Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello su Marcello Dell’Utri, del presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Marcello Dell'Utri era andato a lavorare dall'imprenditore Filippo Alberto Rapisarda alla fine del 1977 dopo avere lasciato l'incarico di segretario personale del Berlusconi. Rapisarda, in quegli anni, era a capo di uno dei maggiori gruppi immobiliari italiani che comprendeva: la Bresciano s.p.a. (società della quale Dell'Utri veniva nominato amministratore delegato, come dichiarato dallo stesso imputato all'udienza del 26 giugno 1996); la Cofire s.p.a. (Compagnia Fiduciaria di Consulenze e Revisione) della quale Dell'Utri era divenuto consigliere; la Inim s.p.a (Internazionale Immobiliare) costituita dopo l'assunzione del concordato fallimentare della Facchin e Gianni, di cui Rapisarda era socio al 60per cento insieme ad Alamia Francesco Paolo socio al 30per cento e Caristi Angelo socio al 10per cento (v. dich. di Rapisarda) e tra i cui consiglieri vi erano Marcello e Alberto Dell'Utri.

Appare necessario mettere immediatamente in evidenza che, malgrado vi fosse stato un netto cambiamento nella vita lavorativa di Dell'Utri, quest'ultimo non aveva in alcun modo deciso di mutare il suo rapporto con gli esponenti mafiosi con cui aveva concluso il patto, volendo in modo del tutto consapevole fornire il proprio contributo di mediatore - concorrente esterno al fine di garantire la permanenza degli effetti del suddetto patto. Ogni tentativo di intravedere un atteggiamento diverso e non omogeneo alle condotte che la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione ha ricondotto nell'alveo del delitto di cui agli artt. 11 O, 416 bis c. p. è del tutto vano.

Anche lontano dall'area imprenditoriale di Berlusconi, Dell'Utri ha continuato ad interagire con gli esponenti di "cosa nostra" con i quali è stato accertato definitivamente ha commesso il delitto di concorso esterno in associazione, mantenendo con loro rapporti acclaratamente rilevanti dal punto di vista penale. E non solo.

L'imputato ha tenuto nei confronti degli stessi soggetti mafiosi la medesima cordialità autentica senza dare alcun segnale concreto e serio di un voluto e deciso distacco. Condividendo le argomentazioni della Corte di Cassazione, nella trattazione del periodo in esame, non si farà alcun cenno, al fine di spiegare le ragioni per le quali si ritiene che vi sia stata una permanenza della condotta delittuosa di concorrente esterno, ai rapporti di amicizia con l'imprenditore Berlusconi che invero ben potevano essere mantenuti anche in un momento in cui le strade professionali si erano divise.

Quel che si vuole sottolineare è che, in primo luogo, trattandosi di reato permanente nel quale il contributo causale del concorrente non si esaurisce in una prestazione precisa ed occasionale, ma si svolge in un arco di tempo rilevante, mai è stata registrata nel periodo in esame una condotta che abbia solo fatto dubitare che Dell'Utri, andato a lavorare da Rapisarda, abbia voluto rimuovere la situazione antigiuridica iniziata nel 1974 con il patto mafioso al quale lui aveva partecipato e che aveva promosso.

Già la genesi del rapporto di lavoro con Rapisarda è assolutamente significativa del valore attribuito da Dell'Utri ai rapporti di protezione mafiosa. Marcello Dell'Utri, dopo avere lavorato con Berlusconi per diversi anni ed essendo certamente consapevole delle sue doti personali, doti che gli consentiranno di realizzare i progetti imprenditoriali e politici sicuramente significativi nella storia italiana, ha ritenuto che il suo curriculum personale e la sua sola presenza, non erano sufficienti a impressionare positivamente l'imprenditore Rapisarda e per questo motivo si era fatto accompagnare da Gaetano Cinà, che lui ben sapeva essere se non ritualmente mafioso, sicuramente vicino o contiguo a "cosa nostra".

Escludendo che la presenza di Cinà sia stata collegata a eventuali intenzioni delle consorteria mafiosa di riciclare denaro nelle imprese di Rapisarda, tramite Dell'Utri (già la Corte d'Appello nella sentenza annullata ed Tribunale nel giudizio di primo grado, avevano negato qualsiasi condotta di riciclaggio di Dell'Utri nelle imprese del Rapisarda), ciò che assume rilievo è il dato incontrovertibile che Dell'Utri si è presentato da Rapisarda con Cinà, senza un'apparente ragione.

Il 5 maggio 1987, nell'ambito di altro processo svoltosi a Milano per il fallimento della società Bresciano ed anche il 22 settembre 1998, nel corso delle dichiarazioni rese nel presente giudizio dinanzi al Tribunale, Rapisarda ha riferito di avere assunto Dell'Utri su richiesta di Cinà, che aveva conosciuto insieme a Bontate ed a Teresi e che, consapevole dunque delle frequentazioni mafiose intrattenute da Cinà, non si era sentito di negargli il favore.

Lo stesso Rapisarda ha dichiarato di avere conosciuto tempo prima, "tra il '75 ed il '76" Dell'Utri tramite la cognata del Prof. Giacomo Delitala. Nel 1977, forse in primavera (Rapisarda: "in primavera credo”), Cinà e Dell'Utri erano andati da lui e gli avevano rappresentato la situazione di grave crisi che attraversava Berlusconi. Era stato in quell'occasione che Cinà gli aveva detto che i fratelli Dell'Utri dovevano lavorare (Rapisarda: " ( .. )Dopo qualche giorno venne con Marcello Dell'Utri; P .M.: "Venne chi? "; Rapisarda:" Cinà (. .) portò Marcello Dell'Utri e mi disse che lui doveva lavorare perché da Berlusconi in questo momento va tutto male, non prendono soldi e Berlusconi sta per ... non ha possibilità. Questa era ... e per questo passò subito da me''). Dopo avere chiarito la propria consapevolezza dei legami mafiosi che aveva Cinà, Rapisarda ha ammesso di avere dovuto assumere Dell'Utri ( Rapisarda: "avevo del timore'') proprio perché era consapevole del gruppo mafioso che vi era dietro Cinà.

Aveva poi ribadito le medesime motivazioni che avevano determinato l'assunzione di Dell'Utri nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale in cui aveva dichiarato che non se l'era sentita di dire di no a Cinà per il timore che nutriva nei suoi confronti ( Rapisarda:"Non me lo sono sentita di dirgli di no(..) perché avevo del timore"; P.M.:" perché?"; Rapisarda:" e cosa vuole un ambiente di quel genere lì, lei gli dice no e diventa un 'offesa, io memore ... ricordo di Palermo che appena uno diceva no a uno di questi diventava un 'offesa"v. dichiarazioni rese all'udienza del 22 settembre 1998, cit. ). Rapisarda era infatti consapevole che Teresi e Bontate facevano parte di "quell'ambiente mafioso " e per questo motivo non aveva mai voluto avere contatti con loro. Riteneva che Cinà appartenesse alla " famiglia" di Stefano Bontate. (Rapisarda: "Guardi allora le dico che Stefano .. Tanino Cinà fa parte della famiglia di Stefano Bontate, perciò è inutile che ..'').

Rispondendo alla richiesta di chiarimento formulata dal P .M. sul significato che doveva attribuirsi al temine "famiglia" il Rapisarda aveva spiegato che tale significato era collegato all'emisfero dei rapporti mafiosi (Rapisarda: "che le famiglie sono le famiglie mafiose") e ricordava tuttavia che tra Cinà e Bontate esistevano anche rapporti familiari di diverso tipo.a

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