Giovanni La Lia, fondatore del club di Berlusconi in Sicilia, è ora indagato per false informazioni ai magistrati. I pm lo hanno ascoltato due volte per capire le ragioni dei contatti con la batteria degli stragisti di Brancaccio
Il suo nome era apparso in alcune cronache per un misterioso traffico telefonico, risalente al 1993. Da una parte il primo presidente di un club di Forza Italia, in Sicilia, dall’altra gli stragisti, Filippo e Giuseppe Graviano. Il mistero è durato 30 anni e solo ora diventa un’indagine giudiziaria, ulteriore riprova di ritardi, omissioni e incomprensibili distrazioni nella ricostruzione di quella stagione di sangue e terrore.
Adesso però Giovanni La Lia, incensurato e mai indagato, ha ricevuto un avviso di conclusione delle indagini preliminari, preludio alla possibile richiesta di rinvio a giudizio, da parte della procura di Firenze. È indagato per falso con l’aggravante di aver favorito la mafia. Ma prima di approfondire questo nuovo approfondimento investigativo bisogna partire dall’indagine madre.
L’indagine madre
I pm fiorentini sono impegnati nella ricerca dei presunti mandanti esterni alle stragi del 1993 che uccisero dieci innocenti, tra questi due bambine. Sul registro degli indagati sono iscritti diversi nomi, due i più importanti, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. il primo è rimasto da solo a difendersi, perché la scomparsa dell’ex presidente del consiglio ha chiuso anche l’indagine sul fondatore di Mediaset. Il reato contestato è per concorso in strage con l’aggravante di aver favorito la mafia. Berlusconi ha dovuto convivere con questo sospetto senza mai potersi difendere in un processo, morendo con un’indagine ancora aperta. Un’accusa infamante, respinta dai protagonisti che si sono sempre detti inorriditi, anche perché indagini analoghe erano già state aperte e archiviate nel corso degli anni.
L’unica arrivata a sentenza, divenuta definitiva, è quella che ha coinvolto l’ex senatore azzurro, Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Attorno all’indagine madre, con l’obiettivo di trovare i presunti mandanti alla stagione stragista, si sono aperti diversi altri fronti giudiziari. Alcuni a carico di soggetti che da testimoni si sono ritrovati indagati, si pensi ad esempio al gelataio e indovino, Salvatore Baiardo, prima fidato dichiarante e poi indagato per calunnia in ragione delle omissioni sulla foto che avrebbe ritratto proprio Berlusconi con Graviano e il generale Francesco Delfino. Tra i fronti giudiziari aperti uno riguarda proprio Giovanni La Lia. Ma cosa c’entra in questa storia?
La Lia e gli stragisti
Il primo a parlare di La Lia è stato l’ex perito e consulente delle procure, e oggi avvocato, Gioacchino Genchi. Ha ricordato, in diverse occasioni, che «dal cellulare di La Lia si intrecciano le triangolazioni verso coloro che sono chiamati in causa per le stragi». Il periodo era quello del 1993, l’anno nel quale la mafia decide di distruggere il patrimonio artistico del nostro paese prima di fermare la stagione stragista a cavallo con il nuovo corso politico che, dopo la bufera di tangentopoli, porta alla nascita del partito azzurro e al trionfo di Silvio Berlusconi.
Ci sono date significative. Il 26 gennaio 1994, il fondatore di Mediaset annuncia l'ingresso in politica, il giorno dopo, a Milano, vengono arrestati i fratelli Graviano e qualche giorno dopo proprio La Lia fonda il club di Forza Italia a Misilmeri, in provincia di Palermo. Ma perché La Lia è indagato dalla procura di Firenze? Il reato contestato è di aver mentito ai pubblici ministeri quando è stato ascoltato nell’ambito del procedimento penale, riaperto nuovamente nel 2022 a carico di Berlusconi e Dell’Utri «per i reati di strage commessi nel biennio 1993-1994».
I pm lo hanno ascoltato proprio per dare finalmente una risposta alla questione di quelle telefonate, non era mai stato ascoltato dalla procura toscana neanche quando nel 2010 la Dia aveva fornito un’analisi dei tabulati. La Lia aveva detto, ai carabinieri nel 1994, che lui di Forza Italia aveva conosciuto Angelo Codignoni e Gianfranco Micciché, il primo uomo di fiducia di Berlusconi e il secondo deputato azzurro. Conoscenze normali visto che aveva partecipato all’inizio del febbraio 1994 a un incontro politico all’Hotel San Paolo Palace per discutere strategie e futuro del nascente partito. Sul suo telefono aveva aggiunto di non averlo mai prestato a nessuno, e allora come si spiegano quelle telefonate? La Lia ha dovuto dirlo ai pubblici ministeri fiorentini che lo hanno ascoltato due volte dopo aver acquisito e incrociato i tabulati dei soggetti menzionati che hanno confermato i contatti.
Le telefonate
Il riferimento è a diverse chiamate, tre effettuate tra il 10 dicembre e l’11 dicembre 1993 dal suo cellulare a quello intestato a Costantino Taormina, in realtà trovato in possesso di Francesca Buttita, il 27 gennaio 1994. Quel giorno vengono arrestati a Milano i fratelli Graviano, Buttita era la fidanzata di uno dei due stragisti, Filippo.
Poi ci sono le chiamate ricevute dal cellullare di La Lia dal numero di Buttita-Graviano. Non è finita. Ci sono le telefonate intercorse con l’utenza cellulare in uso a Gaspare Spatuzza, stragista e poi pentito, e con l’utenza fissa dell’abitazione di Fabio Tranchina, autista e favoreggiatore di Giuseppe Graviano, anche lui oggi collaboratore di giustizia.
Secondo i pm La Lia ha mentito sui fatti a lui noti ammettendo unicamente il possesso di quell’utenza e di essere cugino del mafioso di Misilmeri, Pietro Lo Bianco. In particolare, qui si consolida l’ipotesi investigativa dei magistrati, La Lia ha affermato di non aver avuto contatti con Buttita, Spatuzza, Tranchina, Salvatore Benigno e Giorgio Pizzo, che ha detto di non conoscere.
E allora come ha motivato i contatti con la batteria degli stragisti di Brancaccio? «Errore di digitazione o telefono clonato» confermando di non aver mai prestato il suo telefono e di non poter fornire altre spiegazioni. Nel 2018 il pm Giuseppe Lombardo, nell’ambito del processo ‘ndrangheta stragista, aveva chiesto a Tranchina se ricordasse un Giovanni La Lia. «C’era una persona che faceva sporadicamente da autista a Giuseppe Graviano. E se non ricordo male veniva dalle parti di Misilmeri, Palermo, però non lo so se parliamo della stessa persona», diceva ricordando vagamente un Giovanni. Anche Spatuzza è stato ascoltato e anche lui ricorda di un Giovanni, ma non il cognome. L’indagine della procura fiorentina punta a capire le ragioni dei contatti e anche i possibili beneficiari.
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