Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti.


La strage di Bologna sopravviene in una fase storica che segue il declino della "guerra" antisovversiva cui era ispirata l'azione dei servizi segreti ufficiali negli anni Sessanta e Settanta con il sostegno di forze politiche ed economiche impegnate nella reazione preventiva - attraverso la costruzione di strutture non ufficiali ("SID parallelo") di civili e militari - a quella che era considerata l'imminente guerra rivoluzionaria che si sarebbe sviluppata anche in Italia ad opera dei partiti e movimenti rivoluzionari emersi dal la Resistenza.

Il timore dell'insorgenza comunista era alimentato dal contesto di confronto tra le due superpotenze uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale.

Eventi rivoluzionari come l'affermazione del comunismo in Cina, la guerra in Corea, la guerra in Vietnam, la rivoluzione cubana, i movimenti di liberazione nazionale di cui quello in Algeria costituisce il prototipo agli occhi dei gruppi politici che studiano le mosse del blocco comunista rappresentano la prova inequivoca dell'esistenza nel mondo di forze che alimentano la "guerra rivoluzionaria".

Anche in Italia tali forze sarebbero presto passate all'azione e il partito comunista con il suo apparato militare, collaudato nella Resistenza, sarebbe stato il cuore delle forze che lavoravano per il rovesciamento del regime uscito dalla guerra e dalle prime elezioni, in un equilibrio costituzionale tanto avanzato quanto instabile.

La situazione che si era creata era tale per cui l'opposizione di sinistra era vista come una sorta di "nemico" strategico, in quanto si muoveva al di fuori della lealtà al Patto atlantico e non poteva per questo andare al governo neppure in forma democratica, nella certezza che anche da quella parte la fedeltà alla Costituzione fosse solo apparente e formale. Per vasti settori dell'apparato dello Stato si realizzava una sorta di doppia lealtà: alla Costituzione del paese da un lato, ma in via prevalente, in caso di conflitto, la lealtà allo schieramento internazionale occidentale. L'ispirazione antifascista della Costituzione ere recessiva rispetto al sistema di alleanze internazionali imposto dagli equilibri politici mondiali, da qui una fondamentale cessione parziale di sovranità all'Alleanza e alle sue direttive politiche interne.

I circoli politici e militari fedeli all' Alleanza atlantica di fronte alla prospettiva della guerra rivoluzionaria avevano provveduto a reintegrare nei ranghi dei servizi segreti occidentali uomini che avevano sostenuto il regime nazista e quello fascista; tale reintegrazione era stata rapida negli anelli deboli del fronte occidentale, uno dei quali era il nostro Paese: il nemico non è più il fascismo, ma la prospettiva rivoluzionaria; alla nuova causa vanno arruolati gli ex fascisti. Se la strategia dell'avversario nella situazione di guerra fredda è estendere e allargare la propria egemonia politica nell'area di influenza della potenza avversaria, difendersi significa organizzare la controinsorgenza, opporre allo stillicidio di azioni, attentati, sabotaggi che si assumono attuati o si prevede saranno realizzati dai rivoluzionari, analoghe azioni inserite in una strategia di stabilizzazione delle spinte eversive che si assumono provenienti dall'altro blocco.

I successi economici, politici e tecnologici ottenuti dal comunismo sovietico negli anni '50, la sua crescente influenza in Occidente e nel Terzo ondo diffondono in ambienti politici e soprattutto militari la convinzione che le democrazie liberali non siano in grado di reggere il confronto. Da qui la nostalgia per regimi autoritari, fascisti o filofascisti e il correlativo successo delle dottrine sulla guerra controrivoluzionaria che si diffondono a partire dai primi anni '50 (Avanguardia nazionale si costituisce nel 1953 come prima base d'azione per strategie di più ampio respiro).

In questo contesto si apre un'intensa discussione sulla c.d. guerra psicologia da realizzare in sistemi democratici in cui vigono le fondamentali libertà politiche di stampo liberale, di cui si avvalgono le forze della sovversione, strumentalizzandole. Mentre gli avversari comunisti non devono fare i conti con la libera opinione pubblica, usano tecniche di manipolazione del consenso e di eliminazione del dissenso, l'Occidente è costretto in ossequio ai suoi principi a dare spazio al libero confronto delle opinioni e delle idee e sostenere la competizione per l'influenza sull'opinione pubblica.

La democrazia è quindi intrinsecamente debole perché esposta all'azione dei suoi nemici che approfittano della libertà per conquistare il potere e sopprimere quelle stesse libertà che ne hanno consentito il successo.

Da qui la assoluta necessità di affrontare non solo una guerra militare ma soprattutto una guerra psicologica, anche sporca, per influenzare l'opinione pubblica e staccarla dalla capacità di influenza delle forze considerate rivoluzionarie.

