L’epoca della globalizzazione crescente e integrata è oramai terminata, il protezionismo è cresciuto, le catene di fornitura spezzate, le mappe dell’energia ridisegnate, i governi hanno rimesso i piedi nell’economia per sostenere la crescita
Quest’anno si profila fondamentale per la politica mondiale. Ci saranno molte competizioni elettorali nel 2024: le elezioni in India, con Modi verso il terzo mandato; la Russia dove Putin consoliderà la sua stretta sulla società russa e naturalmente le elezioni presidenziali americane e quelle europee. Da decenni il mondo non vedeva tanta conflittualità e tanto potere della politica come in questa fase.
L’epoca della globalizzazione crescente e integrata è oramai terminata, il protezionismo è cresciuto, le catene di fornitura spezzate, le mappe dell’energia ridisegnate, i governi hanno rimesso i piedi nell’economia per sostenere la crescita, tamponare il malcontento dei popoli e per ragioni di sicurezza nazionale. La guerra in Ucraina, quella a Gaza, le tensioni con l’Iran e gli Houhti inseriscono i giochi della democrazia in uno scenario dove a ogni filo spezzato col passato, può corrispondere una reazione disastrosa.
Il mondo non è più piatto e il pilota automatico, un tempo marchio di fabbrica delle élite, non funziona più. Le tecnocrazie, le corporation globali e le reti sovranazionali che un tempo sembravano determinanti per i destini del mondo oggi subiscono le sferzate di elettorati e nuovi imprenditori politici sempre meno inclini a rispettare le raccomandazioni o i limiti tracciati in consessi internazionali.
Persino la tecnologia, per definizione inafferrabile e senza confini, viene richiamata all’ordine dalla ragion di stato. Ciò avviene in primo luogo in America, dove la stabilità costruita da Biden con una enormità di stimoli fiscali, sia per ragioni interne che internazionali, è a rischio e un partito repubblicano incapace di reinventarsi è ancora ostaggio di Donald Trump.
L’ex presidente populista potrebbe rivincere le elezioni catapultando la politica mondiale in una serie di domande inquietanti che oggi non hanno risposte.
Ciò avrebbe ripercussioni anche da questo lato dell’Oceano, ma l’Europa deve comunque fare i conti con le proprie debolezze e trasformazioni. Le elezioni europee di giugno probabilmente renderanno palese ciò che fino a oggi è rimasto un non detto: la crisi di legittimazione politica, che ha prodotto populismo, euroscetticismo, radicalismo e nazionalismo, ha oramai raggiunto il centro del sistema.
Questa trasformazione era partita dalla periferia, col successo del nazional-populismo in Italia, con la crescita della sinistra radicale e dei partiti nazionalisti in Spagna, Grecia e Portogallo, ma oggi essa ha contagiato il cuore del continente, cioè Francia e Germania.
E seppure le elezioni europee contano poco sul piano geopolitico e domestico, i risultati avranno ripercussioni sui governi nazionali e sulle relazioni tra questi. In Germania, se i sondaggi saranno rispettati, il sostegno verso la maggioranza Scholz si aggira intorno ad un magro terzo dell’elettorato, mentre una Cdu più conservatrice che in passato si riprenderà lo scettro di primo partito e la destra estrema di Afd scavalcherà quasi certamente il 20 per cento dei consensi.
A Parigi va in scena lo stesso spettacolo seppur in forme diverse. Qui destra lepenista e sinistra radicale assediano il centro liberale di Macron conquistando più della metà degli elettori. La coalizione europeista uscente, che oggi governa Bruxelles, può ancora sopravvivere in termini di seggi ma sarà comunque indebolita e condizionata dalla radicalizzazione dell’opinione pubblica. La domanda di protezione è crescente in una società sempre più invecchiata: economia, lavoro, immigrazione, diritti sociali sono i cardini della richiesta di difesa da parte degli europei.
Per questo, se i partiti radicali dovessero prevalere, il green deal potrà essere molto rallentato in quanto percepito come idea troppo costosa e tecnocratica, mentre sull’immigrazione si affermerà sempre più la linea intransigente e in economia quella dell’interventismo statale a favore dell’industria.
Ma si pensi anche a tematiche come il sostegno all’Ucraina o al rapporto con la Cina che potranno essere condizionati dai nuovi equilibri politici dentro e fuori il parlamento europeo. Se tutto questo si accoppierà con la rielezione di Trump o con un esito elettorale incerto in America probabilmente negli ultimi anni avremmo realmente commentato, per citare un grande libro di Stefan Zweig, il mondo di ieri.
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