Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


La sentenza Salvini si diffonde su altri aspetti della copertura attuata nei confronti dei concorrenti innominabili del golpe Borghese.

Nel 1973 Guido Giannettini, collaboratore ed informatore del SID trasmise a Labruna e al SID una nota aggiuntiva nella quale si faceva riferimento all’ammiraglio, il cui nome venne rigorosamente depennato dal rapporto sul golpe inoltrato all’a.g. Grazie a tale salvataggio il Torrisi poté divenire in seguito Capo di Stato di Maggiore della Difesa. È ben comprensibile come la copertura desse la possibilità a chi lo aveva "salvato", in primo luogo l’onorevole Andreotti, di esercitare un potere di condizionamento notevole. Ma anche il generale Maletti, nonostante le declamate "disgrazie", era nella condizione migliore per portare all’incasso il suo credito.

Il Labruna aveva rivelato la vicenda per la prima volta al giudice istruttore Mastelloni di Venezia. Labruna su input di Maletti avrebbe dovuto dichiarare in Corte d’assise nel processo per piazza Fontana di non ricordare dove fosse finita la relazione Giannettini che Maletti gli aveva restituito. La ragione stava nel fatto che nella relazione era detto che l’Ammiraglio Torrisi, all’epoca candidato alla carica di Capo di Stato Maggiore della difesa, aveva partecipato a riunioni segrete per la preparazione del golpe, unitamente al dr. Drago, del Ministero dell’Interno, nonché con i vertici di Avanguardia Nazionale.

Labruna si diffuse nel corso del suo interrogatorio sulle pressioni subite da Maletti. Al termine produsse copia della relazione, dichiarando di avere depositato l’originale al p.m. di Roma. Labruna fu esplicito nel dire che il silenzio e la mancata denuncia di Torrisi erano funzionali alla candidatura dell’ammiraglio che prese corpo sul finire degli anni Settanta.

Oltretutto il Maletti aveva fatto sparire la nota aggiunta alla relazione di Giannettini che conteneva i riferimenti al Torrisi ed aveva chiesto l’assoluto segreto su tale circostanza che egli aveva direttamente appreso dal Giannettini. Maletti in modo perentorio gli disse di non produrre la relazione Giannettini alla Corte d’Assise di Catanzaro e di non parlare del Torrisi "che dovrà diventare Capo di Stato Maggiore della Difesa".

Maletti oltretutto aveva lasciato tutto il peso della testimonianza sul contenuto della relazione sulle spalle di Labruna, dicendo che quest’ultimo ne era il detentore. E così Labruna depose dichiarando, secondo gli accordi, di non ricordare dove avesse messo la relazione e di conseguenza l’appunto su Torrisi uscì di scena. La nota aggiunta fu distrutta, ma la relazione fu recuperata. […].

La relazione, qui ripresa dalla sentenza-ordinanza Salvini, si diffonde nella descrizione dello svolgimento degli avvenimenti nella notte fra il 7 e 1’8 dicembre, fra cui l’irruzione nel sotterraneo del Ministero dell’Interno. Sull’autenticità del documento nel corso degli anni non sono stati sollevati dubbi. […].

Anche la relazione di Gnido Paglia sulla struttura occulta di AN e sull’attiva presenza di tale organizzazione nel "golpe Borghese" non fu mai trasmessa all’A.G. che stava indagando su tali episodi, anche se ha ricevuto un utilizzo indiretto. Il capitano Labruna ha dichiarato infatti di essere stato inviato dal generale Maletti da Guido Paglia nell’autunno del 1972 e di averne ottenuto una dettagliata relazione sulla struttura di AN, al tempo ancora operante; di avere quindi passato la relazione al suo superiore.

Labruna consegnò una copia di tale relazione al giudice Salvini. In precedenza, l’aveva data alla Procura di Roma nel 1981 nell’ambito delle indagini sulla P2, "senza per la verità che tale importante documento fosse in quella sede oggetto di particolare approfondimento", chiosa il giudice. Il documento in originale era rimasto nelle mani del generale Maletti. All’interno del NOD, Guido Paglia era indicato come "fonte Parodi" (da Paglia di Roma).

