La decisione di Giuseppe Cambria, socio dei cugini Salvo, di donare a Giovanni Brusca un orologio di rilevante valore manifesta inequivocabilmente un atteggiamento di ampia disponibilità nei confronti di un esponente di vertice di “Cosa Nostra” ed esprime un chiaro intento di mantenere con il medesimo rapporti improntati a reciproco rispetto e salda collaborazione...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra
Con riguardo alle relazioni intercorse tra Giuseppe Cambria ed esponenti di primo piano di “Cosa Nostra”, un episodio assai significativo è emerso a seguito dell’arresto di Giovanni Brusca, effettuato in data 21 maggio 1996 in località Cannatello, nel territorio di Agrigento. In questa occasione venne, infatti, sequestrato un orologio Cartier, raffigurato alla pag. 15 dell’album fotografico acquisito all’udienza del 21 luglio 1997.
In ordine alla provenienza dell’orologio, Giovanni Brusca all’udienza del 29 luglio 1999 ha precisato che si trattò di un regalo consegnatogli nei primi mesi del 1994 da Antonio Salvo, il quale specificò che ad inviare il dono era stato il Cambria.
Dalla deposizione di Giovanni Brusca si desume altresì che il Cambria gli era stato presentato nel 1983 dai cugini Salvo come soggetto cui rivolgersi qualora essi fossero incorsi in problemi di natura giudiziaria.
Nel corso del c.d. “maxiprocesso” Giovanni Brusca, su incarico del Riina, incontrò più volte Ignazio Salvo per chiedergli di intervenire, attraverso l’on. Lima ed il sen. Andreotti, per assicurare un esito favorevole della vicenda processuale. A fronte delle risposte evasive date da Ignazio Salvo (il quale sosteneva di non potersi spostare essendo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari), dopo la sentenza di appello il Riina invitò lo stesso Brusca a recarsi da Ignazio Salvo per indurlo a compiere ogni sforzo diretto ad intervenire sul processo e per spingerlo ad incaricare il Cambria di risolvere questo tipo di problemi.
Intorno al 1993 Antonio Salvo riferì a Giovanni Brusca che il Cambria era “sempre a disposizione” e gli inviava i saluti; Giovanni Brusca replicò: “ricambia, me lo saluti e se io l'ho di bisogno poi se ne parla”.
Dopo avere ricevuto il predetto regalo, Giovanni Brusca cercò di riallacciare i vecchi contatti (anche con il sen. Andreotti) attraverso il Cambria. Quest’ultimo, però, gli inviò risposte dilatorie.
Per saggiare la effettiva disponibilità del Cambria, Giovanni Brusca nel 1995 gli chiese, attraverso Antonio Salvo, un prestito dell’importo di cinquecento milioni di lire. Frattanto Vincenzo Sinacori e Matteo Messina Denaro avevano chiesto al Favuzza la somma di un miliardo di lire.
Antonio Salvo, successivamente, spiegò a Giovanni Brusca che entrambe le somme di denaro sarebbero state corrisposte dopo la vendita (che sarebbe stata compiuta al più presto) di un fabbricato di proprietà dei Salvo e del Cambria, sito a Palermo in Viale Campania. Il Brusca ha, poi, riferito in ordine ad un progetto – non portato a termine - di sequestro del Cambria. […].
Le suesposte dichiarazioni di Giovanni Brusca, dettagliate, precise e logicamente coerenti, hanno trovato univoca conferma in puntuali riscontri estrinseci per quanto attiene alla provenienza dell’orologio in oro Cartier mod. Pasha sequestrato in occasione del suo arresto, alla richiesta del prestito della somma di £.500.000.000 rivolta a Giuseppe Cambria per il tramite di Antonio Salvo, ed al progetto di sequestro del Cambria.