Tutte le stragi degli anni Sessanta e Settanta sono attuate non in una prospettiva militare, ma in quella della guerra psicologica di influenza sull'opinione pubblica, in termini di ricerca di appoggio a soluzioni alternative di regime, idea fissa della controrivoluzione in questa fase. L'autoritarismo passa dal regno dei disvalori a quello dei valori, ferma la contraddizione della difesa della libertà con mezzi autoritari. Si tratta quindi di conservare la forma, senza imitare i regimi comunisti autoritari, escludendo tuttavia dalla costituzione materiale l'avvento al potere dei comunisti. I teorici e i militanti della guerra controrivoluzionaria si trovano nella scomoda condizione di aspirare a un mutamento di regime senza abiurare ai principi fondamentali delle democrazie liberali e quindi senza nostalgie o simpatie per il fascismo in senso stretto.

Si tratta dunque di studiare attentamente le tecniche dell'azione rivoluzionaria per rovesciarne gli effetti. Dall'analisi emerge che la propaganda armata e il terrorismo non sono strumenti di offesa ma mezzi per manipolare i comportamenti delle masse, per condizionarle psicologicamente. Cambia la visione del terrorista da criminale ordinario a militante o "soldato" di un'organizzazione rigida e clandestina operante per la conquista del potere politico. L'azione anche indiscriminata del terrorista scredita gli apparati di difesa dello Stato, impaurisce la società e rende attraente il richiamo esercitato dall'organizzazione terrorista che con la sua efficienza dimostra di essere in grado di assicurare protezione più dello Stato, prospettando l'inutilità della resistenza e dell'opposizione alle nuove forze.

"Il successo dell'azione terroristica è quindi una condizione necessaria perché la propaganda armata sia efficace. Al contrario, se gli attentati non riescono, se gli autori sono scoperti e arrestati, gli effetti della propaganda perdono efficacia, la ribellione contro le autorità si attenua e le forze dell'ordine recuperano prestigio". […].

Secondo i teorici della guerra controrivoluzionaria e i politici italiani e americani che ne seguono le indicazioni "di fronte alla comunità nazionale infettata dal virus comunista, la terapia decisiva è quella che mira a provocare un momentaneo e parziale stato di disordine sociale attraverso attentati, omicidi e sabotaggi, che costituiscono una sorta di virus depotenziato, inoculato come un vaccino. Solo così la comunità stessa si risveglierà e, rendendosi conto del pericolo, provvederà a mettere in azione gli anticorpi, ossia forze dell'ordine, esercito, semplici cittadini. Se il vaccino si rivela efficace, il virus sarà debellato per sempre e l'organismo non si ammalerà mai più". (...)È un'esplicita enunciazione di una causale forte e strategica alla tesi emersa e sostenuta nei processi che hanno identificato negli stessi apparati preposti alla difesa dello Stato la matrice delle stragi ma soprattutto delle vicende connesse ai processi per le stragi, bersagliati da depistaggi, false piste, false bandiere. Le indagini e i processi per la strage di piazza Fontana con gli esiti complessivi ne sono puntuale espressione. Ma anche per la strage del 2 agosto il capitolo sui depistaggi è lunghissimo. Se ne occupa diffusamente e in diversi luoghi la sentenza Cavallini del 9 gennaio 2020 di questa Corte d'assise, [...], ma soprattutto mettendo insieme e analizzando ben 17 azioni di depistaggio/impistaggio ascrivibili ai servizi segreti, ai militari, alla P2, ai militanti delle organizzazioni neofasciste. Sono pagine del tutto condivisibili, che ancora una volta si basano su materiali probatori documentali comuni, alle quali non resta che rinviare considerandole parte di questa trattazione.

Proseguendo in questa succinta premessa, va detto che i primi anni Cinquanta sono caratterizzati in Italia dal concreto rischio di una nuova guerra civile, rischio paradossalmente non derivante da alcun pericolo che i comunisti potessero attuare una insurrezione come nella tradizione bolscevica, ma al contrario dalla strategia degli stessi di giungere al potere per vie legali, come avvenuto in alcuni paesi dell'est; la convinzione granitica, alimentata da oggettive evidenze storiche, era che dopo avere raggiunto l'obiettivo attraverso l'aiuto di partiti alleati, gli alleati e gli oppositori sarebbero stati eliminati con l'instaurazione di una dittatura comunista. Una visione del genere fa sì che ogni progresso elettorale e ogni spostamento a sinistra dell'asse di governo sia visto come il primo passo dell'instaurazione di un sistema dittatoriale, come quello affermatosi nei paesi dell'est.

Il pericolo diventa acuto nei primi anni Sessanta con l'avvio della fase politica del "centrosinistra", considerata l'anticamera della presa del potere da parte dei comunisti.

Se si tratta di combattere l'arrivo dei comunisti al governo del Paese per le vie legali, l'obiettivo della strategia della tensione non è di batterli sul piano di un confronto militare che gli stessi non intendono ingaggiare, ma di bloccarne con ogni mezzo la crescita politica ed elettorale, screditandoli e isolandoli politicamente, tagliando le basi di consenso. Per questa strategia è indispensabile arruolare le formazioni nazionaliste e neofasciste sorte nel dopoguerra che intendono opporsi con la forza all'azione politica dei comunisti. Gli storici ricordano tra tali formazioni "l'Armata italiana di Liberazione", "il Movimento anticomunista reduci italiani" il "Fronte nazionale" di Junio Valerio Borghese.

