Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello su Marcello Dell’Utri, del presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Ganci aveva parlato delle doglianze riferite da Cinà con Riina e quest'ultimo aveva avuto una reazione violenta, sulla quale appare necessario soffermarsi atteso che dai passaggi che la descrivono, possono trarsi rilevanti considerazioni (che costituiranno, tuttavia oggetto di specifica trattazione) sulla matrice degli attentati posti in essere ai danni di Berlusconi ai magazzini Standa della provincia di Catania.

Riina, che non aveva avuto mai rapporti diretti con Marcello Dell'Utri, a differenza di quanto era accaduto in precedenza tra quest'ultimo e Bontate e che considerava l'imputato solo un tramite con Berlusconi che per lui rappresentava solo una disponibile fonte di guadagno ed anche un modo per tenere vivo il legame con l'onorevole Craxi, aveva messo in atto due azioni ritorsive che a suo avviso avrebbero ridimensionato l'atteggiamento arrogante che Dell'Utri, secondo quanto aveva riferito Cinà, aveva assunto nei confronti di quest'ultimo, atteggiamento che secondo il boss mafioso Dell'Utri, non poteva permettersi di avere.

Aveva incaricato Mimmo Ganci di recarsi a Catania per imbucare una lettera intimidatoria indirizzata a Berlusconi e per effettuare, sempre da Catania, una telefonata di minaccia allo stesso imprenditore. Mimmo Ganci, dunque, agli inizi del 1987, si era recato a Catania in compagnia di Francesco Spina, uomo d'onore della famiglia della Noce, per imbucare una lettera intimidatoria indirizzata a Berlusconi. Dopo qualche settimana costoro erano tornati nuovamente a Catania per fare una telefonata intimidatoria diretta ad Arcore (al numero telefonico che gli aveva dato il Cinà) allo stesso Berlusconi.

Riina aveva ordinato che la telefonata e la lettera provenissero da Catania in quanto in quel periodo la mafia catanese di Nitto Santapaola aveva effettuato un attentato a Berlusconi posizionando un esplosivo in una "proprietà" dell'imprenditore. Riina - dopo averne parlato con il boss catanese - aveva fatto credere a Berlusconi che ad agire fossero stati i catanesi (Galliano: "Il Riina quando li manda a Catania, li manda a Catania per due motivi: uno perché, dice, che quando aveva parlato con ... quando Riina parla con i catanesi .. i catanesi avevano messo in quel periodo una bomba in una proprietà del Berlusconi e quindi questo fatto cadeva a fagiolo ... diciamo .. autorizza ... i catanesi autorizzano, diciamo, i palermitani a imbucare la lettera e fare la telefonata a Catania per far capire che sempre le intimidazioni provengano dalla mafia catanese'').

Mimmo Ganci aveva poi confidato a Galliano che in effetti aveva mandato la lettera e fatto la telefonata. Dopo gli atti d'intimidazione, Cinà era stato convocato "urgentemente" a Milano da Dell'Utri che gli aveva chiesto di interessarsi per risolvere la questione (Galliano: "Marcello Dell'Utri convocò nuovamente il Gaetano Cinà urgentemente a Milano e gli spiegò ... quello che era ... che avevano subito. Prima la bomba, poi la telefonata, e cioè la lettera .. poi la telefonata e se si poteva interessare nuovamente come la prima volta''). Tornato a Palermo, Cinà aveva riferito la richiesta di Dell'Utri a Di Napoli, quest'ultimo ne aveva parlato con Ganci che aveva riferito il fatto a Riina. Il boss, ''per tenere i rapporti in maniera tranquilla", aveva raddoppiato la somma dovuta dal Dell'Utri ( da 50.000.000 a I 00.000.000), somma che doveva essere consegnata in due rate semestrali. Il pagamento doveva essere fatto per proteggere l'imprenditore e non per l'installazione delle antenne ("P.M.:"Quindi i cento milioni annuali non c'entravano nulla con il pizzo ... "; Galliano :"No come ho detto poco fa erano questi ... erano soltanto a fronte di un regalo diciamo per l'interessamento avuto da parte di ... prima di Stefano Bontate e poi diciamo da ... da parte di Totò Riina, diciamo''). Cinà si era dunque recato a Milano per parlare di tale decisione con Dell'Utri che dopo gli aveva riferito che Berlusconi era d'accordo per il raddoppio della somma, ma che per il pizzo delle antenne il denaro doveva essere richiesto ai responsabili delle emittenti locali. Il Galliano ha riferito che i soldi da quel momento vemvano consegnati da Dell'Utri a Cinà, quest'ultimo li consegnava a Di Napoli che li dava a Ganci, il quale su incarico di Riina ne consegnava una parte alla famiglia di Santa Maria di Gesù, e quindi ai Pullarà (e dopo all'Aglieri) mentre la restante parte era divisa in tre quote: "una alla famiglia di San Lorenzo, quindi a Salvatore Biondino che era, diciamo l'autista, diciamo di Totò Riina, una parte darla alla famiglia di Malaspina e una parte alla famiglia della Noce cioè a mio zio").

