Quando Caponnetto arrivò a Palermo gli chiesero se non avesse paura di morire. Lui rispose che, a 63 anni, bisogna pur familiarizzare con l’idea della morte. Ben detto, perché immediatamente arrivarono le minacce...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore
In quella caserma e nel suo ufficio trascorse tantissimi week-end e festività per non impegnare in servizio i suoi “angeli custodi”, visto che “anche la scorta ha una famiglia”, come soleva dire.
Antonino Caponnetto, nei suoi quattro anni e mezzo di permanenza a Palermo, percorse quasi esclusivamente le strade che lo conducevano dalla caserma all’ufficio. Soltanto un paio di volte, se non ricordo male, noi del pool uscimmo tutti insieme per partecipare a cerimonie pubbliche. Quando accettammo l’invito ad assistere all’anteprima del film Cento giorni a Palermo del regista Giuseppe Ferrara, dedicato al prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa.
E poi la volta in cui ci recammo (mancava soltanto Falcone perché all’estero per una rogatoria) a Prato su invito del sindaco per la consegna del “Gigliato d’oro”, l’antica moneta pratese, simbolo della prima repubblica cittadina, in “segno della solidarietà che questa città intende concreta- mente esprimere con la Sicilia degli onesti che, ne siamo convinti, è certamente la Sicilia dei più”.
Quando Caponnetto arrivò a Palermo gli chiesero se non avesse paura di morire. Lui rispose che, a 63 anni, bisogna pur familiarizzare con l’idea della morte. Ben detto, perché immediatamente arrivarono le minacce.
Sul telegramma inviatogli dall’alto commissario Emanuele De Francesco in occasione del suo insediamento, qualcuno appose una striscia di carta che cambiava l’espressione “le auguro successo” con “le auguro occiso”. Un affettuoso saluto palermitano di benvenuto da parte degli uomini di Cosa nostra. Venuto a conoscenza dell’“augurio”, ma non solo per questo, l’alto commissario De Francesco dispose che venisse subito installato uno spesso vetro blindato alla finestra dell’ufficio di Caponnetto, perché fuori, proprio di fronte, chiunque poteva transitare o posteggiare la sua autovettura.
Nella prima riunione che tenne con i colleghi – allora non facevo ancora parte del pool e quindi ne fui informato in un secondo tempo –, Caponnetto chiarì subito che era sua ferma intenzione proseguire sulla linea tracciata dal suo predecessore. Anzi, assicurò che voleva andare
oltre. L’obiettivo a brevissimo termine – ci mise solo una decina di giorni a elaborarlo dal suo arrivo – era di costituire un gruppo di giudici istruttori che si occupasse esclusivamente dei processi di mafia.
Un pool specializzato che ripristinasse, nel pieno rispetto delle norme penal-processuali, il predominio del diritto e della legalità contro la violenza, l’arroganza e la tracotanza non più tollerabili della criminalità organizzata comune e, soprat- tutto, di Cosa nostra, che aveva assunto le preoccupanti proporzioni di un vero e proprio Stato illegale nello Stato.
Musica per le orecchie di Falcone, Borsellino e Di Lello.
La creazione del pool voleva anche accreditare l’idea di una responsabilità collettiva degli atti: tutti dovevano sapere tutto delle indagini svolte da ciascuno. Non ci sarebbe più stato il singolo giudice istruttore responsabile di una singola istruttoria, e per questo esposto al pericolo di minacce o di attentati.
Il consigliere Caponnetto, applicando l’articolo 17 delle disposizioni regolamentari del codice di procedura penale, dispose l’assegnazione a ognuno dei componenti del pool di tutte le indagini sui reati di mafia, intestandosi il relativo processo.
Era anche un modo di operare a maggiore garanzia della sicurezza dei magistrati. Perché non ci fosse un altro caso come quello del procuratore Gaetano Costa che in solitudine, nella primavera
del 1980, aveva firmato un ordine di cattura contro gli Spatola e gli Inzerillo, i quali ne avevano decretato la fine. Il magistrato avrebbe avuto assegnata la scorta, finalmente, il 7 agosto 1980, e lo stesso giorno sarebbe partito in vacanza con la famiglia.
Ma venne ucciso da un killer il 6 agosto.
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