Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo le inchieste de “I Siciliani”, ringraziando la Fondazione Fava che ci ha concesso la divulgazione


«Mi spieghi una cosa: perché le imprese tedesche non assumono i lavoratori attraverso gli uffici di emigrazione? Che vantaggio hanno a servirsi di lei?»

Fece un «oohhh» di meraviglia: «Come che vantaggio hanno? Attraverso gli uffici di emigrazione arrivano italiani qualsiasi. E come se lei avesse bisogno, che so?… di trenta pecore, e le comprasse così a mucchio, per corrispondenza, invece di scegliere ad una ad una le più selezionate. Attraverso gli uffici di emigrazione arrivano italiani qualsiasi, molti sono macilenti, altri analfabeti, possono essere persino pazzi, oppure malati, oppure alti due palmi. Io invece offro un materiale umano di prim’ordine! Io sono capace di scoprire nel primo incontro se un uomo fuma troppo, se è un po’ malato di cuore, oppure ha guai o sofferenze con la moglie… Io scelgo e offro lavoratori quasi perfetti! Mi stupisco della sua domanda: non c’è nemmeno da discutere sulla convenienza a trattare con me!».

«Domanda ingenua la mia! Chiedo perdono! Allora capovolgiamo il senso. Assodato che le imprese hanno interesse a servirsi di lei, qual è viceversa l’utile degli emigranti, il loro vantaggio a procurarsi un ingaggio con lei, evitando di servirsi degli uffici del lavoro italo tedeschi?»

«Gutt! Prevedevo anche questa domanda e le rispondo: per due ragioni! Primo: perché l’italiano è sempre un po’ imbroglione, anzi scusi… non imbroglione…, ecco, fuori dalla legge, fuori dal senso della legge. Siccome è convinto di essere sempre ingannato dallo Stato, non appena può cerca di ingannarlo a sua volta. Lei non deve dimenticare infatti che, ottenendo un contratto attraverso gli uffici del lavoro, l’emigrante perde automaticamente l’indennità di disoccupazione al suo paese, mentre invece ottenendo l’ingaggio grazie al mio intervento, lavora in Germania e però continua a percepire l’indennità in Italia. Secondo motivo: io gli faccio scegliere il lavoro. Ha presente il gioielliere quando delicatamente sciorina sul velluto nero tutta la gamma delle sue pietre preziose. Ecco, così! Dinnanzi agli occhi di un uomo che non ha lavoro, non ha soldi e nemmeno molte speranze, io sciorino i miei gioielli. Che vuoi fare: il manovale, il carpentiere, il meccanico, l’operaio? Vuoi fare il minatore, il cameriere, il facchino? In quale città ti piacerebbe abitare? Soffri il freddo, ti piacciono i laghi…? Amico mio, scegli! E l’uomo siciliano può fare così la sua scelta personale: si sente perciò più furbo, più orgoglioso…»

«E lavora molto?»

«In questi ultimi tempi ho fatto molti buoni affari! Ora lavoro anche nella Calabria, nelle Puglie. Bisogna spostarsi, capire di volta in volta qual è il luogo più adatto. Bisogna avere cervello, astuzia…» Spalancò il palmo di una mano e vi puntò contro l’indice dell’altra: come se avesse un bersaglio. Fece un lungo risolino silenzioso: «Per esempio gli italiani dell’Africa! Capisce? I profughi voglio dire. Ogni tanto da una contrada africana arriva una piccola torma di sbandati. C’è stata una rivoluzione, un colpo di stato, li hanno spogliati di tutto, cacciati via dall’oggi al domani. A volte la notizia nemmeno si conosce, i giornali non ne pubblicano più, bisogna stare attenti a cogliere l’occasione…»

Per la prima volta fece una brutta risata, ma fu un attimo, riprese subito il suo atteggiamento amabile. Anzi sul volto gli calò un’ombra di malinconia: «Tutta brava gente, quasi disperata, senza via di salvezza. Gente umiliata. Uomini che hanno lavorato tutta l’esistenza al confine della civiltà, capaci perciò di sopportare qualsiasi disagio, capaci di lavorare anche dieci o dodici ore al giorno, senza inganno, senza mai lamentarsi… E per giunta…».

