecologisti - e agisce da attore globale. Poco importa che l’accordo al ribasso tra Consiglio e Parlamento in tema di riduzione delle emissioni sia anche causa sua: con uno sfondo di stucchi dorati parla di giustizia sociale (vedi i gilet gialli), prezzo sul carbonio, ristrutturazione della finanza globale. Soprattutto, ha annunciato un incontro sul finanziamento della transizione per l’Africa il 18 maggio a Parigi. Voto: 7.5
Draghi (Italia): È l’unico a ricordare che stiamo viaggiando verso i più tre gradi centigradi, ma non ha altri momenti di gloria. Draghi si limita a ripetere quanto deciso in Europa - in primis la quota verde del Next Generation Ue - ma Roma non ha nulla da offrire. Peccato. Voto: 5
Bolsonaro (Brasile): Sotto indagine da parte di una commissione d’inchiesta parlamentare, responsabile della tragedia pandemica in Brasile, fortemente militarista. Sotto il suo mandato l’Amazzonia si è ridotta come mai prima d’ora. Ma ieri al Summit Bolsonaro si è riscoperto ambientalista. Ha parlato di conservazione della natura, ha rivendicato il suo mix energetico verde (vero, lo deve all’idroelettrico) e ha promesso di ascoltare gli indigeni. Solo parole, ma un cambio di tono notevole che basta a farlo apparire spaventato delle evoluzioni della politica Usa. Voto: non classificato.
Poi ci sono gli altri, quei paesi che si son fatti notare non per la loro stazza ma perché portatori di visioni nel bene o nel male originali. C’è la Nuova Zelanda di Jacinta Ardern, che col piglio da attivista ha invitato gli altri stati ad unirsi a lei su tre punti programmatici: stop ai sussidi ai combustibili fossili, carbon tax e trasparenza finanziaria. Ci sono le piccole Filippine che, a sorpresa, battono tutti annunciando un taglio del settanta per cento delle emissioni al 2030. Il contrario dell’Arabia Saudita, che si limita a promettere di raggiungere il cinquanta per cento di energia rinnovabile in dieci anni. Praticamente gli impegni di una Cop degli anni Novanta.
Il più originale è il Messico, che dopo un discorso sull’energia quantomeno ondivago («useremo il petrolio ma non lo esporteremo» e «punteremo all’idroelettrico») lancia una proposta a Joe Biden: gli Stati Uniti paghino i migranti ammassati al confine perché facciano opere di riforestazione in Centro America, e in cambio conceda loro un visto alla fine dei lavori. E infine le Isole Marshall, per le quali la crisi climatica non è un problema di sicurezza nazionale ma di sopravvivenza nazionale. Il piccolo stato insulare rischia infatti di essere sommerso nei prossimi decenni, e il suo leader si è rivolto ai grandi del pianeta: «saprete rispettare i vostri stessi impegni?».
Oltre le nazioni
Il Fondo Monetario Internazionale rilancia carbon tax e lo stop ai sussidi ai fossili; la Banca Mondiale parla di green e blue bond per finanziare la transizione: la Nato definisce il riscaldamento globale una minaccia per la pace mondiale. L’unica attivista a parlare e la giovanissima Xiya Bastidda di Fridays For Future, che denuncia la crisi climatica come “frutto di un sistema colonialista, razzista, capitalista” e chiede stop a tutte le opere legate al fossile, rispetto del più un grado e mezzo di aumento della temperatura deciso a Parigi e neutralità climatica al 2030. Un altro mondo rispetto ai piani dei leader.
P.S. Nel prossimo bollettino troverete una mini-guida per orientarsi invece nel lessico climatico: carbon neutral, climate neutral, CO2-equivalente, gli anni di riferimento, e tutte quelle cose che solitamente scoraggiano la lettura. E che a Destinazione Cop adoriamo spiegare.
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