In particolare, dalle deposizioni dei testi M.llo Severino Terlizzi e Magg. Luigi Bruno, e dalla documentazione acquisita all’udienza del 21 luglio 1997, si desume che:
- il predetto orologio Cartier è contrassegnato dal numero di matricola 1020 1 C 50101, che lo rende inconfondibile;
- il medesimo orologio era stato trasferito in data 17 novembre 1993 dalla L.M.C. International S.p.A. (società importatrice degli oggetti con il marchio Cartier) alla Boutique Cartier, con sede in via Montenapoleone n.16 a Milano;
- in data 13 dicembre 1993 la suddetta Boutique vendette l’orologio al dottor Cambria per il prezzo di £. 11.950.000, insieme ad altri oggetti; il corrispettivo versato ammontava, complessivamente, a £. 25.700.000;
- il pagamento della somma venne effettuato mediante la carta di credito American Express n. 3752-398428-92003, rilasciata nell'anno 1988 alla SATRIS S.p.A. (in questa occasione, precisamente, erano state rilasciate una carta base a nome del direttore generale Giuseppe Cambria, ed una carta supplementare a nome del consigliere delegato Giuseppe Lombardo);
- sulla memoria di spesa American Express relativa al pagamento della somma in questione era stata apposta una firma identica a quella vergata da Giuseppe Cambria sulla richiesta di rilascio della suddetta carta di credito.
E’ quindi rimasto incontrovertibilmente accertato che l’orologio sequestrato in occasione dell’arresto di Giovanni Brusca era stato acquistato da Giuseppe Cambria.
Il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori all’udienza del 22 aprile 1997, dopo avere fatto riferimento al coinvolgimento di Gaetano Sangiorgi nell’omicidio di Ignazio Salvo, ha dichiarato quanto segue:
SINACORI V.: (...) TOTO' RIINA, poi, si lamentava di questo fatto che si erano portati a TANI SANGIORGI, perché TANI SANGIORGI, il RIINA diceva: "lo dobbiamo tenere per altre cose"; siccome, ricordo adesso, che sempre in quel periodo si progettava un sequestro ai danni del CAMBRIA, un uomo vicino ai SALVO, e lui mi diceva allora che... si lamentava del fatto che, sia
LEOLUCA che GIOVANNI si "puittaro", si sono portati a TANI in questo omicidio, non voleva che veniva coinvolto in determinate cose perché lo voleva... lui voleva fare il sequestro... lui, intendo TOTO' RIINA (...) mi diceva che voleva sequestrare CAMBRIA, in quel periodo, e che l'unica persona che poteva mettere in contatto con il CAMBRIA per riscuotere il riscatto, era il TANI, perché... il TANI SANGIORGI perché c'era un'amicizia (...) quindi, lui lo voleva tenere, lui si lamentava di questo fatto, del fatto che se lo erano portato a fare... a compiere questo omicidio, del fatto che già gli avevano dato delle confidenze tipo di MARTELLI a ROMA, perché lui lo voleva tenere più riservato. […].
Le suindicate affermazioni del Sinacori (in ordine alla cui credibilità può certamente esprimersi un giudizio positivo in considerazione dei rilievi esposti nel paragrafo 3) si caratterizzano per la loro genuinità, spontaneità, precisione, univocità, coerenza logica, puntualità specifica nella descrizione dei vari fatti, provengono da una fonte del tutto disinteressata, e convergono perfettamente con le dichiarazioni di Giovanni Brusca con riguardo sia alla richiesta del prestito dell’importo di £.500.000.000, diretta da quest’ultimo soggetto al Cambria attraverso Antonio Salvo, sia al progetto di sequestrare il Cambria per fini estorsivi. Su questi episodi, il Sinacori risulta essere venuto in possesso - in occasione di suoi incontri con altri esponenti mafiosi - di elementi conoscitivi ampiamente autonomi rispetto a quelli propri di Giovanni Brusca.