Schioccò lievemente le dita come per impormi una assoluta attenzione: «E per giunta italiani che non sono mai vissuti in Italia. Questo è importante! Mi segua: l’italiano indigeno ormai sta diventando furbo, quasi intrattabile, in questi ultimi dieci anni si è definitivamente convinto che bisogna agire con la bricconeria nella vita. Oh, io conosco l’Italia, potrei scrivere un libro sull’uomo italiano. Egli vive in una società dove coloro che comandano sono quasi sempre i più incapaci, gli uomini corrotti, i politici bugiardi, i loro leccapiedi da tre soldi. Ormai l’italiano medio è diventato cinico, indifferente, disprezza gli uomini politici ma continua a dargli i voti in cambio di qualsiasi meschino favore, è servile e nello stesso tempo infido, vuole vivere anche lui di scrocco. Pretende, grida, litiga, protesta, si ribella, ma solo quando viene minacciato nel suo interesse personale. Per il resto non gliene frega niente di nessuno! È un prodotto della civiltà italiana di questo tempo. Ed eccoci arrivati al punto. L’italiano coloniale invece è un’altra cosa, un altro essere umano; è ingenuo, idealista, laborioso, mite, possiede cioè. tutte le virtù che compongono l’obbedienza. Inoltre è impaurito, non ha capito esattamente quello che succede e come sia possibile che un uomo possa essere improvvisamente umiliato così, come lui è stato umiliato, senza una ragione, spogliato di tutto, anche della sua dignità, senza che la sua Patria intervenga a difenderlo. Si sente solo, trascinato di colpo in un mondo che è l’Italia, che dovrebbe essere la sua casa antica, e dove invece accadono cose che egli non riesce nemmeno a definire: uomini politici con una faccia, una voce da pecora, città invase da milioni di automobili, i servizi della nazione paralizzati dagli scioperi, uomini da due soldi che comandano nella società. E si chiede smarrito: ma come è possibile che la gente faccia scioperi perché si sente povera ed infelice e intanto ci sono milioni di automobili, oppure imbecilli che hanno stipendi di trenta milioni l’anno…»

Di nuovo fece quel lievissimo schiocco di pollice quasi per incantarmi e impedire che io potessi interromperlo con una sciocca domanda: «Ecco dunque dinnanzi a noi questo uomo coloniale umiliato, smarrito e solo! Arrivo io e gli faccio un discorso facilissimo: “Ti hanno ingannato tutti, sempre. Ti hanno bruciato la vita ed ora sei ridotto un verme. Io ti offro semplicemente lavoro, niente altro: otto ore al giorno, un buon salario sicuro, una città moderna e civile del nord dove tutti rispettano la legge. Io ti offro la possibilità di ricominciare la tua vita. Cosa stai a fare qui? Vuoi tornare in Africa e a fare che? Non hai visto chi sono gli africani: non appena possono ti prendono a calci, ti levano anche le scarpe, ti sputano addosso perché tu sei italiano, cioè appartieni a una nazione i cui cittadini possono essere spogliati e presi a calci da qualsiasi africano analfabeta. Tu non lo sai cosa avvenne a Kindu? Kindu è un piccolo paese dell’Africa, nel Congo: arrivarono due aerei di italiani per donare viveri e la popolazione africana li uccise, li sbranò e se li mangiò. E l’Italia muta, sempre con quel sorriso da pecora. Questa è l’Africa e questa è l’Italia: e tu vorresti tornare laggiù? Pazzo! Oppure vuoi restare in Italia? A vivere di elemosina”… Il piccolo, miserabile profugo coloniale, ma che vuole costui? Dategli un sussidio, dategli una baracca in un lager…»

Mi guardò sorridente in silenzio. Aveva gli occhi azzurri gelidi: «Per me quella storia della Libia e di Gheddafi che prese a calci gli italiani è stato un grandissimo affare! Migliore ancora del terremoto di Gibellina!»

«Lei è un demonio!»

«Der Teufleil! In tedesco suona meglio, ha un significato più intellettuale. Io leggo molto Goethe… anche lei dovrebbe farlo, sa? E illuminante…»

Si alzò in piedi, si abbottonò lentamente la giacca, schiacciò accuratamente la cicca nel portacenere e mi sorrise. Sull’attenti mi fece un lieve inchino di congedo: «Ora deve perdonarmi ma devo proprio andare! Ho sette appuntamenti nella giornata, in sette luoghi diversi della Sicilia. Avete strade orribili, e io stasera voglio essere a Taormina. Io adoro Taormina…»

Volle accompagnarmi all’uscio dell’albergo, e di là guardò la piazza, gli uomini, come se li valutasse: i giovani che parlavano e ridevano, i vecchi seduti sotto gli alberi, i bambini che correvano. Fece un sorriso e un cenno: «Vede quell’uomo? Sì, quello che ora sta attraversando la piazza! Io lo conosco, gli ho parlato, sembra un uomo perfetto, è giovane, sano, umile, così povero e così obbediente che è disposto a qualsiasi lavoro. Sembra perfetto e invece no, non mi servirà mai un uomo come lui perché ha un tragico difetto… non vale niente! Ha cinque figli!»

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