Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D’Alì ’ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


Ed invero, dagli elementi a disposizione può affermarsi con certezza che lo stesso D’Alì ha alienato, nei primi anni ’80 del secolo scorso, un fondo di sua proprietà, il fondo Zangara (in agro di Castelvetrano), a Passanante Alfonso, prestanome di Riina Salvatore. Sebbene allora fosse stato stipulato semplicemente un contratto preliminare, deve ritenersi con certezza che al D’Alì fosse stato pagato, sempre allora (all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso), l’intero prezzo di vendita. Al riguardo va evidenziato: che il fondo Zangara era pervenuto in eredità al D’Alì nel 1977 (a seguito della morte del nonno);
che il relativo campiere, “il sovrastante dell’azienda”, era (già da prima che il fondo passasse in proprietà all’odierno imputato; ma anche dopo tale passaggio) Messina Denaro Francesco, allora esponente di spicco della famiglia mafiosa di Castelvetrano (poi datosi alla latitanza e morto proprio in latitanza) nonché padre di Matteo (tuttora uno degli esponenti di maggior rilievo dell’intero sodalizio denominato Cosa Nostra, anche lui latitante da anni);

che, secondo quanto riferito da Aula Maria Antonietta (prima moglie del D’ALÌ) in data 23 marzo 2010 (con dichiarazioni - rese a seguito dell’avvertimento ex art. 199 c.p.p. che, in relazione ai fatti verificatisi prima della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la stessa aveva facoltà di non rispondere – sostanzialmente confermate nei corso del dibattimento), agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso il D’Alì aveva venduto l’azienda in C.da Zangara per ripianare dei debiti connessi ad investimenti familiari “sbagliati” operati in Sardegna, tant’è che da allora la coppia (D’Alì/Aula) non si era più recata presso quell’immobile Salvo che per coordinare il trasloco relativo alla casa rurale (operato verso il 1983);

che, sempre secondo quanto dichiarato dalla Aula (questa volta si fa riferimento a quanto dalla donna raccontato alla giornalista Amurri nel corso di una conversazione da quest’ultima registrata), il D’Alì si era affidato a Messina Denaro Francesco per la vendita del fondo Zangara (Aula: “Per questo terreno aveva parlato con Don Ciccio” – e nel corso del dibattimento la stessa Aula ha precisato che si stava riferendo proprio a Messina Denaro Francesco -; Amurri: “Cioè tu dici che lui aveva dato a Don Ciccio di venderlo?”; Aula: “Certo perché si dovevano pagare i debiti”);

anche tali dichiarazioni della Aula sono corroborate dall’insieme degli elementi di seguito esposti, indicativi del protagonismo nella vicenda dei Messina Denaro, i quali avevano effettivamente garantito che il fondo in questione potesse giungere, tramite “teste di legno” (tra le quali, invero, anche l’odierno imputato, per come si dirà), al massimo esponente di Cosa Nostra: Riina Salvatore;

che, in quel periodo, nei primi anni ’80 del secolo scorso, il fondo in questione – il fondo Zangara aveva formato oggetto di un contratto preliminare di compravendita, in forza del quale il D’Alì si impegnava a vendere e Passanante Alfonso si impegnava ad acquistare;

che allora il Passanante era un prestanome di Riina Salvatore, come si desume pure dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bono Pietro – cfr. pag. 94 della sentenza di primo grado –, relative al fondo limitrofo, anch’esso acquistato presso il D’Alì dal Passanante, in nome e per conto del medesimo Riina (l’attendibilità del Bono è stata affermata dalla sentenza di primo e di secondo grado e nessun elemento è stato mai indicato o sussiste per discostarsi da quel condivisibile giudizio di attendibilità);

che, in seguito, il Passanante è stato condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.. in quanto appartenente alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara nonché in stretti rapporti proprio con Riina Salvatore e Provenzano Bernardo (il Passanante aveva pure ospitato il Riina per certi periodi, durante la latitanza di quest’ultimo; v. pag. 115 della sentenza del Gup);

che tali stretti rapporti con il Riina, uniti al fatto che il Passanante avesse acquistato il fondo limitrofo a quello oggi in questione quale prestanome del medesimo Riina Salvatore, corroborano la circostanza che anche il fondo oggetto del presente vaglio fosse stato sostanzialmente acquistato dal Passanante per conto del Riina e come prestanome di quest’ultimo;

