Il Mutolo ha riferito che tra il 1981 ed il 1982 Rosario Riccobono gli presentò ritualmente, nel proprio villino sito a Partanna Mondello nella zona di “Santocanale”, Ignazio Salvo. Il Mutolo ha precisato che già in precedenza egli aveva sentito parlare di Antonino e di Ignazio Salvo, i quali però non gli erano mai stati presentati ritualmente. Si trattava, infatti, di “uomini d’onore” riservati...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra
In ordine all’affiliazione dei cugini Salvo all’illecito sodalizio, alla riservatezza da cui essa era circondata, ed al ruolo disimpegnato da Antonino Salvo nell’interesse di “Cosa Nostra”, si traggono significativi elementi di convincimento dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, esaminato all’udienza del 30 maggio 1996.
Il Mutolo ha riferito che tra il 1981 ed il 1982 Rosario Riccobono (capo del “mandamento” di Partanna Mondello) gli presentò ritualmente, nel proprio villino sito a Partanna Mondello nella zona di “Santocanale”, Ignazio Salvo.
Il Mutolo ha precisato che già in precedenza egli aveva sentito parlare di Antonino e di Ignazio Salvo, i quali però non gli erano mai stati presentati ritualmente. Si trattava, infatti, di “uomini d’onore” riservati, i quali venivano presentati soltanto ad alcuni degli associati.
Quando fu presentato al Mutolo, invece, “Ignazio Salvo non era più riservato”.
Nel corso dell’incontro tenutosi nel predetto villino, Riccobono chiese ad Ignazio Salvo di interessarsi riguardo all’esito che avrebbe potuto avere “a Roma” il processo per l’omicidio Cappiello (nel quale era imputato anche il fidanzato della figlia del Riccobono, Michele Micalizzi, era intervenuta una condanna nel giudizio di primo grado, era stata emessa una sentenza di assoluzione nel giudizio di appello, ed era pendente il ricorso per cassazione). Ignazio Salvo rispose: «non ti preoccupare perchè anche a giorni mi devo vedere con Salvo Lima a Roma e dopo si parla con l'On. Andreotti e ci pensa lui, non ci sono problemi».
Ignazio Salvo, dunque, avrebbe dovuto sottoporre il caso all’on. Lima, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto rivolgersi all’on. Andreotti.
Nella medesima occasione, il Mutolo chiese ad Ignazio Salvo di interessarsi per un giudizio pendente davanti alla Corte di Appello di Palermo, a seguito di una sentenza di primo grado che lo aveva condannato alla pena di sei mesi di reclusione. Ignazio Salvo rassicurò il Mutolo, il quale venne poi assolto.
Il processo per l’omicidio Cappiello venne trattato in Cassazione dopo la morte del Riccobono, scomparso il 30 novembre 1982. La Suprema Corte annullò la sentenza di assoluzione, e nel successivo giudizio di rinvio venne confermata la condanna inflitta nel giudizio di primo
grado.
Il Mutolo ha inoltre evidenziato che, dopo la morte di Stefano Bontate, i Salvo assunsero il compito di mantenere i contatti con l’on. Lima anche per trasmettergli le istanze provenienti da altri “uomini d’onore”, ferma restando la possibilità che taluni esponenti di vertice di “Cosa Nostra” come Salvatore Riina conferissero direttamente con il predetto uomo politico. […].
Con riguardo alla credibilità soggettiva del Mutolo, è sufficiente richiamare la positiva valutazione formulata nel capitolo relativo ai rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona. Le circostanze riferite dal collaborante in merito ai tentativi di “aggiustamento” del processo per l’omicidio del Cappiello e del processo instaurato a carico dello stesso Mutolo sono caratterizzate da precisione e ricchezza di dettagli per quanto attiene:
- all’incontro tra Rosario Riccobono ed Ignazio Salvo;
- all’impegno, assunto da quest’ultimo, di conferire pochi giorni dopo, a Roma, con l’on. Salvo Lima affinché costui, a sua volta, prendesse contatto con il sen. Andreotti allo scopo di interferire sull’esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte di Cassazione, inducendola a confermare la pronunzia assolutoria emessa in grado di appello;
- all’interessamento promesso da Ignazio Salvo relativamente al processo pendente a carico del Mutolo.
La circostanza che inizialmente il collaborante non abbia fatto riferimento al sen. Andreotti è spiegabile tenuto conto della sua espressa riserva di parlare più diffusamente dell’argomento. La successiva integrazione delle contenuto delle sue dichiarazioni era, dunque, già stata preannunziata nella fase iniziale.
Va, poi, osservato che, nel caso in esame, le aggiunte successive non si pongono in un rapporto di alternatività logica con le originarie affermazioni del collaborante, ma ne costituiscono un completamento.