Nel 1988, Galliano aveva assistito alla consegna del denaro da Di Napoli a Ganci Raffaele allorchè quest'ultimo era uscito dal carcere. In relazione al tempo dei pagamenti, Galliano ha dichiarato che il denaro era arrivato da Dell'Utri fino al 1995 e che per le elezioni del 1987 il Riina aveva dato disposizioni di votale per il P.S.I.; il motivo per il quale vi era stata quell'indicazione di voto era legato al fatto che si sapeva che vi era stato un accordo con "esponenti nazionali del Partito Socialista" per dare un aiuto ai "carcerati", "per la mafia .. per aiutare la mafia".

Le dichiarazioni di Galliano appaiono rilevanti non solo perché hanno costituito un'ulteriore conferma dei pagamenti di denaro che da Dell'Utri transitavano nelle casse di "cosa nostra", ma perché hanno vieppiù palesato che le ragioni di detti pagamenti erano sempre costituiti dall'ampia protezione garantita a Berlusconi sia prima che dopo la morte dei boss Bontate e Teresi. Sulla consegna del denaro da Fininvest nel periodo 1989/1990 sono state esaminate le dichiarazioni di Giovan Battista Ferrante e di Salvatore Cancemi, che hanno confermato le dichiarazioni di Ganci, Galliano e Anzelmo. Ferrante, uomo d'onore dellafamiglia di San Lorenzo dal 1980, ha dichiarato di non avere mai conosciuto né Dell 'Utri né Cinà, ma di avere saputo che Raffaele Ganci consegnava somme di denaro a Biondino provenienti da Canale 5 con cadenza semestrale o forse annuale.

Lui stesso aveva assistito a qualche consegna del denaro: cinque milioni di lire, non collegati al pagamento di pizzo imposto dalla famiglia mafiosa di San Lorenzo ai ripetitori Finivest o agli uffici di Canale 5.

La consegna di denaro era avvenuta almeno dal 1988/1989, possibilmente anche in epoca precedente ed era proseguita fino al 1992. Le dichiarazioni di Ferrante coincidevano con quelle di Galliano in particolare nella parte in cui il primo collaboratore aveva affermato che Raffaele Ganci, dopo la propria scarcerazione avvenuta il 28 novembre 1988, aveva nuovamente gestito la situazione relativa ai soldi che arrivavano da Fininvest per mezzo di Dell 'Utri e di Cinà ed aveva provveduto lui stesso a dividerli tra le tre famiglie mafiose ( Noce, San Lorenzo e Malaspina) dopo avere preso i soldi per quella di Santa Maria di Gesù.

Della corresponsione di somme provenienti da Berlusconi ai fratelli Pullarà ne aveva parlato anche il collaborante Francesco Scrima, uomo d'onore della famiglia di "Porta Nuova" che aveva dichiarato nel periodo in cui era stato in carcere con Vittorio Mangano, tra il 1988 ed il 1989, quest'ultimo gli aveva manifestato il proprio risentimento per il fatto che Ignazio Pullarà, durante la sua reggenza a Santa Maria di Gesù, dunque dopo la morte di Bontate, si era appropriato del denaro proveniente da Berlusconi e che secondo Mangano spettava a lui.

Anche Salvatore Cucuzza - nel periodo di codetenzione con il Mangano che il Tribunale ha collocato temporalmente durante il maxi processo tra il febbraio 1986 ed il dicembre 1987 - aveva raccolto le confidenze dello stesso Mangano. Quest'ultimo gli aveva manifestato il suo disappunto per il fatto che, dal momento della sua detenzione ( dal 1980 in poi), non aveva più ricevuto le somme di denaro provenienti da Berlusconi (50 milioni di lire) che lui sin da epoca precedente alla morte di Bontate aveva percepito e che in seguito ( dopo la morte del Bontate) erano state date a coloro che avevano avuto la reggenza del mandamento di Santa Maria di Gesù e cioè ai fratelli Pullarà.

Salvatore Cancemi - le cui dichiarazioni sono state ritenute complessivamente già in primo grado prive di un autonoma significatività probatoria - ha confermato l'esistenza di consegne di denaro dalla Fininvest a "cosa nostra" anche in epoca successiva alla morte di Bontate e Teresi, prima attraverso i fratelli Pullarà e poi tramite Cinà. I pagamenti erano avvenuti in un periodo compreso tra il 1989- 1990 fino all'epoca delle stragi del 1992. Cancemi ha poi precisato che le somme di importo pari a 200 milioni di lire all'anno venivano consegnate a Cinà e, tramite Di Napoli, a Raffaele Ganci che le dava infine a Salvatore Riina ed ha ricordato di avere assistito alla loro divisione tra le famiglie di Santa Maria di Gesù e di Resuttana.

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