Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Una ricostruzione del golpe Borghese, largamente basata sulle indagini del giudice milanese Salvini, si rinviene negli atti della Commissione parlamentare sulle stragi.

L'inchiesta del giudice Salvini rappresenta una delle ricostruzioni più approfondite, acute e documentate sulle deviazioni dei servizi segreti e le trame golpiste della prima parte degli anni Settanta.

Un'indagine che, per diverse ragioni in parte già viste, non ha prodotto risultati in termini di certezze giudiziarie, ma che sul piano storico-giudiziario ha acquisito una congerie di dati ed elementi di prova perfettamente utilizzabili in questa sede; la ricostruzione in fatto contenuta nella sentenza-ordinanza si basa su elementi di prova, attualmente irripetibili e pertanto acquisite attraverso i verbali così come sono stati acquisiti i verbali di dichiarazioni di testimoni fondamentali quali Aleardi Sordi ed altri che ad essi si sono richiamati ad oltre trenta anni dalle deposizioni effettive.

I temi affrontati in quell'indagine riguardavano le accuse agli uomini del SID, Maletti e Romagnoli. Costoro nelle informative di competenza sul Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese negli anni 1969/1970 e sull'organizzazione denominata Rosa dei Venti nel 1973/1974, omettevano di riferire nel rapporto conclusivo diretto tramite il Ministro della Difesa alla magistratura le notizie acquisite dal cap. Antonio Labruna nel corso dei plurimi colloqui effettuati fra il 16 gennaio ed il 28 giugno 1973 con Remo Orlandini; sottraevano e occultavano i nastri magnetici relativi a detti colloqui, facendone pervenire solo quattro su dodici. Espungevano dai nastri consegnati e dalla relazione scritta, concernente i medesimi avvenimenti, compilata per il Reparto D da Guido Giannettini, i nomi di alti ufficiali dell'Esercito coinvolti nei programmi eversivi. Omettevano, inoltre, di riferire nel medesimo rapporto quanto direttamente appreso dal gen. Romagnoli nel corso di due colloqui con l'avv. Maurizio degli Innocenti e con Torquato Nicoli, svoltisi il 30 e 31 maggio 1974. Tali omissioni e falsificazioni erano relative documenti inerenti la sicurezza dello Stato e i suoi interessi politici interni ed internazionali. Si trattava infatti di tentativi di rivolgimenti istituzionali di progetti di mutamenti istituzionali che coinvolgevano numerosi civili e militari iscritti alla massoneria, di appartenenti a gruppi mafiosi, di alti ufficiali dell'Esercito e dell'Arma dei Carabinieri, allora in servizio coinvolti in numero assai maggiore di quanto indicato nel rapporto; dello svolgimento di riunioni in nord-Italia fra militari e civili, nell'ambito delle quali erano già state consegnate numerose armi a questi ultimi, nonché della presenza alle stesse di ufficiali dell'esercito statunitense. Tutti fondamentali notizie non trasmesse in assenza di presupposti legali per non farlo.
 

Si trattava di ipotesi di reato gravissime per fatti alla base dei condizionamenti politici che il Paese aveva subito in quel decennio per l'azione clandestina e sovversiva di ampi settori degli apparati militari e dei servizi di sicurezza.

Altre accuse riguardavano le medesime attività di copertura e depistaggio rispetto all'accertamento delle responsabilità delle cellule venete per la strage del 12 dicembre e gli attentati che l'avevano preceduta.

Un'altra accusa riguardava la c.d. provocazione di Camerino, a carico di ufficiali dei carabinieri, finalizzata a depistare le indagini su attività terroristiche verso inconsistenti piste di segno opposto, all'acquisita e occultata prova dell'attività eversiva delle cellule neofasciste, ovvero la cessione di armi ed esplosivi da parte di ufficiali dei carabinieri al gruppo di area ordinovista La Fenice e ad altri gruppi eversivi operanti nel nord Italia.

Nei confronti di Gelli si indagava in relazione alla sua ipotizzata partecipazione al piano denominato "golpe Borghese" che secondo quanto prima poteva essere considerato un piano insurrezionale del Fronte Nazionale sull'intero territorio nazionale; l'indagine riguardava lo specifico compito affidato al Gelli di privare della libertà personale l'allora Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, nell'ambito della realizzazione del colpo di Stato e della sostituzione o soppressione di tutti gli Organi legittimamente eletti.