Subito dopo la consegna della relazione, Guido Paglia aveva messo in contatto Labruna con Stefano Delle Chiaie. Quindi, su disposizione di Maletti, lo aveva incontrato a Barcellona, stabilendo con lui un contatto per conto del SID.

La relazione di Guido Paglia, per il giudice aveva finito con l’avere "un utilizzo improprio e strumentale, nell’ambito di rapporti di reciproca compromissione fra il SID e Delle Chiaie. Grazie alla relazione, il SID poteva dimostrare a Delle Chiaie di essere in possesso di un gran numero di notizie sulla struttura di AN e, ciò nonostante, di non avere fatto nulla per farne incriminare i componenti.

Costruito un potere di ricatto o, se si vuole, un capitale negoziale, poterono essere aperti e mantenuti i contatti con Stefano Delle Chiaie, considerato da molte fonti, fra cui Remo Orlandini e la stessa relazione di Guido Paglia, sino a quel momento legato all’Ufficio Affari Riservati di D’Amato e forse da quest’ultimo stipendiato. Guido Paglia, abbandonata AN e dedicatosi a tempo pieno al giornalismo, divenne stabile informatore e collaboratore del SID, cooperando tra l’altro alla c.d. “provocazione di Camerino”.

Ben diverso e più corretto utilizzo avrebbe avuto la relazione di Guido Paglia se fosse stata studiata e sviluppata con opportune indagini dall’a.g. Il punto è di interesse per ciò che si va ricostruendo in relazione alla strage di Bologna. Mettere a fuoco la struttura occulta di AN e consentire all’A.G. di intervenire su un’organizzazione che, quantomeno fino agli anni Ottanta è stata coinvolta in gravissimi fatti criminosi, disponeva di uomini coperti che sapevano di operare per un’organizzazione alle dipendenze dei servizi segreti di polizia, avrebbe probabilmente reso inoffensivo ante tempus quell’apparato, portando all’individuazione di complicità, collusioni, coperture.

La relazione prodotta dall’ex-esponente di AN contiene uno spaccato dall’interno della struttura segreta ed armata di AN, con nomi e informazioni di prima mano. Nella relazione si riferisce dettagliatamente dell’esistenza all’interno di AN di due livelli: un livello "ufficiale", destinato allo svolgimento delle attività pubbliche e legali e una struttura "secondaria" che costituiva un vero e proprio apparato clandestino.

È questo per noi un punto nevralgico, considerata la vicenda Bellini- Da Silva, coperto in Italia da uomini dell’apparato segreto di AN, come emerso dall’istruttoria. "Di tale seconda struttura" - si legge nella sentenza - "secondo una metodologia assai raffinata, facevano parte i militanti dotati di capacità organizzative più adatte al lavoro clandestino, scelti fra coloro che non erano noti alla Polizia e ai Carabinieri per la loro attività politica pubblica e fra coloro che avevano finto di abbandonare l’attività politica". Sembra la puntuale descrizione dello status di Paolo Bellini (sul punto, si tornerà diffusamente nella Parte IV, cap. 11, par. 11.7.).

[…] La struttura di AN era all’epoca assai forte in Calabria dove responsabile era il marchese Zerbi, un uomo che godeva di grande prestigio e di protezioni anche nella mafia locale, coadiuvato da numerosi altri uomini. Fra gli altri responsabili locali vi erano, a Massa-Carrara, Piero Carrnassi e, a Trento, Cristiano De Eccher. […].

La seconda parte della relazione Paglia è dedicata all’attiva partecipazione di tutta la struttura di AN nel tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese grazie ad una stretta integrazione con il Fronte Nazionale e ai legami personali fra Stefano Delle Chiaie e il Principe.

Della possibilità di effettuare il golpe a brevissima scadenza e della necessità di mettere perfettamente a punto l’organizzazione si era parlato già alla fine del 1969 (non a caso in un momento di poco precedente gli attentati del 12 dicembre) e dopo lo slittamento della data prevista, nelle riunioni immediatamente precedenti la notte del 7.12.1970.