Il Sinacori ha, inoltre, affermato di avere domandato intorno al 1995-1996, insieme a Matteo Messina Denaro, la somma di un miliardo di lire ad Antonio Salvo, il quale si impegnò a parlarne con il Favuzza, ed alcuni giorni dopo comunicò che avrebbe potuto versare tale importo soltanto dopo la vendita (a suo dire, imminente) di un immobile sito a Palermo, il cui prezzo era pari a 50, 60 o 70 miliardi di lire. […]. Ciò posto, deve rilevarsi che la decisione di Giuseppe Cambria di donare a Giovanni Brusca un orologio di rilevante valore manifesta inequivocabilmente un atteggiamento di ampia disponibilità nei confronti di un esponente di vertice di “Cosa Nostra” ed esprime un chiaro intento di mantenere con il medesimo rapporti improntati a reciproco rispetto e salda collaborazione. Si tratta, evidentemente, di un contegno che presuppone la previa conoscenza tra Giuseppe Cambria e Giovanni Brusca.
Una analoga valenza sintomatica può attribuirsi alla richiesta del prestito, che risulta accompagnata e seguita da modalità e circostanze perfettamente coerenti con la precedente instaurazione di significative relazioni personali, in forza delle quali Giovanni Brusca era in grado di domandare apertamente una rilevante somma di denaro a Giuseppe Cambria, allo scopo di saggiarne la disponibilità, inviandogli i propri saluti ed operando senza nutrire alcun timore circa la possibilità di presentazione di denunzie ad opera dal destinatario della richiesta, benché a costui fosse ben nota l’identità del soggetto utilizzato come tramite. Ne risulta quindi confermata l’esistenza di anteriori rapporti, caratterizzati da rilevante intensità, tra i soggetti in questione.
E’, poi, ragionevole ritenere che simili relazioni possano avere avuto inizio in una fase (come quella indicata da Giovanni Brusca, che ha fatto riferimento agli anni 1983-84) in cui i cugini Salvo erano in condizione di avvertire precisi segnali dell’incisiva attenzione degli organi investigativi che avrebbe poi condotto, in data 12 novembre 1984, alla loro cattura, e risultavano pertanto interessati a servirsi di persone a loro strettamente legate, ma non affiliate a “Cosa Nostra”, per mantenere – nel caso di sfavorevoli sviluppi delle indagini pendenti a loro carico – i rapporti con i loro referenti mafiosi.
In merito all’individuazione degli esponenti mafiosi cui i cugini Salvo facevano riferimento nel periodo in esame, deve osservarsi che all’udienza del 17 dicembre 1997 il collaborante Angelo Siino ha specificato che i Salvo, dopo l’uccisione di Stefano Bontate, erano stati “aggregati” alla “famiglia” di San Giuseppe Jato ed erano “nelle mani di Bernardo Brusca” (il quale “era quello che gestiva i cugini Salvo”).
Dall’insieme degli elementi di convincimento sopra riassunti è possibile dunque desumere che Giuseppe Cambria, già nel 1983, risultava fortemente legato ai cugini Salvo sia sotto il profilo dell’esercizio delle comuni attività imprenditoriali, sia sotto il profilo dell’incisiva influenza esplicata sul piano politico-istituzionale, e manteneva, al pari di loro, intensi rapporti sia con autorevoli esponenti siciliani della corrente andreottiana, sia con soggetti organicamente inseriti in cosche mafiose facenti capo allo schieramento dei “corleonesi”.
E’ quindi logico ritenere che la scelta, compiuta da Giuseppe Cambria nelle dichiarazioni rese al P.M. in data 2 maggio 1996 (il cui verbale è stato acquisito all’udienza dell’11 dicembre 1998 a seguito del rifiuto di rispondere espresso dal medesimo imputato di reato connesso), di negare (in contrasto con le ulteriori risultanze probatorie) di avere ricevuto – per il tramite di un medico del reparto cardiologia – la notizia che l’on. Giulio Andreotti aveva telefonato all’ospedale per chiedere informazioni sul suo stato di salute, sia stata motivata dalla consapevolezza dell’irriducibile contraddizione riscontrabile tra l’episodio in esame e la tesi difensiva del sen. Andreotti, che ha escluso di avere intrattenuto rapporti di qualsivoglia natura con i cugini Salvo.