che, in effetti tra il D’Alì ed il Passanante risulta essere stato stipulato solo un preliminare ma, come correttamente evidenziato dal Gup, è probabile che sin dagli anni ’80 del secolo scorso si fosse inteso trasferire la proprietà dell’immobile (dal D’Alì al nuovo dominus apparentemente il Passanante, in realtà Riina Salvatore), come peraltro confermato dalla Aula;

d’altronde, la situazione di difficoltà economica del D’Alì, che verosimilmente lo aveva indotto a vendere il fondo Zangara per ripianare determinati cospicui debiti sorti in ragione di investimenti sbagliati, è databile proprio ai primi anni ’80 del secolo scorso e ciò appare confermato anche: dalla vendita nel 1982 del terreno finitimo a Gunnella Aristide, dall’estinzione nel luglio 1983 dell’ipoteca ammontante a quasi 500 milioni di lire su una grossa porzione del fondo Zangara poi venduto a Geraci Francesco (estinzione verosimilmente avvenuta grazie alla liquidità garantita dalla vendita in favore del Passanante, sebbene la vendita stessa non sia stata formalizzata), dalla chiusura della posizione contributiva agricola SCAU, dalle dimissioni dell’imputato dalla compagine sociale della Cantina Zangara (1985) e dall’ingresso nella compagine della Cantina Zangara del Passanante (sempre 1985);

che anche il fatto che, poi, il D’Alì abbia restituito il prezzo di vendita del fondo Zangara al Geraci lascia ritenere che il medesimo imputato avesse già ricevuto il prezzo stesso negli anni ’80 e che, quindi, nella sostanza, già allora l’alienazione del fondo Zangara si era sostanzialmente perfezionata (quantomeno de facto);

che, in sostanza, il D’ALİ aveva effettivamente alienato a Passanante prestanome del Riina, il fondo Zangara negli anni ’80 del secolo scorso ma in relazione al fondo medesimo, per diversi anni, era stato stipulato soltanto un contratto preliminare di compravendita in favore del medesimo Passanante; per tutto tale periodo, quindi, il D’ALI era rimasto formalmente titolare dell’immobile (pur avendo già ricevuto il prezzo di vendita e pur non esercitando i relativi diritti), così interponendosi come ulteriore schermo rispetto al reale proprietario del bene, che era Riina Salvatore;

che, ad un certo punto, sarà sorta in modo naturale l’esigenza di “regolarizzare” quella situazione, in quanto si era in presenza di un immobile "pagato" all’ex proprietario (il D’ALİ), il quale però ne era rimasto formalmente titolare poiché, in tanti anni, non si era andati oltre ad un contratto preliminare stipulato con il Passanante (che, come già detto agiva quale prestanome del Riina);

però non era più possibile intestare in sicurezza il bene in oggetto al Passanante: infatti costui, il 19 novembre 1990, era stato attinto da una misura cautelare custodiale perché gravemente indiziato di associazioni per delinquere di tipo mafioso, per cui evidentemente egli era esposto all’applicazione una misura di prevenzione di natura patrimoniale (ed in effetti nell’agosto del 1994 il medesimo Passanante è stato proposto per l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno); per tale ragione Cosa Nostra doveva trovare un nuovo soggetto cui attribuire la titolarità del fondo Zangara (sempre per conto del Riina);

che, per di più, Messina Denaro Matteo aveva individuato quale nuovo “prestanome” cui attribuire fittiziamente la proprietà del fondo Zangara (in realtà nella disponibilità di Riina Salvatore) a Geraci Francesco; ed infatti proprio quest’ultimo (attendibile per le condivisibili ragioni esposte alle pagg. da 79 ad 81 della sentenza di primo grado, alla quale sul punto si rinvia) ha rimarcato di essere stato coinvolto nell’acquisto del terreno in questione proprio da Messina Denaro Matteo, il quale – al riguardo – aveva architettato un’operazione assai complessa al fine di schermare l’interesse proprio e di Riina Salvatore nella vicenda (peraltro, sempre secondo il Geraci, Messina Denaro Matteo gli aveva espressamente detto che lui si sarebbe dovuto intestare quel bene “per conto di Riina”);

