Paolo Biondani, giornalista de “L'Espresso” e scrittore, da anni si occupa di terrorismo nero. Ha da poco pubblicato l'ultima fatica, “La ragazza di Gladio e altre storie nere: la trama nascosta di tutte le stragi”, edito da Fuoriscena
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà per una settimana le interviste ad alcuni protagonisti del festival Trame, primo evento culturale dedicato ai libri sulle mafie, alla sua tredicesima edizione
Paolo Biondani, giornalista de “L'Espresso” e scrittore, da anni si occupa di terrorismo nero. Ha da poco pubblicato l'ultima fatica, “La ragazza di Gladio e altre storie nere: la trama nascosta di tutte le stragi”, edito da Fuoriscena. Il titolo fa riferimento a una donna, che non è «la protagonista» del libro, ma «un filo d'Arianna» che ci guida nella matassa delle trame oscure che hanno insanguinato il nostro paese: come spiegato in premessa, “è una testimone importante nei processi sulla strage di Brescia, che sono ancora in corso.
È una donna che custodisce molti segreti del terrorismo neofascista e, cinquant’anni dopo, ha ancora paura”.
Perché? La sapiente penna di Biondani ricostruisce le stragi di Ordine Nuovo – tra il 1969 e il 1974, quelle di Piazza Fontana, Piazza della Loggia e dell'Italicus, solo per citare le più sanguinose – e i legami coi Servizi segreti (ma non solo) per offrire una nuova prospettiva: si raccontano solo i fatti certi, confermati in tutti i processi; si osservano gli obiettivi dei terroristi e le finalità dei depistaggi; si prova anche ad andare oltre, per avere una visione d'insieme di tante tragedie.
In altre parole, Biondani ripercorre quei fili “neri”, tesi al massimo, e prova anche a vedere quali conseguenze – e legami – ci siano ancora oggi: i frutti avvelenati dell'eversione neofascista, mai indagata fino in fondo.
Non a caso l'autore racconta ciò che si è saputo con certezza anche sugli attentati successivi, dalla strage di Bologna del 1980 alle autobombe mafiose in continente del 1993. Ne esce fuori un libro che coniuga il romanzo storico alla narrativa dei thriller politici. E l'Italia con le sue verità indicibili è il palcoscenico perfetto.
Paolo, secondo te l'Italia ha mai fatto i conti con le stragi del terrorismo nero?
È da poco trascorso il cinquantesimo anniversario dell'attentato di Piazza della Loggia, una strage dichiaratamente fascista, che colpiva una manifestazione antifascista, a Brescia, il 28 maggio 1974. Ed è anche una delle poche stragi del terrorismo nero ad aver portato – seppur con colpevole ritardo – a due condanne definitive, mentre altri due processi si stanno per aprire. Un fatto storico notevole.
Eppure, il nostro Paese non ha fatto i conti con il terrorismo nero, anche a livello di “memoria”. Benedetta Tobagi, che ha scritto la prefazione de “La ragazza di Gladio”, ha intitolato un capitolo del suo ultimo libro: Piazza Fontana l'hanno fatta le Brigate Rosse: è una deformazione che dà bene la misura della cattiva memoria della società italiana e delle nuove generazioni verso il tema del terrorismo e in particolare di quello neofascista.
Da anni segui queste tematiche; che idea ti sei fatto sui terroristi neri, in particolare quelli veneti?
Effettivamente la strage di Piazza Fontana, quella di Peteano e quella di Brescia – e moltissimi altri attentati dinamitardi realizzati in quel periodo, fortunatamente senza vittime – hanno visto protagonisti soprattutto i terroristi neofascisti del Nordest. Perché è successo? È una domanda a cui è difficile rispondere. Occorre probabilmente evidenziare che il Nordest è una terra di confine, dove storicamente si è sentito il peso della vicinanza con la Jugoslavia comunista di Tito e anche con il blocco sovietico; dove c'erano strutture segrete in cui si mescolavano esponenti delle forze militari e civili, sempre di provata fede anticomunista; e dove si trovavano molti “Nasco”, i depositi militari collegati a Gladio. In altre parole, in quegli anni il nordest sembra fare da laboratorio del terrore.
Poi, dopo il 1974, il terrorismo nero si inabissa, per una serie di motivi: indagini, latitanze forzate, cambio di clima politico e giudiziario. E proprio in quell'anno i terroristi di sinistra, le Brigate rosse, iniziano ad uccidere e lo fanno a partire da Padova, con un duplice omicidio insensato. La mia idea è che i terroristi veneti siano stati anche utilizzati e strumentalizzati. Anche da altre forze più o meno occulte, protagoniste della vita politica italiana.
Eppure se – storicamente – appaiono chiari i “moventi” politici di Piazza Fontana e Piazza della Loggia, appare meno chiaro quello della strage di Bologna. Per questo Fioravanti e Mambro possono ancora continuare a professarsi innocenti, nonostante le rispettive condanne?
Prima di tutto occorre dire che mai nessun terrorista arrestato – eccezion fatta per Vincenzo Vinciguerra, ma il suo era un attentato particolare – ha mai ammesso le proprie responsabilità sulle stragi. Le stragi sono delitti inconfessabili. Nessuno se l'è mai sentita di ammettere pubblicamente una carneficina indiscriminata in una piazza o in stazione, nessuno ha mai confessato: “Sai sono io che ho messo una bomba che ha ucciso ottantacinque persone e ha letteralmente disintegrato il corpo di una bambina”. Per rispondere in maniera completa alla tua domanda, però, occorre leggere bene quello che sta finalmente emergendo con le ultime indagini della magistratura e le ultime sentenze di Milano e Bologna sulle stragi del 28 maggio 1974 e del 2 agosto 1980, in particolare sul ruolo della P2 e di Licio Gelli, già condannato in via definitiva per i depistaggi delle indagini sulla strage della stazione. E allora ecco che occorre riflettere e analizzare in tutta la sua interezza cosa è stata la loggia P2 e quello che essa ha rappresentato come forza politica occulta ma anche come forza economica. Per chiarirti il quadro: il 1980, l'anno della strage di Bologna, è anche il periodo del crollo di Michele Sindona e dell'inizio della crisi del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, che era diventato la cassaforte segreta della P2. Calvi e Sindona erano banchieri piduisti. E per finanziare i terroristi neri e poi i depistaggi, secondo le ultime indagini, Gelli ha usato soldi sottratti all'Ambrosiano. Ecco, forse oggi occorre guardare da più prospettive le stragi che hanno insanguinato l'Italia, compreso l'attentato del Rapido 904 e le bombe di Cosa Nostra del 1993.
Rileggendo le sentenze su tutte le stragi, dal 1969 al 1993, mettendo in fila tutti i fatti accertati con le sentenze definitive, si disegna una trama complessiva, che a mio avviso si riassume in tre parole: strategia della tensione. Dopo la destra neofascista, è la mafia che dal 1984 al 1993 è passata al terrorismo, con un'analoga strategia eversiva.
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