Rotolo non pretende soldi. A lui, quindi a Cosa Nostra, interessa poter disporre di ventidue assunzioni. La “capacità di dare lavoro” in contesti connotati da un tasso percentuale di disoccupazione della popolazione molto alto permette all’organizzazione mafiosa di presentarsi come soggetto credibile e prestigioso agli occhi di tanti siciliani
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
“Ora così il discorso, se ne parlate con Pino, digli che siamo disponibili, a noialtri ci servono ventidue posti…..non dobbiamo domandare altro”.
E’ l’esplicita richiesta che, il 24 giugno 2005, il boss Antonino Rotolo formula a Francesco Stassi, emissario del Gruppo Migliore. I due stanno negoziando la “tassa di protezione” per l’apertura di un ipermercato “Grande Migliore” in quel di Canicattì. Rotolo non pretende soldi. A lui, quindi a Cosa Nostra, interessa poter disporre di ventidue assunzioni.
La “capacità di dare lavoro” in contesti connotati da un tasso percentuale di disoccupazione della popolazione molto alto permette all’organizzazione mafiosa di presentarsi come soggetto credibile e prestigioso agli occhi di tanti siciliani.
Per la verità, non è un fatto nuovo. A Palermo, l’imposizione di uno o più dipendenti - spesso mascherata sotto forma di “guardiania” - costituisce una pratica diffusa sin dall’immediato dopoguerra. E la sentenza del primo maxi processo a Cosa Nostra ricorda che i fratelli Pippo e Antonino Calderone, sin dai primi anni cinquanta, “proteggevano” le imprese edilizie dei fratelli Costanzo di Catania in cambio non solo della tangente mensile in lire ma anche imponendo centinaia di dipendenti nei cantieri.
L’episodio che coinvolge il Gruppo Migliore, di cui è chiamato a risponderne anche Antonino Rotolo, dimostra che il prelievo estorsivo non si manifesta solo con l’esazione di un tributo monetario. Questa è proprio una delle peculiarità del sistema di tassazione adottato da Cosa Nostra.
Come più volte evidenziato dalle pronunce del giudici del tribunale di Palermo, quel sistema non richiama il principio di uguaglianza tra contribuenti, con obblighi che dipendono dalla natura dell’attività svolta e dalla capacità contributiva dei singoli. L’imposizione si basa piuttosto su accordi variabili tra la famiglia competente al prelievo e l’operatore economico interessato.
Si tratta, dunque, di un sistema fiscale individualizzato e personalizzato, le cui stipulazioni di dettaglio paiono fortemente condizionate dalle esigenze contingenti dell’associazione. E la personalizzazione delle “clausole contrattuali” finisce per incidere non soltanto sulla “entità” del tributo ma anche sulla sua forma di manifestazione.
Le dazioni in pagamento possono essere della più varia natura. Talune determinano un forte condizionamento sulla discrezionalità dell’imprenditore “taglieggiato”.
Soprattutto nel settore dell’edilizia, da numerosi accertamenti giudiziari è emerso che la “messa a posto” si traduce nell’imposizione di subappalti o forniture, nelle assunzioni di favore di operai e guardiani nei cantieri; oppure, in caso di aggiudicazione di appalti, nella partecipazione a consorzi con altre imprese (perdenti), appoggiate dall’organizzazione mafiosa.
In altri termini, il meccanismo di estorsione-protezione è, sovente, alla base di una fitta rete di relazioni tra persone che, volenti o nolenti, agiscono sotto la regia di “uomini d’onore”, i quali in questo modo controllano l’economia locale.
Quanto all’imposizione di assunzioni nell’azienda di persone legate da vincoli di varia natura ai mafiosi, si osserva che tale pratica ha, naturalmente, pesanti risvolti sulla gestione dell’impresa. Gli operatori economici sono costretti ad assumere forza lavoro in esubero o che non ha le competenze e le capacità richieste.
Inoltre, sovente accade che nell’impresa venga collocato un soggetto legato all’organizzazione criminale. Costui può essere utilizzato dalla cosca per ottenere maggiori informazioni sull’attività dell’imprenditore, realizzando un controllo dall’interno e perciò diretto sull’azienda.
Non è casuale che, nelle vicende estorsive riguardanti il Gruppo Migliore, a trattare coi mafiosi sia un dipendente dell’azienda, Francesco Stassi, scelto proprio per il rapporto di affinità e conoscenza con Rotolo e Bonura.