che, in particolare: Messina Denaro Matteo aveva proposto a Geraci Francesco di acquistare un fondo di tale Saporito Stefano; per acquistare tale fondo, il medesimo Messina Denaro aveva fatto ottenere al Geraci, tramite l’altro sodale (poi divenuto collaboratore di giustizia) Sinacori Vincenzo, un prestito di 300 milioni di lire grazie ad una finanziaria riconducibile a Salvo Gabriele (più precisamente, era stato il Messina Denaro a consegnare, in contanti, al Salvo, la provvista necessaria per l’erogazione dei mutuo); con tale denaro il Geraci aveva acquistato il terreno del Saporito; poi il detto terreno era stato frazionato e rivenduto in favore dei “Sansone di Palermo” per 550 milioni di lire (sempre grazie all’intervento di Messina Denaro Matteo);

il ricavato da tale vendita era stato utilizzato per l’acquisto del fondo Zangara dal D’Alì o meglio per formale pagamento del prezzo di acquisto al D’Alì del medesimo fondo Zangara (lo stesso bene già oggetto del citato contratto preliminare stipulato con il Passanante) – invero sempre secondo il Geraci, soltanto una parte del prezzo pagato dai Sansone era stato poi “investito” nell’acquisto del fondo Zangara, mentre il resto del denaro da versare al D’Alì proveniva (quantomeno in parte) “dagli introiti dell’attività agricola che si svolgeva sul terreno stesso”, cioè sempre sul fondo Zangara (e ciò conferma che detto bene fosse già nelle mani di Cosa Nostra e quindi conferma l’unitarietà dell’operazione, dai tempi dell’intervento del Passanante in poi);

al D’Alì erano stati materialmente corrisposti – a seguito della stipulazione dell’atto di acquisto del fondo Zangara – 300 milioni di lire (ultima rata nell’aprile 1994) ma tutte queste somme erano state poi restituite in contanti dall’odierno imputato e fatte pervenire sempre a Messina Denaro Matteo (come da quest’ultimo già preventivamente stabilito);

che, sempre secondo quanto riferito da Geraci Francesco, tutta la trattativa per l’acquisto del fondo Zangara era stata gestita da Messina Denaro Matteo, mentre lo stesso Geraci non aveva mai avuto alcun rapporto con il venditore D’Alì prima della stipulazione dell’atto (per cui, deve ritenersi, che era stato proprio Messina Denaro Matteo ad interloquire con l’odierno imputato per la stipulazione del contratto di compravendita e per tutti gli accordo correlati, ivi inclusa la restituzione in contanti del prezzo versato);

in seguito Geraci Francesco si era recato presso il D’Alì (“il banchiere forse ora è Onorevole”, come riferito nel 1996; anche il fratello di Geraci Francesco. Tommaso, anche lui sentito nel 1996, ha confermato che il denaro era stato restituito dal D’Alì, “uno con la barba che forse fa il senatore”;

per cui trattavasi proprio dell’odierno imputato) per ottenere la restituzione del prezzo versato (il D’Alì aveva restituito tutto il prezzo: ad ulteriore conferma che l’alienazione, de facto, era già avvenuta tempo addietro e che il relativo corrispettivo era già stato pagato al D’Alì negli anni ’80 del secolo scorso) e le relative somme poi venivano girate a Messina Denaro Matteo;

che Messina Denaro Matteo aveva riferito al Geraci che il fondo Zangara aveva già formato oggetto di un contratto preliminare di compravendita stipulato tra il D’Alì ed il Passanante e ciò conferma, pertanto, che il medesimo Messina Denaro era al corrente di quell’atto e, quindi, conferma l’unitarietà della vicenda;

che, sempre secondo Geraci Francesco. su richiesta di Messina Denaro Matteo, lui stesso aveva presentato Riina Salvatore al proprio fratello Andrea, indicandoglielo quale effettivo proprietario del fondo, perché il medesimo germano sapesse a chi effettivamente appartenesse quel terreno nel caso in cui fosse accaduto qualcosa allo stesso Geraci Francesco;

che le dichiarazioni di Geraci Francesco sono state puntualmente riscontrate da quelle del fratello Geraci Andrea, attendibile per le condivisibili ragioni indicate dal Gup alle pagine da 86 ad 88 della sua sentenza, alla quale sul punto si rinvia;

che, peraltro, Geraci Andrea si era occupato dell’amministrazione del fondo Zangara dopo l’arresto del fratello Francesco, dando conto della stessa amministrazione a Messina Denaro Matteo e Bagarella Leoluca, genero del Riina (il quale aveva sposato la sorella del Bagarella).

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