[…] Nei giorni successivi, il Principe Borghese aveva spiegato ai militanti di AN che la sospensione dell’azione era stata decisa al momento dell’occupazione del Ministero della Difesa perché "qualcuno" - evidentemente a livello molto alto - “si era tirato indietro". La sentenza riflette in modo condivisibile sull’importanza che la relazione avrebbe avuto, se conosciuta, sia sul piano repressivo che preventivo.

L’attendibilità delle notizie fornite da Guido Paglia sarà confermata nei successivi processi da innumerevoli fonti e dati processuali. La sentenza richiama Carmine Dominici e Vincenzo Vinciguerra, […]. Va ricordato che la ricostruzione storica delle vicende e dei coinvolgimenti nel golpe Borghese, acquisita nell’ambito delle indagini milanesi attraverso la testimonianza di Labruna e le due relazioni Giannettini e Paglia, sono state pienamente confermate da due testimoni importanti, i marescialli Esposito e Giuliani, collaboratori di Labruna nel NOD, incaricati della trascrizione dei nastri con le dichiarazioni di Orlandini, Lercari, Degli Innocenti, Nicoli, entrambi partecipi delle attività investigative dei superiori. Costoro hanno poi fornito ulteriori elementi a carico del generale Maletti e del colonnello Romagnoli, responsabili dell’espunzione dei nomi che dovevano essere assolutamente sottratti ad un pubblico coinvolgimento nei progetti golpisti.

Tra questi nomi il più importante era per il rilievo che avrà la sua azione negli anni successivi, quello di Licio Gelli: il compito speciale di cui lo stesso si era fatto carico, il sequestro del presidente della Repubblica, evidenzia quale enorme potere, anche in termini di garanzia di impunità lo stesso potesse mettere in campo già nel 1970.

Non v’è dubbio che attraverso questi riscontri della "sacralità" di Gelli per i servizi deviati, le sue attività eversive fra il 1970 e il 1980 si connettono in un percorso che va considerato e studiato senza riserve, in ogni dettaglio e in continuità nel senso di una progettualità unitaria, al centro di tutte le vicende eversive del decennio, non essendovi dubbi che la protezione di cui godette Gelli e gli alti ufficiali iscritti già allora alla P2, da parte di Maletti e Romagnoli, rappresentò un moltiplicatore nella crescita del potere di Gelli e dei suoi progetti eversivi nella seconda metà degli anni Settanta, potendo egli ora contare sulla fedeltà degli Ufficiali nei confronti dei quali Gelli si attribuiva il merito di averli tenuti indenni da indagini, proiettandoli anzi ai vertici dei servizi segreti e degli apparati militari. Sta di fatto che gran parte delle epurazioni dal rapporto Maletti di nomi e fatti riguardava elementi della P2.

Allo stesso livello di rilevanza si pongono le omissioni concernenti le riunioni dei congiurati e gli elementi di collegamento con uomini della NATO e sulle armi fornite per il tramite di questi ambienti.

Scrive a questo proposito il giudice istruttore che "in tal caso il senso dell’operazione di censura era certamente non toccare determinati equilibri ed interessi legati alla collocazione del nostro Paese nell’Alleanza Atlantica e forse anche quello di non consentire l’avvio di indagini su strutture militari parallele, quali Gladio, ma non solo Gladio, che disponevano di una dotazione di armi riservata e di piani di intervento non noti e non controllati dal Parlamento e dalle altre espressioni istituzionali del sistema democratico.

Poiché obiettivo delle forze la cui presenza in diversi tentativi golpisti è stata attentamente occultata dai vertici del Reparto D del SID- sicuramente coperti e incoraggiati in qualche forma da alcune autorità politiche - non era compiere singoli attentati o azioni illegali bensì mutare con mezzi illeciti il sistema istituzionale in tutti i suoi settori sia civili sia militari, le condotte omissive e la soppressione di documenti di cui si è reso responsabile il generale Maletti concernono certamente la sicurezza dello Stato e i suoi interessi politici interni e si inquadrano quindi nell’ipotesi di reato di cui all’art. 255 c.p.". […].

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