Si indagava, ancora, sulle attività eversive di Avanguardia Nazionale con riferimento agli attentati a cinque convogli ferroviari diretti a Reggio Calabria in occasione di una manifestazione organizzata nel 1972 dai sindacati confederali in risposta alla rivolta di Reggio Calabria del 1970.

Gilberto Cavallini, un nome fondamentale per la successiva strage alla stazione di Bologna, era sottoposto a, indagini per l'attentato con autobomba al municipio di Milano - Palazzo Marino, verificatosi nella notte tra il 29 e il 30 luglio 1980. E si comprende agevolmente quale sia l'importanza di quell'evento rimasto senza responsabili, posto che Cavallini venne prosciolto per mancanza di riscontri da un grave attentato consumato appena tre giorni prima della strage alla stazione.

Sul punto vale la pena riportare le conclusioni del giudice: "In conclusione, anche se per l'attentato a Palazzo Marino del 30.7.1980 nessuno, allo stato, può essere tratto a giudizio, il quadro complessivo degli elementi raccolti consente di affermare che anche in questo caso ci si trova dinanzi ad una azione della destra eversiva, "mimetizzata" in modo tale da farne ricadere la responsabilità su gruppi di estrazione opposta e collocabile, pur non essendo fortunatamente conclusosi con altre vittime, nella fase finale della "strategia della tensione" (pag. 289 sentenza-ordinanza).

Accuse di ricettazione e falso attingevano Carlo Digilio che aveva già iniziato a collaborare col medesimo magistrato. Altre riguardavano la protezione della latitanza nei mesi successivi alla strage di Bologna degli esponenti dei NAR che ne furono poi indiziati, accusati e, limitatamente a Mambro e Fioravanti e per ora Cavallini, condannati.

È opportuno riepilogare la premessa metodologica dell'ordinanza Salvini perché costituisce una (insieme ad altre) importante base di partenza anche della nuova indagine per l'attentato alla stazione di Bologna e valorizza elementi che sono stati portati all'attenzione di questa Corte d'assise. La sua rilevanza sta nel fatto che quel giudice, come i magistrati della Procura generale di Bologna, ha voluto indagare e comprendere attraverso accurate, ostinate e puntuali indagini su tutti i documenti e le fonti disponibili, ciò che era alla base della stagione eversiva a suon di stragi.

Una oscillante alleanza tra apparati di Stato, associazioni segrete, gruppi eversivi, pezzi dei servizi segreti con riferimenti esteri e componenti dell'apparato militare, funzionali alla destabilizzazione permanente del sistema per ottenere un riequilibrio in termini di riassetto autoritario della Costituzione senza un cambio di regime di tipo esplicitamente golpista, secondo quella che è l'attuale spiegazione storicamente più accreditata delle vicende storiche di quel periodo.

Un metodo sin dall'inizio adottato dagli inquirenti bolognesi nella strage del 2 agosto (si veda la requisitoria dei pubblici ministeri e la stessa sentenza-madre della Corte d'assise di Bologna dell' 11.7.1988).

La destrutturazione parziale e quindi la parziale demolizione dell'ipotesi investigativa iniziale della Procura di Bologna, ha fatto sì che per quasi trent'anni la strage di Bologna sia rimasta appesa nel vuoto dell'assenza di causali attendibili e attribuita all'iniziativa "folle" di alcuni "cani sciolti" dell'eversione di destra, spontaneisti "senza partito" e senza organizzazione, ma pure in grado di realizzare ciò che sappiamo essere accaduto il 2 agosto 1980.

Una tale incoerenza ha alimentato per anni il revisionismo sulle sentenze, per la cattiva coscienza di quanti verosimilmente sapevano cosa in realtà si muovesse dietro gli esecutori della strage, un universo di reti, collusioni e complicità, rimasto estraneo ai processi e che tale doveva rimanere e proprio per questo non si è mancato di lavorare per la salvezza degli esecutori materiali a tutti i livelli, anche intermedi, all'evidente scopo di assicurarne il silenzio, imperativo che, come detto, permane anche oggi quando sempre meno sono coloro che potrebbero parlare, tra i quali l'imputato Paolo Bellini che continua a mantenere la consegna, nonostante il suo status di collaboratore rispetto alla sua carriera di 'ndranghetista, segnando così una differenza fondamentale tra i due ruoli di killer mafioso e di terrorista al servizio di apparati occulti.

