Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D'Alì'ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


Ulteriore riscontro in relazione alla vicenda in questione proviene dal collaboratore di giustizia Sinacori Vincenzo (attendibile per le condivisibili considerazioni riportate alle pagine 92 e 93 della sentenza di primo grado, alle quali sul punto si rinvia), il quale ha confermato che il "finanziamento” erogato dal Salvo al Geraci era simulato (in quanto al medesimo Salvo era stata consegnata in contanti la relativa provvista, proprio come riferito dal Geraci), ha confermato che il reale proprietario del fondo fosse il Riina (e non il Geraci), nonché ha evidenziato che i rapporti tra i Messina Denaro e la famiglia D'Alì erano "buonissimi", tant'è che se alcuni appartenenti al sodalizio mafioso (il Sinacori faceva specifico riferimento a Virga Vincenzo) avevano bisogno di favori dai D'Alì cercavano di ottenerli rivolgendosi ai Messina Denaro.
Ciò posto, il fatto che il Passanante fosse un fedelissimo ed un prestanome di Riina Salvatore ed il fatto che pure il Geraci abbia agito quale prestanome di Riina, ottenendo la restituzione del prezzo versato, confermano sia l'unitarietà della vicenda sia il fatto che già negli anni '80 il bene era stato effettivamente venduto (con ottenimento del prezzo da parte del D'Alì e corrispondente cessione da parte di quest'ultimo delle prerogative del dominus) ad un prestanome di Riina, pur rimanendo il D'Alì formale intestatario.
Tali conclusioni, come già evidenziato, sono riscontrate anche dalle dichiarazioni della Aula ed a sua volta confermano l'attendibilità di costei, secondo la quale il terreno in oggetto era stato effettivamente venduto negli anni '80 (mentre poi il Geraci avrebbe solo fittiziamente acquistato per conto di Riina un bene che già era stato pagato ed era già nella disponibilità del medesimo Riina, tant'è che il D'Alì ha restituito il prezzo corrispostogli negli anni '90, a conferma che il prezzo per la vendita del bene gli era stato già effettivamente corrisposto negli anni '80).

Si ricordi, poi, che la stessa Aula, nel corso della sua conversazione con la Amurri, ha chiaramente sottolineato che il D'Alì aveva incaricato Messina Denaro Francesco di trovare - sempre negli anni '80 – un acquirente per il fondo in questione (sebbene la stessa Aula, nel corso della sua audizione dibattimentale, abbia cercato confusamente di offuscare la chiarezza di quelle affermazioni, in coerenza con una deposizione costantemente attenta a non danneggiare l'imputato; ciò comunque conferma che la medesima Aula non era animata da alcun intento calunniatorio nei riguardi del D'Alì) e tali affermazioni della donna trovano riscontro in tutti gli elementi fin qui evidenziati, fortemente indicativi del fatto che la regia della vicenda in esame è sempre stata saldamente nelle mani dei Messina Denaro (Messina Denaro Francesco, in forza dei suoi stretti rapporti con il Riina, avrà verosimilmente proposto a quest'ultimo l'acquisto dell'immobile e, poi, il figlio Messina Denaro Matteo ha completato l'operazione con l'articolato meccanismo sopra descritto, funzionale a schermare sempre il Riina dietro un acquirente "insospettabile").
In definitiva:
1) il fatto che il D'Alì si fosse originariamente rivolto - negli anni '80 del secolo scorso - a Messina Denaro Francesco (padre di Matteo) perché reperisse un acquirente per il fondo Zangara (che l'imputato doveva vendere per far fronte a determinati "affari sbagliati");
2) il fatto che all'origine fosse stato coinvolto nell'acquisto (giungendo a stipulare un preliminare) un soggetto mafioso particolarmente vicino al Riina e suo prestanome in operazioni relative a fondi limitrofi;
3) il fatto che Geraci Francesco -colui il quale ha portato a termine l'operazione d'acquisto in oggetto (visto che il Passanante non poteva più acquistare il fondo Zangara perché sottoposto ad indagini di mafia e quindi a rischio di applicazione di una confisca in materia di misure di prevenzione) - era stato avvertito da Messina Denaro Matteo che si poneva come regista dell'intera operazione - che il reale dominus del bene acquistato dal D'Alì era il Riina;
4) il fatto che dell'amministrazione dell'immobile doveva rendersi conto sia a Messina Denaro Matteo che al cognato di Riina Salvatore (Bagarella Leoluca);
5) il fatto che, dopo la stipula dell'atto di vendita in favore di Geraci Francesco, il D'Alì abbia restituito il prezzo (elemento che, da un lato, lascia ritenere che il prezzo medesimo fosse già stato corrisposto al D'Alİ all'epoca della conclusione del contratto preliminare col Passanante, dall'altro lato, lascia ritenere che - sebbene col Passanante fosse stato stipulato un preliminare soltanto - già allora fosse inteso che lo scambio di cosa contro prezzo fosse sin da subito effettivo) costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti nel senso che l'operazione complessiva relativa al fondo Zangara fosse unitaria e che, quindi, sia i Geraci -poi- che il Passanante -prima- avessero agito sotto le direttive dei Messina Denaro (Francesco, prima, e Matteo, poi) e del Riina e quali prestanome di quest'ultimo: l'unitarietà dell'operazione è inoltre confermata dal fatto che Geraci Francesco ha riferito di essere stato avvertito da Messina Denaro Matteo che quel fondo aveva già formato oggetto di contratto preliminare di compravendita in favore del Passanante, contratto che non è mai stato in alcun modo risolto (e pure "l'abbandono" di quel contratto con mera sovrapposizione ad esso della compravendita tra il D'Alì ed il Geraci conferma l'unitarietà della vicenda).

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