Assumono consistenza le parole dell’ex gran maestro Di Bernardo secondo cui «un massone viene condannato per un reato che ha compiuto nella società, però per la massoneria questo non è sufficiente per convalidare quel giudizio. La massoneria dà a se stessa l’autorità di fare la sua verifica per emanare il suo verdetto, che a volte può concordare con quello profano, altre volte no»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana
Del resto, si è già detto nella parte della relazione inerente ai risultati sulle pendenze giudiziarie degli iscritti, come non tutti i massoni condannati per gravi fatti di reato, siano stati effettivamente depennati dalle rispettive associazioni. Da questo punto di vista, dalle audizioni dei gran maestri emerge anche il problema del coordinamento tra quanto accade a livello centrale e quanto accade in quello locale delle organizzazioni.
La circostanza che non sempre i gravi precedenti penali acquisiscano rilevanza massonica è anche confermata dall’analisi del materiale in sequestro.
A tale ultimo proposito, basti riportare la sintomatica vicenda del fratello che, quale direttore di noti complessi alberghieri palermitani, aveva consentito ad un uomo d’onore di curare gli interessi di varie famiglie mafiose proprio all’interno della importante struttura liberty di “Villa Igiea”. Per tali condotte, il direttore, nel marzo del 1999, veniva tratto in arresto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e, nel successivo settembre, veniva condannato con sentenza di patteggiamento (allora consentita per tali gravi reati).
Di converso, dalla documentazione in possesso della Commissione, si è registrata una condotta altalenante da parte dell’obbedienza: in prossimità dell’arresto, il direttore veniva sospeso dalle attività massoniche; tre anni dopo, nell’aprile 2002, veniva tranquillamente reintegrato; più tardi, veniva investito di rilevanti cariche regionali e nazionali in seno all’associazione massonica.
Assumono consistenza, dunque, le parole dell’ex gran maestro Di Bernardo secondo cui “un massone viene condannato per un reato che ha compiuto nella società, però per la massoneria questo non è sufficiente per convalidare quel giudizio. La massoneria dà a se stessa l’autorità di fare la sua verifica per emanare il suo verdetto, che a volte può concordare con quello profano, altre volte no”.
Lo stesso sistema di controllo “apparente” è stato riscontrato per le ispezioni delle logge.
Si è appreso, nel corso dell’inchiesta, che le obbedienze dovrebbero svolgere puntuali controlli anche sulle proprie articolazioni territoriali e, qualora siano accertate connivenze con la criminalità organizzata, sono previsti provvedimenti sanzionatori fino a giungere al cd abbattimento.
A parte quanto già evidenziato in proposito allorché si è affrontata la questione dell’infiltrazione mafiosa nelle logge sciolte, si è inoltre constatato che, in diverse occasioni, da parte dei vertici massonici, invece, è stato coltivato l’interesse, del tutto opposto a quello ordinamentale, ad evitare l’accertamento e a salvaguardare la sopravvivenza di quelle articolazioni seppure ad alto rischio di connivenze con la criminalità.
Già la vicenda della citata “Rocco Verduci” appare particolarmente emblematica, fosse solo perché è stata rinvenuta una chiara prova documentale circa la volontà di tutela della loggia, sebbene irrimediabilmente inquinata. Si ricorderà, infatti, che dopo il decreto del 20 settembre 2013 con il quale Gustavo Raffi ne disponeva la sospensione a causa, anche, di “ un possibile inquinamento, addirittura di carattere malavitoso” , il nuovo gran maestro Stefano Bisi, nemmeno un mese dopo dal suo insediamento, affrontava, dunque come una priorità, la questione della revoca di quel provvedimento che, peraltro, finiva per concedere il 20 giugno 2014, con una motivazione del tutto generica (“allo stato sono venute meno le ragioni che consigliarono l’adozione del provvedimento cautelare”) ben presto smentita dagli accadimenti successivi.
Va qui rilevato, per completezza espositiva, che è proprio di quei giorni, la lettera del 27 maggio 2014, inviata dal massone del Goi, Amerigo Minnicelli, alla Commissione e allo stesso Stefano Bisi, in cui si rimproverava a quest’ultimo, che, in occasione della campagna elettorale per la sua elezione a gran maestro, aveva assunto un atteggiamento negazionista rispetto alle infiltrazioni mafiose in Calabria, forse per “captatio benevolentiae” verso “qualcuno” .
Solo dopo una serie di pressioni provenienti dalla stessa massoneria che chiedeva accoratamente, “al fine di... salvaguardare l’onorabilità” della obbedienza, un intervento del presidente del collegio circoscrizionale della Calabria, e dopo che l’ispezione, disposta da quest’ultimo con apparenti altre finalità, ribadiva la sussistenza delle medesime problematiche sottese al primo decreto di sospensione – solo, dunque, dopo tutto questo – il gran maestro Bisi disponeva, con decreto del 21 novembre 2014, lo scioglimento della loggia “Rocco Verduci”.
Il provvedimento, tuttavia, sebbene infine promulgato, non intendeva affatto penalizzare quella loggia. Intanto, veniva motivato con un mero e laconico richiamo ad atti pregressi (la relazione degli ispettori circoscrizionali della Calabria, del 29 luglio 2014, e quella del presidente del collegio della circoscrizione, del 3 settembre 2014) omettendo ogni riferimento alle criticità di natura mafiosa accertate; e, soprattutto, prevedeva la possibilità per gli iscritti alla “Rocco Verduci” di spostarsi in altre logge, così da vanificare, di fatto, l’effettività della grave misura disposta.
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