Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Per i giudici di Palermo l’estorsione mafiosa a danno di operatori economici, grandi e piccoli, è un dato “sistemico” più che “sistematico”.

Spesso non occorre esplicitare neppure atti esemplari di intimidazione e minaccia.

Molte dazioni non sono condizionate da preventivi attentati incendiari o atti di violenza particolarmente efferati. Basta una pressante richiesta di “prestito” (a fondo perduto come sa bene chi lo concede) o di “regalo” per i detenuti. Bastano semplici pretesti per ottenere la “messa a posto”, come ad esempio l’offerta dei "buoni uffizi", a titolo di "amicizia", per la mediazione finalizzata ad ottenere lo "sconto" sul "pizzo" apparentemente richiesto da terzi estranei.

In alcuni casi gli imprenditori più accorti “anticipano” le richieste della associazione, e loro stessi si presentano per pagare, senza aver avuto al riguardo alcuna richiesta, né subito alcun danneggiamento, quale semplice risultato della minaccia ambientale costituita dall’esistenza di Cosa Nostra sul territorio.

Emblematica la vicenda di un venditore al minuto di capi di abbigliamento di Bagheria. È la storia di Angelo Di Cristina, un testimone – vittima di estorsione del del procedimento “Grande mandamento”.

Nell’estate del 2002, Di Cristina viene avvicinato da un suo conoscente, Carmelo Bartolone, un affiliato alla famiglia mafiosa di Bagheria e titolare di una ben avviata impresa. Bartolone si lamenta delle ristrettezze economiche in cui vive. Gli chiede un aiuto, una somma di denaro, 4.000,00 euro. Di Cristina lo rassicura, lo invita ad aspettare un po’ di tempo, ma lo avrebbe aiutato. I due si incontrano casualmente due mesi dopo. Bartolone gli domanda se è pronto a dare la somma di € 4.000,00.

Di Cristina quarantotto ore più tardi gli consegna la somma.

Il commerciante “taglieggiato” è esplicito coi magistrati. Chiarisce di non avere ricevuto alcun tipo di minaccia, di essere consapevole che quei soldi non li avrebbe più riavuti pur essendo il Bartolone un imprenditore facoltoso, ma di avere deciso di pagare per il “quieto vivere”.

Le sue parole esprimono un modo di convivere con la mafia, la ricerca di un equilibrio stabile. È un atteggiamento che si consuma in una area dove da lungo tempo le cosche contendono allo Stato il “monopolio della violenza”.

A volte, con la manovra estorsiva, l’organizzazione ricava “consenso” dallo stesso delitto da lei perpetrato. Fondamentale in questi casi il ruolo di colui che nell’ambiente funge da cosiddetta “scarica”.

La “scarica” è un soggetto che non pone in essere una minaccia diretta, ma, sapendo che altri “picciotti” si faranno sentire, è pronto a intervenire su richiesta dello stesso commerciante taglieggiato. Di solito, il ruolo è ricoperto da una persona nota nel quartiere come vicina all’ambiente mafioso, il quale spesso incassa il denaro dell’estorsione per conto della organizzazione.

In apparenza il tutto sembra svolgersi a favore della vittima. Ma non è altro che una attività di mediazione simulata. L’esercente, in questi casi, non riceve direttamente l’ordine di pagare da una persona che lo minaccia, ancorché velatamente. Basta la sollecitazione a rivolgersi alla “persona giusta”.

Questa si presenta con il volto amico di chi è in grado di determinare una riduzione anche considerevole delle pretese della organizzazione. Il paradosso sta nel fatto che il commerciante finisce non solo per finanziare i suoi estorsori ma, psicologicamente, in qualche modo è costretto anche ad essere grato al “volto amico” che apparentemente lo ha aiutato in un momento difficile.

È un risvolto degli equilibri imposti da Cosa Nostra da non trascurare anche in chiave giudiziaria. Nel momento in cui l’estorsione viene scoperta per mezzo, ad esempio, di attività di intercettazione da parte della polizia.

Per il commerciante, a quel punto, se interpellato dagli investigatori si pone il problema della denuncia di quanto accaduto. In molti casi, il “taglieggiato” è reticente proprio per non “inguaiare” il “presunto amico” che aveva fatto ottenere uno sconto sul “pizzo”.

In altri termini, una volta avviato, il meccanismo della estorsione-protezione sembra riprodursi da sé. Diventa difficile sottrarsi alle richieste o semplicemente contenerle. Di fatto molti commercianti e imprenditori si rassegnano ad accettarlo nel calcolo economico o della gestione dell’impresa. E semmai, le capacità imprenditoriali vengono misurate in base all’abilità che si dimostra nell’ottenere al minor costo possibile la protezione.

© Riproduzione riservata