Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D'Alì 'ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


Era uno dei viceré siciliani di Forza Italia sin dal 1994, anno della discesa in campo di Berlusconi e della sua prima elezione in Parlamento. Ne sarebbero arrivate altre per Antonino D'Alì, tante altre con un incarico anche di sottosegretario all'Interno. Una lunga carriera politica nelle file del centrodestra, interrotta solo nel 2018.

Sembrava intoccabile l'ex presidente della Banca Sicula che aveva il suo feudo nel trapanese, a Castelvetrano e dintorni. Proprio come Matteo Messina Denaro, il boss rimasto invisibile per trent'anni. E così, dopo sospetti e dicerie, sono arrivate le indagini, le “cantate” dei pentiti e ancora dopo i riscontri su certi affari di famiglia.

Nel 2011 inizia il primo processo contro D'Alì. Il reato è quello quasi impossibile da dimostrare quando si toccano certi personaggi e certi discorsi: concorso esterno in associazione mafiosa.

Sia in primo che in secondo grado il senatore, a giudizio con rito abbreviato, ne esce pulito. Per i fatti antecedenti al 1994 c'è la prescrizione e per quelli successivi (fino al 2011) l'assoluzione. Ma è la Cassazione, sorprendentemente, a ribaltare la sentenza di secondo grado accogliendo il ricorso del pubblico ministero Domenico Gozzo. Processo da rifare.

E così a dieci anni dall'inizio della vicenda giudiziaria, nel 2021, la Corte d'appello questa volta condanna Tonino D'Alì a sei anni di carcere. Poi il processo tornerà un'altra volta in Cassazione e ci sarà conferma della condanna,

Da oggi sul nostro Blog Mafie pubblichiamo ampi stralci di queste pagine giudiziarie che raccontano D'Alì e la sua “totale e multiforme” disponibilità offerta ai boss di Cosa Nostra e i legami molto antichi con la famiglia Messina Denaro. Francesco, il padre di Matteo, era campiere nei terreni di D'Alì, in contrada Zangara, poi venduti – su mandato di Matteo – a un prestanome di Totò Riina.

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