Sulla variabilità degli obblighi verso l’associazione mafiosa e sul livello di coartazione a cui sono sottoposti certi imprenditori, particolarmente esemplificativo è il caso della estorsione ai danni dell’impresa CO.C.I. s.r.l., accertato nell’ambito del procedimento “Grande Mandamento”.
La ricostruzione dei fatti è fondata non solo sulla documentazione sequestrata al solito Giuseppe Di Fiore (quello del libro mastro, per intenderci) ma soprattutto sulle dichiarazioni delle persone offese.
Si tratta di circostanze emerse in occasione della esecuzione dei lavori per la costruzione di tre vasche di compenso del complesso irriguo San Leonardo in località Carrubbelle, Chiarandà e Bellacera site nei territori ricompresi nei Comuni di Santa Flavia, Bagheria e Casteldaccia.
L’Associazione Temporanea di Imprese - composta dalla C.C.C. Cantieri Costruzioni Cemento spa, con sede a Musile di Piave (VE) e la soc. A.I.A. Costruzioni spa, con sede a Catania - si è aggiudicata i lavori per la realizzazione del complesso irriguo di San Leonardo Ovest – 2° lotto, distretto irriguo di Bagheria. In data 13 giugno 2003, veniva chiesta all’ente appaltante l’autorizzazione per la stipulazione di un contratto di subappalto con la C.O.C.I. s.r.l. con sede a Palermo. La richiesta autorizzazione viene concessa per l’esecuzione delle condotte rientranti nella categoria OG6 e di parte delle opere civili per un importo di € 7.280.000,00.
Comincia in questo modo il calvario dell’amministratore della società C.O.C.I. s.r.l., Ugo Argiroffi, da più di 10 anni impegnato nella costruzione di opere idriche per enti pubblici. I racconti di Argiroffi e del suo collaboratore Vacante agli organi investigativi su quanto accaduto chiarisce cosa sia la “messa a posto” mafiosa.
Dopo qualche giorno, nei primi mesi dell’anno 2004, dall’inizio dei lavori sul cantiere di Bellacera, mentre si trova negli uffici adiacenti, uno dei suoi dipendenti lo avverte che un “personaggio” vuole parlare con lui.
L’amministratore non si sottrae. Ascolta quella persona mai vista prima. Solo successivamente apprende chiamarsi Giuseppe Di Fiore, già notato da alcuni dipendenti della CO.CI s.r.l. tra gli arrestati nell'ambito di una operazione antimafia a Bagheria qualche tempo prima. Di Fiore non usa mezzi termini.
Fa immediatamente capire che la società deve pagare per “mettersi a posto”. Argiroffi teme per la sua incolumità, teme che qualcuno danneggi gli strumenti di lavoro della società. Decide di prendere tempo. Ma rassicura l’arcigno interlocutore sulla disponibilità a versare il “pizzo”. Il 14 aprile 2004, Di Fiore, accompagnato da altra persona, si ripresenta.
C’è in corso il collaudo sul cantiere. Di Fiore insiste. Passa qualche giorno, Argiroffi cede. Negli uffici della CO.CI. consegna al Di Fiore la somma di € 12.000,00, versata in contanti, custodita all'interno di due buste, da lui stesso stabilita in quanto gli “sembrava il minimo congruo per accontentarlo e per evitare di fare brogli fiscali”.
La “messa a posto” non finisce lì.
I particolari li aggiunge il dirigente tecnico dei lavori per la CO.CI. s.r.l, Marco Vacante. Anche lui conosce il Di Fiore sul cantiere. Glielo presenta il collega Vincenzo Accidenti, il capo cantiere. Rivede di Fiore negli uffici della C.O.C.I di Palermo. Questa volta, assieme a tale Nicolò Testa, si propone per la fornitura di sabbia e per il noleggio di due escavatori.
All’inizio dei lavori la C.O.C.I. si rifornisce di sabbia presso la cava Buttitta di Bagheria e “noleggia a freddo” gli escavatori con relativi camion dalla impresa CANDIS, sempre di Bagheria. Ma Di Fiore insiste e, alla fine, la fornitura di sabbia viene accordata all’impresa del Testa con l’offerta di € 7,00 per tonnellata.
A seguito di una missiva inviata dal Testa alla società San Leonardo, l'offerta veniva poi parificata al prezzo già praticato dal precedente fornitore, Buttitta Salvatore, pari a € 7,50. Una parificazione che comporta da parte dell’impresa C.O.C.I. l’emissione di una fattura, a favore di Nicola Testa, di € 8.000,00, metà dei quali sono riconsegnati a Vincenzo Accidenti, per il pagamento degli extra agli operai.