Le indicazioni fornite dal Mutolo, con riguardo allo svolgimento del processo per l’omicidio dell’agente di P.S. Gaetano Cappiello, sono coerenti con i dati desumibili dalla documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato (doc. nn. 18, 19, 20), che evidenzia che:
- con sentenza del 20 aprile 1977 la Corte di Assise di Palermo dichiarò Michele Micalizzi, Salvatore Davì ed Antonino Buffa colpevoli del delitto di omicidio aggravato, commesso in danno della guardia di P.S. Gaetano Cappiello, e di altri reati;
- il Micalizzi, il Davì ed il Buffa furono assolti, per insufficienza di prove, dall’imputazione di omicidio con sentenza emessa il 6 ottobre 1979 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo;
- quest’ultima pronunzia fu annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza del 21 marzo 1983;
- nel giudizio di rinvio la Corte di Assise di Appello di Palermo, con sentenza del 24 maggio 1985, confermò la pronunzia di condanna adottata nel primo grado di giudizio;
- il ricorso proposto dagli imputati avverso la sentenza del 24 maggio 1985 fu rigettato dalla Corte di cassazione in data 5 maggio 1986.
Nessun elemento specifico è stato, invece, esposto dal collaborante con riguardo alle modalità di esplicazione dei tentativi di “aggiustamento”.
Il Mutolo, infatti, non è stato in grado di riferire se Ignazio Salvo abbia effettivamente trasmesso la predetta segnalazione all’on. Lima ed al sen. Andreotti, ed ha aggiunto che dopo la morte del Riccobono non vi fu alcun interessamento.
Il collaborante, inoltre, non ha chiarito le modalità attraverso le quali Ignazio Salvo si sarebbe adoperato per interferire sul processo instaurato nei confronti dello stesso Mutolo.
La valenza dimostrativa delle suesposte dichiarazioni va quindi circoscritta essenzialmente all’adesione dei Salvo all’illecito sodalizio, alla riservatezza mantenuta - per un determinato periodo - in ordine alla loro affiliazione, all’interessamento promesso da Ignazio Salvo per la favorevole soluzione delle predette vicende processuali, ed alla circostanza che Ignazio Salvo, nei colloqui con altri esponenti mafiosi, esplicitasse la propria possibilità di trasmettere le loro istanze all’on. Lima e, per il tramite di quest’ultimo, al sen. Andreotti.
Va comunque rilevato che il contegno tenuto in questa occasione da Ignazio Salvo non appare suscettibile di escludere la sussistenza di rapporti diretti tra di lui ed il sen. Andreotti, essendo finalizzato semplicemente ad avvalersi dell’autorevole intermediazione dell’on. Lima per esercitare una più incisiva pressione in vista della soluzione di uno specifico problema giudiziario, che interessava in modo particolare al Riccobono a causa del coinvolgimento del fidanzato della propria figlia.
Ciò posto, deve osservarsi che sulla base delle deposizioni rese in piena autonomia dai predetti collaboratori di giustizia è rimasto dimostrato che:
- i cugini Salvo erano organicamente inseriti nell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” sin da epoca anteriore al 1976 (cfr. le dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Di Carlo);
- Ignazio Salvo era “sottocapo” della "famiglia" di Salemi (secondo quanto hanno riferito il Buscetta, il Calderone, il Cucuzza, il Sinacori, il Pennino);
- Antonino Salvo per un certo periodo rivestì la carica di “capodecina” della stessa cosca mafiosa (come si evince dalle affermazioni del Buscetta, del Calderone, del Cucuzza);
- i cugini Salvo in un primo tempo erano particolarmente vicini ad esponenti dello schieramento “moderato” di “Cosa Nostra”, come Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate (cfr. le dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Cucuzza, del Sinacori, del Marino Mannoia, del Di Carlo);
- dopo l’inizio della “guerra di mafia”, i cugini Salvo passarono dalla parte dello schieramento “vincente”, che faceva capo al Riina (cfr. le dichiarazioni del Cucuzza, del Sinacori, del Marino Mannoia, del Di Carlo);
- diversi esponenti di “Cosa Nostra” si rivolsero ai Salvo per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali (come si evince dalle sopra riassunte dichiarazioni del Sinacori, del Di Carlo, del Mutolo, nonché da quelle di altri collaboranti, menzionate in altri capitoli);
- i cugini Salvo manifestavano ad altri esponenti mafiosi i loro stretti rapporti con l’on. Lima (come si evince dalle dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Di Carlo, del Pennino, del Mutolo);
- i cugini Salvo, nei loro colloqui con diversi esponenti mafiosi, evidenziavano i loro rapporti con il sen. Andreotti (come si desume dalle indicazioni fornite dal Buscetta, dal Di Carlo, dal Pennino);
- per alcuni anni, l’appartenenza dei Salvo a “Cosa Nostra” venne resa nota solo ad alcuni degli associati (come emerge dalle precisazioni compiute dal Marino Mannoia, dal Di Carlo, dal Mutolo).
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