Tutti movimenti diretti da esponenti militari e della R.S .I. che si mettono a disposizione dei partiti di governo per impedire in ogni modo anche con la guerra civile l'avanzata elettorale del partito comunista sia prima che dopo il 18 aprile 1948. Per tutti gli anni Cinquanta è un ribollire di gruppi di volontari civili in grado di affiancare le forze dell'ordine in chiave anticomunista di fronte a un'insurrezione, disordini politici e scioperi. Sostituendo in caso di bisogno i funzionari amministrativi inaffidabili. Va detto che gruppi che lavorano per la guerra civile operano anche dalla parte dei comunisti ma che da questo lato la maggioranza non lavori per un tale esito è riscontrato dal contenimento dei tentativi insurrezionali susseguenti all'attentato a Togliatti nel 1948.

La realtà vede tuttavia la presenza diffusa di reduci del fascismo e della Repubblica sociale ai quali nessuno chiede conto delle rispettive azioni e che riprendono possesso di gangli dello stato democratico senza alcuna "Norimberga italiana". Costoro ritengono la sconfitta solo temporanea e non permanente. La serie delle sigle associative di queste forze in sede storica è considerevole. Essi ritengono che le forze anticomuniste dovranno ricorrere alle loro organizzazioni per fronteggiare "i sovversivi" e alla fine saranno sempre i fascisti a fungere da massa d'urto contro l'inevitabile azione rivoluzionaria cui i comunisti non potranno in alcun modo rinunciare.

La strategia dei gruppi neofascisti radicali che si concentreranno nei primi anni Sessanta nelle organizzazioni di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo svilupperanno una strategia di provocazione verso i comunisti per spingerli ad azioni violente nelle piazze e creare così il pretesto per metterli fuori legge con il consenso dell'opinione pubblica.

In questo contesto di scontro politico che le forze neofasciste cercano di acuire e portare alle estreme conseguenze, si sviluppa la storia politica negli anni Cinquanta che diamo per nota. Le preoccupazioni riguardanti l'espansione dei partiti comunisti in paesi come l'Italia e la Francia, appartenenti al blocco occidentale e inseriti nell'Alleanza atlantica, è particolarmente presente nei servizi di sicurezza americani.

Come sappiamo dall'indagine della Commissione Stragi (Piano Demagnetize/Clydasdale) vengono predisposti piani atti a ridurre la presenza e l'influenza del partito comunista nei due Paesi. Tra le azioni previste nel Piano, il sostegno dei gruppi anticomunisti di estrema destra, una strategia che gli storici attribuiscono al direttore della CIA Allen Dulles e che ha la caratteristica fondamentale, riscontrata nelle indagini e nei processi sulle stragi (si veda la sentenza del 2001 del tribunale di Milano su piazza Fontana con le dichiarazioni di Digilio e delle altre fonti ivi citate) di essere svolta all'insaputa dei governi nazionali, trattandosi di azioni che confliggono con le rispettive sovranità nazionali.

Il servizio segreto militare, SIF AR diretto dal generale De Lorenzo, opportunamente informato del Piano, sarà tenuto a mantenere il segreto con il Governo. A fianco dei gruppi neofascisti si organizzano con fondi americani altre organizzazioni eversive "bianche" tra cui Pace e Libertà legata al noto Edgardo Sogno, fautore ed organizzatore più volte nei primi anni Settanta di un progetto di colpo di stato militare di stampo gollista.

La prospettiva di Sogno negli anni Cinquanta, ampiamente finanziato da centri economici e finanziari tramite l'Ufficio REI del SIFAR era di impedire ad ogni costo l'arrivo al potere dei comunisti con iniziative di guerra psicologica e con un'azione armata nel caso avessero vinto legalmente le elezioni. Quelle di Sogno sono posizioni ampiamente diffuse nella classe dirigente liberale dell'epoca e tra i partiti di governo, sostenute dall'ambasciata americana.

Tra le organizzazioni impegnate in questo contesto Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale. Le inchieste giudiziarie hanno individuato in ON la matrice della strategia stagista, a partire dalla primavera del 1969; in questa organizzazione operavano alcuni dei responsabili per Piazza Fontana e Piazza della Loggia. Tra i tanti impegnati a denunciare le trame del comunismo internazionale e il pericoloso sbandamento a sinistra della politica nazionale era il giornalista Guido Giannettini, informatore dei servizi segreti e coinvolto nelle indagini per piazza Fontana, ma anche Mario Tedeschi, direttore del Borghese, cui il capo d'imputazione attribuisce un preciso ruolo nella vicenda di cui ci stiamo occupando.

Le linee che emergono dagli articoli di Tedeschi (molti dei quali prodotti dalla Procura generale) anticipano, ancora prima dell'inizio della stagione delle stragi, il pericolo di terrorismo, imputandolo ai comunisti, finalizzato secondo la logica della guerra rivoluzionaria che si afferma essere perseguita, a diffondere sfiducia nel potere legale. Si tratta della stessa logica che avrà piena e tragica affermazione nel corso del 1969.

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