Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


È noto sul piano storico che nel 1972 esplosero, su diverse tratte ferroviarie, ben sette bombe per colpire i treni che stavano trasportando i lavoratori alla manifestazione di Reggio Calabria, che doveva essere la risposta ai moti eversivi dell’estate del 1970. Sappiamo che nell’autunno di quell’anno il segretario della DC, Forlani, lanciò da La Spezia un allarme sulle trame eversive in atto, denunciando la trama nera che metteva in pericolo la democrazia.

Secondo il presidente della Commissione stragi sen. Pellegrino nel suo “Appunto per una relazione conclusiva”, forti tensioni istituzionali, animarono progetti di modificazione traumatica della Costituzione repubblicana. Tali “tensioni furono denunciate nella contemporaneità degli avvenimenti dall’onorevole Arnaldo Forlani nel noto comizio a La Spezia del novembre ’72. Si trattò di piani di riforma istituzionale che avevano una potenzialità eversiva, perché il contesto politico dell’epoca ne escludeva una realizzabilità secondo l’ordinario procedimento di revisione costituzionale; sicché quanti li concepirono ponevano in conto di realizzarli anche attraverso l’utilizzazione della forza, a tal fine coinvolgendovi o tentando di coinvolgervi vertici dei vari apparati”.

Sostiene il presidente Pellegrino, che sull’esistenza di simili pulsioni e sulla loro ampiezza (sia pur relativa) dei coinvolgimenti politici ed istituzionali non possono più sussistere margini di dubbio; rilevanti indizi erano già emersi in diverse indagini giudiziarie (che la proposta di relazione del 1995 attentamente analizzava) e hanno trovato poi clamorosa conferma nelle memorie postume di Edgardo Sogno. Si trattò, peraltro, di programmi che, pure in sé penalmente rilevanti, non conobbero mai neppure fasi iniziali di attivazione, con l’unica eccezione del golpe Borghese.

La denuncia di Forlani a La Spezia del 5 novembre 1972 fu chiara ed esplicita. L’Appunto Pellegrino la riporta: "è stato operato il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia portato avanti dalla Liberazione ad oggi ( ... ). Questo tentativo disgregante (con) una trama (dalle) radici organizzative e finanziarie consistenti ha trovato delle solidarietà non soltanto di ordine interno, ma anche internazionale. Questo tentativo non è finito; noi sappiamo in modo documentale che è ancora in corso".

L’onorevole Forlani ne esplicitò il senso davanti alla Commissione: «Il mio intervento è ( ... ) da interpretare come un allarme, come un monito diretto a rendere avvertita l’opinione pubblica e segnare, nel contempo, in modo preciso, anche all’interno e all’esterno per i nostri alleati che la posizione della Democrazia Cristiana avrebbe continuato a muoversi secondo questa direttrice di fondo: contrastare il comunismo, ma senza far venire meno gli impegni di tenuta e difesa del metodo e del sistema democratico».

Sul discorso di Forlani sono state avanzate plurime ipotesi di spiegazione. È in atti un’annotazione dell’Ispettore Cacioppo, che per conto dell’autorità giudiziaria bresciana indagò su un documento anonimo pervenuto nell’autunno del 1972 ai parlamentari, un documento sintetizzato agli atti del SID come “anonimo romano” e intitolato “Guerra tra democristiani all’insegna della trama nera”.

In realtà Cacioppo indagò sulle indagini svolte in precedenza dal SID e su tutto quanto emerso in relazione alle acquisizioni scaturite da dette indagini, in cui furono impegnati i principali Centri Servizio del paese. Per quanto qui interessa emerge dall’anonimo e dalle indagini che in quel periodo Andreotti veniva considerato punto di riferimento per i gruppi che lavoravano per l’eversione istituzionale (e in effetti sui suoi rapporti con i De Felice e con De Jorio esistono riscontri), mentre Forlani e Rumor lavoravano per un nuovo centrosinistra e quindi per la caduta del governo di centrodestra.

Da qui il discorso di La Spezia per il quale è stata avanzata anche una più sottile interpretazione: Forlani intendeva bloccare sul nascere uno sviluppo alla greca della situazione italiana, riassorbendo così quella componente di opinione pubblica di destra che tuttavia temeva un golpe fascista.

Al contempo puntava ad acquisire consenso alla DC, riqualificandola come baluardo antifascista. E si tratta di una lettura considerata "interessante" sul piano storico, alla luce di una unitaria chiave interpretativa delle vicende di cui ci stiamo occupando, l’esistenza di un progetto politico complessivo tendente a screditare sia l’estrema destra che l’estrema sinistra, in quanto fautori di azioni violente convergenti contro un unico obiettivo lo Stato, unica garanzia cui affidarsi per salvaguardare la convivenza civile.

Nonostante ciò, le trame golpiste si susseguono per tutto il 1973.

Amos Spiazzi sarà una delle fonti più qualificate nel riferirne, mentre le più volte ricordate memorie di Edgardo Sogno all’inizio del terzo millennio, confermano che si trattava di ipotesi largamente diffuse in larghi strati della politica, non necessariamente di estrema destra e in larghi ambienti militari e del comando dei carabinieri.

Al di là dei progetti falliti o abbandonati vi furono anche seri attentati. Quello fallito sul treno Torino-Genova-Roma del 7 aprile 1973, il cui scopo preciso era rilanciare la pista rossa dopo che per gli attentati del 1969 e per piazza Fontana le indagini stavano puntando decisamente alla pista del gruppo Freda-Ventura. L’azione maldestra dell’attentatore Nico Azzi, appartenente al gruppo La Felice, costola milanese di ON, secondo quanto hanno appurato tutte le sentenze che del gruppo e dell’attentato si sono occupate, portano all’individuazione di questo gruppo, che operava d’intesa con Ordine Nuovo.

La vicenda è nota. I terroristi Mauro Marzorati e Nico Azzi dispongono di tutta l’attrezzatura per confezionare un ordigno esplosivo; con tutto il materiale nascosto in una borsa salgono sul treno a Genova e mentre Azzi si nasconde nella toilette per preparare l’ordigno, Marzorati passeggia per la carrozza, ostentando il quotidiano Lotta Continua. Mentre Azzi maneggia i fili, un imprevisto indebito contatto fa esplodere il detonatore. L’azione viene scoperta. Azzi arrestato subito, Marzorati fugge scendendo alla prima fermata e liberandosi delle armi. Sul treno c’erano 500 passeggeri e, secondo la sentenza, l’esplosione era destinata a fare vittime. In questo caso, a differenza che per gli attentati ai treni del 1969, le responsabilità apparivano conclamate e la matrice di destra dell’attentato indiscutibile.

Azzi è noto come esponente della destra milanese e ammette la sua identità politica. Interrogato, rende ammissioni sulla strategia della destra di perseguire una dittatura militare attraverso attentati che servono a creare panico nel paese e a fare crescere la richiesta di ordine, da soddisfare con l’intervento dei militari.

Si tratta di una svolta eclatante poiché per la prima volta appare evidente che non solo quella strage era di destra, ma che esisteva una trama risalente che non si può più occultare; la strategia, anzi, prevede espressamente che le stragi, che la destra organizza, devono essere camuffate per attribuirne agli avversari le responsabilità.

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