La prima indagine del giudice istruttore Salvini abbraccia un panorama poliedrico, ma al tempo stesso leggibile, di quanto è avvenuto fra il 1969 e il 1974 ad opera delle organizzazioni di estrema destra e di chi le proteggeva ed usava politicamente. Salvini nel 1998 depositerà un'altra sentenza-ordinanza di notevole impatto per l'acquisizione di elementi di verità su piazza Fontana e piazza della Loggia, attraverso l'individuazione dei responsabili di quella organizzazione veneto-lombarda che risulterà lo strumento esecutivo al servizio di forze operanti nelle retrovie, come del resto ammetteranno due tra i protagonisti di quella stagione, il generale Maletti e il Ministro degli Interni Taviani nelle loro memorie, per non dire dell'esplicita confessione extragiudiziaria di Edgardo Sogno, promotore del c.d. golpe bianco del 1974.

I temi investigativi affrontati nella prima indagine Salvini, tutti di interesse nella prospettiva storica che serve da anello di collegamento con il nuovo quadro in cui la Procura generale colloca la strage di Bologna, oggetto dell'istruttoria dibattimentale che ha consentito alla Corte di disporre del relativo materiale probatorio, consistono:

- il caso del finto arsenale di sinistra di Camerino, a seguito delle dichiarazioni di Antonio Labruna e di Guelfo Osmani;

- il carattere del gruppo MAR di Fumagalli quale gruppo organico di ufficiali dell'Esercito e dei Carabinieri, nella prospettiva di un colpo di Stato; il ruolo del MAR di struttura civile di appoggio ai militari con la fonte Gaetano Orlando;

- l'eliminazione di numerose bobine sul golpe Borghese, contenenti nomi imbarazzanti, fra cui quello di Licio Gelli, dal materiale raccolto grazie ai colloqui intrattenuti dal capitano Labruna con alcuni dei congiurati; si tratta dell'episodio ormai passato alla storia del "malloppone" trasformato in sede politica in "malloppino", secondo le qualificazioni del giornalista Mino Pecorelli, un depistaggio appurato grazie all'imprevedibile defezione dell'unico uomo dei servizi che ha collaborato con la giustizia, il capitano Labruna;

- l'indagine e la prova dell'esistenza fra il 1968 e il 1973 di una "sorta di seconda Gladio" denominata "Nuclei Difesa dello Stato" o "Legioni"; di questa organizzazione, segreta fino all'indagine Salvini, dipendente dagli Stati Maggiori, parlarono il colonnello Spiazzi e altri testimoni fra cui Enzo Ferro e Giampaolo Stimamiglio;

- scrive ancora il giudice che "grazie alle dichiarazioni di Carmine Dominici e Paolo Pecoriello, sono state poi focalizzate le attività di provocazione e la costante detenzione di esplosivi da parte di Avanguardia Nazionale proprio negli anni immediatamente circostanti alla strage di Piazza Fontana e soprattutto è emerso il costante traffico di armi esplosivi e timers fra Reggio Calabria e Roma sotto la supervisione di Stefano Delle Chiaie"; si tratta di un dato di rilievo anche rispetto alla situazione di dieci anni dopo;

- assume, rilievo ancora una volta, il racconto di Vincenzo Vinciguerra. Già nel 1995 le sue dichiarazioni rivelarono una struttura occulta, centrale nella comprensione della strategia eversiva in Italia; il riferimento è nel documento in esame "alla centrale operativa di Guerin Serac, prima a Lisbona e poi a Madrid, ispiratrice di operazioni di destabilizzazione in Europa e in altre parti del Mondo dalla metà degli anni '60 in poi e probabile ispiratrice anche dell"'operazione" del 12 dicembre 1969"; Vinciguerra ne ha trattato ampiamente anche nel corso della sua ultima deposizione avanti a questa Corte;

- l'ampiezza del patrimonio conoscitivo di Vinciguerra, di cui si darà espressamente conto per i temi di diretto interesse, permise, integrandosi con nuove fonti, di appurare molte nuove notizie sulla strage di Piazza Fontana.

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