Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Labruna ripercorse in ordine cronologico i momenti principali dei progetti golpisti, dalle riunioni del 1969 sino alla primavera del 1974, prima sotto la guida di Borghese e Orlandini, in seguito, dopo la fuga del Principe in Spagna, sotto la guida di un gruppo di uomini protagonisti del primo tentativo e di elementi nuovi del mondo militare e industriale.

Fu complessivamente accertato il percorso organizzativo del golpe preparato da Junio Valerio Borghese a partire dall’inizio del 1969 in ogni parte d’Italia; l’adesione di Avanguardia Nazionale al progetto, vista con entusiasmo dal Principe; l’organizzazione del Fronte in gruppi pubblici e legali e gruppi occulti di carattere operativo; la descrizione degli avvenimenti del 7 dicembre 1970 e del piano che prevedeva l’eliminazione del Capo della

Polizia, l’occupazione parzialmente riuscita del Ministero dell’Interno, della RAI, del Ministero della Difesa (affidata al gruppo ligure di Torquato Nicoli), sino alla sospensione dell’azione nelle prime ore dell’8 dicembre e all’abbandono del Viminale da parte del gruppo di A.N., che tuttavia aveva sottratto una mitragliatrice di tipo particolare quale "prova" a futura memoria e strumento di ricatto in caso di necessità.

Si appurò ancora che per il nuovo tentativo era stato costituito un Direttorio composto da dieci membri (fra cui l’avv. De Marchi, l’ing. Eliodoro Pomar, il dr. Salvatore Drago, già basista al Ministero dell’Interno nel 1970, Stefano Delle Chiaie e un rappresentante di Ordine Nuovo rimasto sconosciuto) e l’adesione del gruppo di Padova di Dario Zagolin, del gruppo M.A.R. di Carlo Fumagalli, di molti ufficiali fra cui, il colonnello Amos Spiazzi, le frenetiche riunioni fra civili e militari del 1973, il finanziamento offerto da alcuni industriali.

Tali circostanze sono ricostruite analiticamente dal colonnello Romagnoli con i due excongiurati con tanto di organigramma dei presenti riunione per riunione. Tali nomi compariranno nel rapporto finale, con il ruolo di AN inspiegabilmente ridimensionato.

La sentenza ribadisce che intento del Reparto D era una sorta di potatura dei rami secchi dei nuclei eversivi; alla magistratura furono consegnate le frange più radicali dei vari progetti golpisti; al contempo furono protetti settori il cui coinvolgimento non doveva assolutamente divenire pubblico.

Furono salvaguardati con la massima cura gli uomini più vicini a un progetto di golpe "bianco", sebbene nel luglio del 1974 il ministro Andreotti avesse proceduto ad ampie sostituzioni negli alti gradi delle forze armate, paralizzando l’azione prevista per il mese successivo. L’obiettivo era duplice: eliminare i gruppi più compromessi e apertamente fascisti ed attrarre a Roma l’inchiesta padovana che minacciava di svelare le trame golpiste operanti, annidate dentro le forze armate con solide radici esterne.

Seguono nel provvedimento una serie di considerazioni di carattere storico che le successive indagini e ricerche indicheranno come fondate.

Scrive il giudice che da alcuni anni la dirigenza del SID era divisa in due gruppi, espressione di diverse "linee politiche". Il Direttore Vito Miceli e gli ufficiali a lui vicini (fra cui quelli del Reparto R) erano attestati su una linea marcatamente di destra. Il generale Miceli era gravemente coinvolto nella congiura e si era sempre adoperato per impedire che pervenissero alla magistratura i rapporti informativi sui preparativi golpisti; amico personale di molti dei congiurati era stato imputato di favoreggiamento, un’accusa riduttiva delle effettive responsabilità.

La linea che faceva capo al numero 2 del Servizio, generale Maletti, considerato legato all’on. Andreotti e in genere al Reparto D, era più moderna e tecnocratica, pur senza nulla concedere sul piano politico. Da qui la scelta di “bruciare una parte della struttura golpista e smobilitare alcune strutture armate dell’estrema destra”.

Maletti auspicava un rafforzamento "legalitario" dei poteri dello Stato che implicava la protezione di alcuni settori coinvolti che non dovevano essere toccati

La linea di condotta del generale Maletti, conforme alla situazione internazionale (caduta dei regimi di Grecia, Spagna e Portogallo che precludeva l’ipotesi golpista) è solo apparentemente in contrasto con la copertura offerta dall’alto ufficiale alla cellula nazifascista di Padova durante le indagini dei giudici di Treviso e di Milano in direzione della "pista nera".

Il Reparto D di Maletti, nominato nel giugno 1971, non era coinvolto o perlomeno non era coinvolto nella persona dello stesso e dei suoi collaboratori nella fase ideativa ed operativa della strage di Piazza Fontana e nei depistaggi immediatamente successivi ad opera degli uomini dell’UAR, anche se il generale nelle sue memorie ricorda di avere creduto alla pista anarchica.

Essi tuttavia attuarono la protezione dei componenti della cellula veneta, organizzando la fuga di Pozzan e Giannettini, la progettata evasione di Ventura, la "chiusura" della fonte Gianni Casalini e i contatti con Massimiliano Fachini.

Un’attività svolta per proteggere gli apparati come tali, in quanto il cedimento anche di uno solo degli imputati avrebbe portato gli inquirenti, livello dopo livello, a risalire fino alle più alte responsabilità che avevano reso possibile l’operazione del 12 dicembre e le ripercussioni che ne sarebbero derivate sarebbero state forse addirittura incompatibili con la conservazione del regime politico del Paese, obiettivo minimo in qualsiasi fase per qualsiasi Servizio.

Un’osservazione che può essere condivisa, ma che conferma come la copertura omertosa e la connivenza sia stata regola aurea dei nostri servizi di sicurezza.

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