Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso le immagini della violenza: «Come pugili all’interno di un ring». Disposti i domiciliari per dieci poliziotti penitenziari per tortura, reato che il governo vorrebbe abolire
Il giorno è l’11 agosto 2023, il carcere è quello di Foggia, le vittime sono due reclusi, uno con problemi psichiatrici e un altro, il suo piantone, colpevole di aver visto. I presunti carnefici, ora ai domiciliari, sono dieci agenti penitenziari, definiti «come lottatori all’interno di un ring». Uno dei due pestaggi è stato filmato dalle telecamere di sorveglianza, gli indagati non sono riusciti ad cancellarne il contenuto, e il filmato (disponibile sul nostro sito) mostra i poliziotti penitenziari che colpiscono con pugni e calci un detenuto.
Le loro condotte vengono così descritte dal giudice Emilio Cusano del tribunale pugliese: «Con violenze gravi e agendo con crudeltà gli cagionavano lesioni al capo, a un occhio e al torace, acute sofferenze fisiche e un verificabile trauma psichico, sottoponendolo a un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, consistente in un'aggressione protratta nel tempo da parte di più persone e avvenuta sotto lo sguardo indifferente di altri soggetti».
Cambia il nome del carcere, cambiano quelli delle vittime e degli autori dei pestaggi, ma le storie di ordinaria violenza nel nostro paese all’interno degli istituti di pena si ripetono con una ciclicità spaventosa e uno schema ormai consolidato. Prima c’è il pestaggio e poi vengono messe in atto azioni volte a depistare le indagini e coprire gli abusi. È successo esattamente così anche in questo caso, le due vittime sono state picchiate a distanza di pochi minuti, uno nella cella e l’altro anche nella stanza adibita a centralino. Nelle carte dell’indagine vengono ricostruite le tappe di questo nuovo e inquietante pestaggio di stato.
L’11 agosto
Il detenuto G.R. è affetto da disturbi psichiatrici e ha più volte tentato il suicidio procurandosi ferite e lesioni, un soggetto che neanche dovrebbe stare in carcere e, vista la sua vulnerabilità, è seguito da un piantone, un altro detenuto che si occupa di assisterlo e coadiuvarlo.
Il piantone si chiama F.M: è l’altro recluso che ha subito lo stesso trattamento per la sola colpa di trovarsi nella stessa cella. Il giorno prima, il 10 agosto, è accaduto un episodio che ha provocato l’orrenda spedizione punitiva, G.R. si era sottoposto ad atti di autolesionismo alla presenza dell’ispettrice Angela Santacroce. Così è scattata «“una lezione”, sia per dare sfogo a quella rabbia repressa da tempo, sia per ammonirli (i detenuti, ndr) a fronte di future turbolenze».
Il giorno 11, 24 ore dopo gli atti di autolesionismo, diversi agenti si sono presentati nella cella numero 5, capitanati dall’ispettore Giovanni Di Pasqua, sono tutti indagati per tortura. Nella cella c’erano i due detenuti, quello “problematico” e il suo piantone, che all’improvviso si sono visti arrivare i poliziotti. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza inquadrano il corridoio, quello che è accaduto all’interno della cella non si vede, ma si sente. Il pestaggio, secondo la ricostruzione della procura, è iniziato quando è arrivato Vittorio Vitale.
«L'appena citato sovrintendente, dopo aver indossato dei guanti in lattice, alle 08:38:51 entrava in cella e, come già accennato, i toni della conversazione che prima erano pacati, improvvisamente lasciavano il posto ad urla di dolore, imprecazioni, insulti e chiari rumori di percosse. AI Vitale seguiva l'ingresso in stanza anche di Vincenzo Piccirillo, nel frattempo Flenisio Casiere alle ore 08:38:57 restava all'esterno della cella osservando i propri colleghi percuotere i detenuti presenti. Nello stesso istante, sopraggiungeva Santacroce che giunta esattamente in corrispondenza della stanza detentiva nr.5, osservava tutte le fasi del pestaggio», si legge nell’ordinanza custodiale.
Sono sempre gli audio a segnalare il livello di violenza che si è raggiunto in quella cella, a un certo punto le grida diventavano sempre più significative «quando, ad un tratto, lasciavano il posto a vere e proprie urla e suppliche di dolore». Ma come è stato scoperto l’ennesimo pestaggio? Attraverso una missiva inviata, in modo generico per evitare di insospettire gli agenti, da parte della vittima al tribunale di Foggia, prontamente girata ai magistrati della procura che hanno inviato le indagini.
L’inchiesta ha avuto anche un altro supporto, la denuncia dell’alta vittima e di un altro detenuto che ha sentito le urla e al quale è stato impedito di intervenire per aiutare i due reclusi picchiati. L’inchiesta è stata condotta dai carabinieri con il contributo della polizia penitenziaria, in particolare nelle carte viene ampiamente citata una relazione dettagliata del dirigente Giovanni De Candia.
Dopo il primo episodio avvenuto all’interno della cella gli agenti hanno portato l’altro detenuto all’interno della sala cosiddetta del centralino dove è avvenuto il secondo pestaggio. In questo caso sono le immagini della telecamera di videosorveglianza a raccontare la violenza commessa: «Tali registrazioni si rivelavano in effetti fondamentali in particolare per individuare la identità di tutti i soggetti coinvolti e il ruolo (attivo o omissivo) di ciascuno, in merito a cui evidentemente i detenuti ascoltati, non conoscendo le loro generalità, non erano potuti essere esaurienti», si legge nell’ordinanza.
Il depistaggio
Nei giorni successivi ai pestaggi il detenuto G.R. è stato avvicinato da uno degli agenti che gli ha caricato circa cento euro sul conto corrente chiedendogli di restare in silenzio, ma non è l’unico atto utile a depistare le indagini messo in pratica dagli indagati.
Un altro è molto più raffinato. Due agenti, rispondono anche di concussione, hanno fatto sottoscrivere al recluso un verbale nel quale «egli attestava falsamente che la mattina stessa aveva dato in escandescenza al solo vedere gli agenti che facevano ingresso nella sua stanza e che non vi era stato alcun evento violento anche grazie agli agenti, che lo avevano tranquillizzato».
Ma non basta, sempre gli agenti Di Pasqua e Calabrese sono accusati di aver minacciato il detenuto a non denunciare le percosse subite perché altrimenti «lo avrebbero fatto trasferire presso una diversa casa circondariale e, inoltre, avrebbero denunciato una condotta aggressiva da lui tenuta il giorno prima contro l'ispettrice Santacroce così da determinare tra l'altro ritorsioni da parte degli altri detenuti».
Il giudice non ha accolto interamente la richiesta della pubblica accusa respingendo la misura cautelare interdittiva per tre indagati, tra questi anche il medico in servizio presso la casa circondariale, la sua posizione è stata completamente rivalutata ed è emerso la correttezza del suo comportamento.
Il giudice ha anche interrogato alcuni indagati, valutato l’indagine difensiva nella quale sono stati evidenziati gli atteggiamenti turbolenti e indisciplinati del detenuto, ma questo non dimostra che lui si incline «a mentire, a fantasticare, a calunniare». I video, le testimonianze e anche le intercettazioni tra gli indagati hanno contribuito a consolidare la tesi della pubblica accusa con l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare.
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