In altri termini un escamotage contabile per ottenere ufficialmente in uscita denaro da utilizzare. Ma le indebite imposizioni continuano.
Questa volta ne parla il capo cantiere Vincenzo Accidenti. Nel settembre del 2003 la C.O.C.I, per completare i lavori che aveva iniziato, deve eseguire l’esproprio di alcuni terreni. E’ tutto già stabilito in base ad una procedura amministrativa, con tanto di motivazione sulla pubblica utilità delle opere. Tra i terreni interessati ve ne è uno di pertinenza della signora Lo Bue. La donna è legata sentimentalmente a Giuseppe Di Fiore, quello del “libro mastro” poi sequestrato nel gennaio del 2005.
Si lamenta di quanto sta accadendo. E quando deve concretarsi l’esproprio, con la Lo Bue, presso il cantiere di Bellacera, si presenta il Di Fiore per sostenere che le condotte idriche non dovevano passare sul quel terreno. La protesta pare non ottenga l’ascolto del capo cantiere. Di Fiore, allora, decide di ritornare sul cantiere la settimana successiva.
Questa volta accompagnato da Carmelo Bartolone. Il tono del Di Fiore è “perentorio ed arrogante", come riferisce Accidenti alla polizia. Ad un certo punto la minaccia è esplicita: in caso di esproprio il capo cantiere avrebbe “avuto dei dispiaceri”. Ma anche in tale circostanza il destinatario del messaggio mafioso non sembra disposto a piegare il capo.
L’escalation intimidatoria non si ferma. Di Fiore si presenta al cantiere non solo con il Bartolone ma pure con un altro pregiudicato, Onofrio Morreale. A questo punto Accidenti cede. Come dirà alla polizia, vuole evitare problemi che si sarebbero potuti verificare con “tale gente”.
Escogita una motivazione per assecondare la minaccia. Mentirà ai suoi superiori. Dirà che il terreno della Lo Bue non è idoneo al passaggio delle condotte idriche, per la presenza delle fondazioni del traliccio ENEL che avrebbero notevolmente intralciato l'esecuzione dei lavori.
Dunque, nei casi analizzati relativi al Gruppo Migliore e alla CO.C.I. s.r.l., l’imprenditore si presenta come assoggettato alla mafia attraverso un rapporto non interattivo e il controllo della sua attività si realizza come il meccanismo della estorsione. Un meccanismo che molto spesso si traduce nella perdita di discrezionalità su opzioni aziendali di base, come quelle relative all’assunzione del personale o all’individuazione dei fornitori.
Un meccanismo che viene accettato e vissuto dalle vittime come il prezzo di una “protezione” per rischi provenienti dall’ambiente malavitoso (furti, rapine, altre estorsioni), ma in relazione al quale appare evidente che la vera fonte del “rischio” è data dalla stessa associazione che si accredita come protettrice.
Secondo i racconti delle stesse vittime che decidono di denunciare i fatti, la situazione di costrizione in cui si trovano certi imprenditori o commercianti assoggettati al “pizzo”, oltre a gravare costantemente sul bilancio della azienda, pesa in maniera determinante anche sulle prospettive future. Una delle preoccupazioni principali di questi imprenditori è di non dare troppo “nell’occhio”, di non essere troppo vistosi. La maggiore intraprendenza per estendere il giro d’affari viene disincentivata dalla prospettiva di richieste estorsive più esose.
Gli analisti più attenti hanno parlato di imprenditori oppressi. Sono quelli con cui Cosa Nostra intrattiene un rapporto di puro dominio. Pagano il “pizzo” in cambio di una garanzia del tutto provvisoria sulle loro possibilità di continuare a svolgere quella attività. Questi operatori economici sono spinti all’immobilismo, fino al punto di rifiutare le opportunità offerte dal mercato, auto-limitando la propria attività, in quanto la presenza mafiosa rende altamente rischiose nuove decisioni di investimento.
Insomma, là dove attecchisce l’impresa criminale, non può esprimersi liberamente l’iniziativa economica privata legale, data la posizione dominante che, in virtù del denaro e della intimidazione, assume quella illegale che necessariamente finisce per schiacciare od omologare in se quella legale. Nel determinare in concreto il trattamento sanzionatorio delle singole fattispecie estorsive aggravate si deve tenere conto anche di questo profilo di gravità della condotta.
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