Sul punto, deve infatti osservarsi che la comunicazione telefonica, sebbene materialmente compiuta da un soggetto appartenente alla segreteria personale del sen. Andreotti, esprime inequivocabilmente un preciso interessamento dello stesso uomo politico per le condizioni di salute di una persona strettamente legata ai cugini Salvo sotto ogni profilo (personale, economico- imprenditoriale, politico) ed operante, unitamente a loro, in un medesimo contesto di relazioni con ambienti politici ed esponenti della criminalità organizzata.
Può escludersi con certezza che la richiesta di informazioni sulla salute di Giuseppe Cambria si ricollegasse ad un interessamento di uomini politici diversi dal sen. Andreotti, anche se appartenenti alla sua corrente; non si vede, infatti, quale ragione potesse indurre altri esponenti politici ad evitare di esplicitare il proprio nome, ed a fornire false generalità, in una simile comunicazione telefonica, costituente espressione di cordiale vicinanza ed amichevole solidarietà.
Né si ravvisa il benché minimo motivo che potesse indurre una qualsiasi persona inserita nella segreteria del sen. Andreotti a telefonare per informarsi sulle condizioni di Giuseppe Cambria in mancanza di una iniziativa proveniente dall’imputato.
Il significato dell’episodio era stato esattamente interpretato dal dott. Messina, il quale ha chiarito di avere “identificato nella segreteria l’interessamento dell’onorevole Andreotti”. Si tratta, infatti, di una rappresentazione pienamente conforme all’oggettiva valenza di una simile comunicazione telefonica, chiaramente rivolta a manifestare la particolare considerazione in cui l’esponente politico teneva il soggetto allora ricoverato.
Quanto alle ragioni dell’interessamento esplicato dal sen. Andreotti, per il tramite di un componente della sua segreteria personale, nei confronti di Giuseppe Cambria, occorre rilevare che le stesse non appaiono riconducibili a rapporti diversi rispetto a quelli che legavano l’imputato (sotto il profilo personale e sotto il profilo politico) all’importante centro di potere economico- politico facente capo ai cugini Salvo ed ai soggetti loro vicini.
Non sono, infatti, emerse ulteriori situazioni, di conoscenza personale o di altra natura, che potessero indurre il sen. Andreotti a manifestare la propria attenzione verso Giuseppe Cambria nel momento in cui quest’ultimo si trovava ricoverato a seguito di una crisi cardiaca. Ciò è stato implicitamente ammesso dallo stesso imputato, il quale, nelle dichiarazioni spontanee rese all’udienza del 29 ottobre 1998, ha rilevato che Guglielmo Cambria, presente in occasione delle nozze Merlino-Maiolino, “non era il socio dei SALVO nella SATRIS, quello di cui quando ero ammalato chissà perché chiedere notizie. Ma suo fratello”.
Va, infine, considerata assolutamente ininfluente la circostanza che il sen. Andreotti in data 6 settembre 1983 alle ore 18.10 sia partito da Ciampino con un volo del 31° Stormo dell’Aeronautica Militare per recarsi a Madrid, ed abbia fatto rientro a Ciampino il successivo 8 settembre alle ore 00.20 (cfr. la documentazione acquisita il 16 settembre 1997).
Nulla, infatti, esclude che la comunicazione telefonica in questione sia stata effettuata anteriormente all’inizio del viaggio, oppure durante la permanenza all’estero, ovvero - su impulso dello stesso esponente politico - da un componente della sua segreteria rimasto in Italia mentre il sen. Andreotti si recava in Spagna.
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