Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D'Alì'ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


Ciò posto, nell'esaminare la vicenda appare necessario ed opportuno seguire lo “schema tracciato" dalla Corte di Cassazione e partire dai "punti fermi" fissati dai giudici di legittimità.
Il primo elemento nevralgico più volte sottolineato dalla Corte di Cassazione e che costituisce imprescindibile punto fermo, nonché punto di partenza, nell'esame della complessa vicenda oggetto del presente giudizio, che attraversa la storia politica, economica ed imprenditoriale siciliana e nazionale nell'ultimo quarantennio, è il seguente: «Le condotte ante e quelle post 1994 costituiscono un tutt'uno» ed esse vanno valutate unitariamente perché unica è la contestazione, unico è il contesto ed unico è il reato oggetto del presente procedimento, che per di più - come si vedrà -costituisce reato permanente. Di conseguenza, le diverse condotte non vanno esaminate separatamente e parcellizzate bensì vanno valutate le une alla luce delle altre, in quanto solo una visione sinottica, armonica, unitaria e complessiva delle stesse può rivelare la perdurante solidità e la perpetuazione dei rapporti tra il D'Alì e Cosa Nostra incompatibile con l'interruzione del flusso di utilità verso il sodalizio.
Altro elemento da tenere presente (fermo restando che sul punto si dovrà comunque effettuare una valutazione di merito, inserendo in ogni caso tali condotte nel più ampio agire dell'imputato in tutto il periodo temporale oggetto di contestazione) è che "i giudici di entrambi i gradi di merito avevano ritenuto assodato che D'Ali fosse stato ... vicino a Matteo Messina Denaro e che avesse svolto attività a beneficio del massimo esponente di Cosa Nostra del tempo, Salvatore Riina, nel contempo godendo della fiducia della consorteria.

Tale attività - come già precisato era consistita nell'intestazione fittizia di un terreno in realtà trasferito molto tempo prima ad un esponente di primo piano di Cosa Nostra (Alfonso Passanante), che non poteva figurare quale intestatario per timore di confische; il D'Alì si era prestato, prima, a mantenere la titolarità formale del cespite nonostante l'avvenuto trasferimento a Passanante e l'incasso sotto banco del prezzo e, poi, anni dopo rispetto al trasferimento di fatto, alla formalizzazione della compravendita nei riguardi di un prestanome, ricevendo il pagamento ufficiale di parte del prezzo (£ 200.000.000, risultando quietanzata la prima tranche da £ 100.000.000) in assegni e restituendolo in contanti, con un'utilità della cosca anche in termini di riciclaggio di una cospicua somma di denaro". In tal modo l'imputato aveva indubbiamente «fornito un contributo fattivo agli interessi della cosca, che lo aveva poi sostenuto nella competizione elettorale politica del 1994».
In diritto, il punto fermo fissato dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio, con la conseguenza che trattasi di "punto fermo" vincolante in questa sede, è costituito dai seguente principio: "nel caso di un patto di scambio politico-mafioso, quando, a seguito dell'accordo, il sodalizio criminale inizi ad attivarsi per l'accaparramento dei voti necessari all'elezione del politico (alterando così il sistema democratico che dovrebbe governare l'elezione ed attuando «la finalità di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni elettorali», previsto dall'art. 416- bis, comma 3, cod. pen.) e quest'ultimo mantenga fermo l'impegno serio e concreto di agire, una volta eletto, per gli interessi e vantaggi dell'organizzazione delinquenziale, non è necessario individuare la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dell'extraneus e il mantenimento o il rafforzamento della consorteria”.

In altri termini, come anche chiarito in altro punto della sua sentenza dalla Corte di Cassazione che ha operato il rinvio in questa sede, l'accordo politico mafioso a matrice utilitaristica è rilevante ex se quale comportamento che porta a configurare il delitto ex artt. 110 e 416-bis, cod. pen.
A questo punto, cercando di seguire un ordine diacronico delle vicende, deve ritenersi corretta la conclusione del Giudice di primo grado, invero sul punto ribadita dalla sentenza d'appello poi annullata (ma non sotto il profilo adesso in esame) dalla Corte di Cassazione, secondo la quale quantomeno "fino agli anni '90" del secolo scorso il D'Alì ha “intrattenuto relazioni con l'associazione mafiosa”, ricevendone con certezza "l'appoggio elettorale in occasione delle prime consultazioni alle quali si è candidato, ossia quelle del 1994".

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